A mai più rivederci!

Gustav Mahler (7 luglio 1860 - 1911): Nicht wiedersehen!, Lied per voce e pianoforte (c1887-90); testo tratto dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn. Dietrich Fischer-Dieskau, baritono; Leonard Bernstein, pianoforte.

Und nun ade, mein herzallerliebster Schatz,
Jetzt muß ich wohl scheiden von dir,
Bis auf den andern Sommer,
Dann komm ich wieder zu dir! Ade!

Und als der junge Knab heimkam,
Von seiner Liebsten fing er an:
„Wo ist meine Herzallerliebste,
Die ich verlassen hab?“

„Auf dem Kirchhof liegt sie begraben,
Heut ists der dritte Tag.
Das Trauern und das Weinen
Hat sie zum Tod gebracht.“

Jetzt will ich auf den Kirchhof gehen,
Will suchen meiner Liebsten Grab,
Will ihr all’weile rufen,
Bis daß sie mir Antwort gab!

Ei du mein allerherzliebster Schatz,
Mach auf dein tiefes Grab!
Du hörst kein Glöcklein läuten,
Du hörst kein Vöglein pfeifen,
Du siehst weder Sonne noch Mond!
Ade, mein herzallerliebster Schatz! Ade!

«E ora addio, mio tesoro,
mi tocca partire e devo lasciarti,
fino alla prossima estate
non potrò tornare da te. Addio.»

E quando il giovane tornò a casa,
della sua amata chiese:
«Dov’è la mia adorata
che avevo dovuto lasciare?»

«Giace sepolta nel cimitero,
oggi è il terzo giorno.
Il dolore e le lacrime
l’hanno portata alla morte.»

«Voglio andare subito al cimitero
a cercare la tomba della mia amata,
la invocherò senza sosta
finché non mi risponderà.

Orsù, mia adorata,
apri questa tua tomba!
Non senti più le campane suonare,
non senti più gli uccelli cantare,
non vedi il sole né la luna!
Addio, mia adorata, addio!»



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Un canto dalla tomba: il “teatro sonoro” di Mahler

Nicht wiedersehen! è uno dei Lieder più intensi e drammatici di Mahler, tratti dalla raccolta di poesie popolari tedesche Des Knaben Wunderhorn, pubblicata in tre volumi, fra il 1805 e il 1808, da Clemens Brentano e Achim von Arnim.
Composto tra il 1887 e il 1890, il brano è molto più di una semplice canzone: è una scena operistica concentrata in cinque minuti, un vero e proprio dramma che esplora i temi mahleriani per eccellenza, ossia l’amore, la separazione, la morte e la trascendenza. Il Lied si articola in quattro strofe che corrispondono a quattro scene emotive distinte: Mahler adotta una forma strofica variata, in cui il materiale musicale ritorna ma viene costantemente trasformato per riflettere l’evoluzione della tragedia.

Ha inizio con accordi solenni e pesanti in do minore. La tessitura è semplice, quasi corale, evocando l’atmosfera di una canzone popolare, ma il tempo lento e il modo minore la caricano di una tristezza ineluttabile. Non è un addio sereno, ma un presagio. La melodia iniziale è relativamente semplice, quasi sillabica, aderendo al carattere popolare del testo. Tuttavia, sulla parola scheiden, Mahler inserisce un cromatismo discendente che esprime il dolore intrinseco della separazione. La promessa di ritorno (Dann komm’ ich wieder) è segnata da un momentaneo passaggio a mi bemolle maggiore (la relativa maggiore), un barlume di speranza subito spento. Il culmine della strofa arriva con le ripetizioni della parola Ade!, su cui Mahler costruisce un crescendo devastante:
– il primo Ade! è interrogativo;
– il secondo è più affermativo e disperato;
– il terzo, sulla frase mein Herzallerliebster Schatz, è un grido di pura angoscia. La voce qui si fa estremamente potente, sostenuta da accordi pianistici fragorosi che suonano quasi orchestrali. La canzone popolare è già diventata un dramma.

Successivamente, la musica cambia radicalmente. Il pianoforte attacca con un ritmo ostinato di marcia funebre, caratterizzato da un andamento puntato e implacabile. Questo è un elemento tipicamente mahleriano, che trasforma la scena in un corteo funebre. Lo strumento non è più solo accompagnamento, ma un narratore onnisciente che rivela la tragedia. La linea vocale perde la sua iniziale liricità per diventare più declamatoria e spezzata, quasi un recitativo angosciato. Canta con un tono più scuro, come se stesse leggendo l’epitaffio con orrore. L’armonia rimane ancorata alla tonalità di impianto, ma si fa più instabile e cromatica. Il momento della presa di coscienza (So ist’s meine Herzallerliebste) è sottolineato da un’armonia sospesa e dolorosa che culmina nella frase sussurrata e straziante die dich verlassen hat, dove la musica si placa in un pianissimo carico di colpa e rimpianto.
Il ritmo di marcia funebre persiste, eseguito in modo ancora più lento e pesante (Sehr langsam, schleppend: Molto lento, trascinato), evocando un dolore che paralizza. La linea vocale è un lamento e sulle parole das Trauern und das Weinen, la melodia scende con figure che mimano dei singhiozzi. L’invocazione all’amata (will ihr allweile wohl rufen) è un crescendo drammatico di straordinaria intensità. La voce sale al registro acuto, piena di disperazione, mentre il pianoforte risponde con tremoli agitati che aumentano la tensione fino a un punto quasi insostenibile. La richiesta di una risposta (bis dass sie mir Antwort gab) rimane sospesa nel vuoto: la risposta del pianoforte non è una melodia, ma una serie di accordi secchi e isolati che rappresentano il silenzio gelido e definitivo della tomba.
Nell’ultima strofa, la musica si trasforma completamente e il pianoforte si sposta nel registro acutissimo, suonando con un tocco cristallino, quasi vitreo (pianissimissimo, senza pedale). L’armonia passa alla parallela maggiore, dando vita a un’atmosfera eterea e spettrale. La linea vocale si adatta, abbandonando ogni calore e vibrato, cantando con un filo di voce (pianissimo), quasi un suono bianco, disincarnato: è la perfetta rappresentazione sonora di uno spirito.
La musica imita i suoni del mondo perduto:
Du hörst kein Glöcklein läuten: il pianoforte suona delle note staccate e dissonanti nel registro acuto, come il rintocco distorto di una campana lontana;
kein Vöglein pfeifen: lo strumento esegue un trillo scheletrico e gelido, l’ombra del canto di un uccello.
Il culmine emotivo arriva sulla menzione del sole e della luna (Sonnen und auch Mond). Per un istante, la voce dello spirito si incrina di dolore, ricordando la bellezza della vita. La voce reintroduce un’intensità straziante, prima di tornare al tono spettrale per l’ultimo e definitivo Ade!. Le ultime note del pianoforte, nella tonalità di impianto, sono come la terra che ricopre la tomba, spegnendosi in un silenzio assoluto e terrificante.

Nel complesso, Nicht wiedersehen! è un capolavoro di narrazione musicale. Mahler trascende la forma del Lied per creare un mondo sonoro completo, dove ogni elemento ha un significato drammatico. L’unione della voce – con la sua ineguagliabile intelligenza del testo e il suo prodevole controllo – con il pianoforte che dipinge scenari, evoca atmosfere e diventa una forza drammatica autonoma, riesce a rivelare la natura “sinfonica” del pensiero di Mahler anche nella musica da camera.

Mahler e il pappagallo

Gustav Mahler (7 luglio 1860 - 1911): Das Lied von der Erde, ciclo di Lieder per 2 voci soliste (tenore e contralto oppure baritono) e orchestra (1908-09); testi desunti dalla raccolta Die chinesische Flöte (1907) di Hans Bethge, con varie modifiche e interpolazioni del compositore. Kathleen Ferrier, contralto; Set Svanholm, tenore; New York Philharmonic, dir. Bruno Walter. Registrato nel 1948.

I. Das Trinklied vom Jammer der Erde (da Li Bai, 701 - 762)

Schon winkt der Wein im goldnen Pokale,
Doch trinkt noch nicht, erst sing ich euch ein Lied!
Das Lied vom Kummer soll auflachend
in die Seele euch klingen. Wenn der Kummer naht,
liegen wüst die Gärten der Seele,
Welkt hin und stirbt die Freude, der Gesang.
Dunkel ist das Leben, ist der Tod.

Herr dieses Hauses!
Dein Keller birgt die Fülle des goldenen Weins!
Hier, diese Laute nenn’ ich mein!
Die Laute schlagen und die Gläser leeren,
Das sind die Dinge, die zusammen passen.
Ein voller Becher Weins zur rechten Zeit
Ist mehr wert als alle Reiche dieser Erde!
Dunkel is das Leben, ist der Tod.

Das Firmament blaut ewig und die Erde
Wird lange fest stehen und aufblühn im Lenz.
Du aber, Mensch, wie lang lebst denn du?
Nicht hundert Jahre darfst du dich ergötzen
An all dem morschen Tande dieser Erde!

Seht dort hinab! Im Mondschein auf den Gräbern
hockt eine wildgespenstische Gestalt –
Ein Aff ist’s! Hört ihr, wie sein Heulen hinausgellt
in den süßen Duft des Lebens!
Jetzt nehm den Wein! Jetzt ist es Zeit, Genossen!
Leert eure goldnen Becher zu Grund!
Dunkel ist das Leben, ist der Tod!

II. Der Einsame im Herbst (da Qian Qi, 710 - 782) [8:31]

Herbstnebel wallen bläulich überm See;
Vom Reif bezogen stehen alle Gräser;
Man meint’, ein Künstler habe Staub vom Jade
Über die feinen Blüten ausgestreut.

Der süße Duft der Blumen is verflogen;
Ein kalter Wind beugt ihre Stengel nieder.
Bald werden die verwelkten, goldnen Blätter
Der Lotosblüten auf dem Wasser ziehn.

Mein Herz ist müde. Meine kleine Lampe
Erlosch mit Knistern;
es gemahnt mich an den Schlaf.
Ich komm zu dir, traute Ruhestätte!
Ja, gib mir Ruh, ich hab Erquickung not!

Ich weine viel in meinen Einsamkeiten.
Der Herbst in meinem Herzen währt zu lange.
Sonne der Liebe, willst du nie mehr scheinen,
Um meine bittern Tränen mild aufzutrocknen?

III. Von der Jugend (forse da Li Bai) [17:27]

Mitten in dem kleinen Teiche
Steht ein Pavillon aus grünem
Und aus weißem Porzellan.

Wie der Rücken eines Tigers
Wölbt die Brücke sich aus Jade
Zu dem Pavillon hinüber.

In dem Häuschen sitzen Freunde,
Schön gekleidet, trinken, plaudern,
Manche schreiben Verse nieder.

Ihre seidnen Ärmel gleiten
Rückwärts, ihre seidnen Mützen
Hocken lustig tief im Nacken.

Auf des kleinen Teiches stiller
Wasserfläche zeigt sich alles
Wunderlich im Spiegelbilde,

Alles auf dem Kopfe stehend
In dem Pavillon aus grünem
Und aus weißem Porzellan;

Wie ein Halbmond steht die Brücke,
Umgekehrt der Bogen. Freunde,
Schön gekleidet, trinken, plaudern.

IV. Von der Schönheit (da Li Bai) [20:24]

Junge Mädchen pflücken Blumen,
Pflücken Lotosblumen an dem Uferrande.
Zwischen Büschen und Blättern sitzen sie,
Sammeln Blüten in den Schoß und rufen
Sich einander Neckereien zu.

Goldne Sonne webt um die Gestalten,
Spiegelt sie im blanken Wasser wider.
Sonne spiegelt ihre schlanken Glieder,
Ihre süßen Augen wider,
Und der Zephyr hebt mit Schmeichelkosen das Gewebe
Ihrer Ärmel auf, führt den Zauber
Ihrer Wohlgerüche durch die Luft.

O sieh, was tummeln sich für schöne Knaben
Dort an dem Uferrand auf mut’gen Rossen,
Weithin glänzend wie die Sonnenstrahlen;
Schon zwischen dem Geäst der grünen Weiden
Trabt das jungfrische Volk einher!
Das Roß des einen wiehert fröhlich auf
Und scheut und saust dahin;
Über Blumen, Gräser, wanken hin die Hufe,
Sie zerstampfen jäh im Sturm die hingesunknen Blüten.
Hei! Wie flattern im Taumel seine Mähnen,
Dampfen heiß die Nüstern!
Goldne Sonne webt um die Gestalten,
Spiegelt sie im blanken Wasser wider.

Und die schönste von den Jungfraun sendet
Lange Blicke ihm der Sehnsucht nach.
Ihre stolze Haltung is nur Verstellung.
In dem Funkeln ihrer großen Augen,
In dem Dunkel ihres heißen Blicks
Schwingt klagend noch die Erregung ihres Herzens nach.

V. Der Trunkene im Frühling (da Li Bai) [26:45]

Wenn nur ein Traum das Leben ist,
Warum denn Müh und Plag?
Ich trinke, bis ich nicht mehr kann,
Den ganzen, lieben Tag!

Und wenn ich nicht mehr trinken kann,
Weil Kehl und Seele voll,
So tauml’ ich bis zu meiner Tür
Und schlafe wundervoll!

Was hör ich beim Erwachen? Horch!
Ein Vogel singt im Baum.
Ich frag ihn, ob schon Frühling sei,
Mir ist als wie im Traum.

Der Vogel zwitschert: “Ja! Der Lenz
Ist da, sei kommen über Nacht!”
Aus tiefstem Schauen lausch ich auf,
Der Vogel singt und lacht!

Ich fülle mir den Becher neu
Und leer ihn bis zum Grund
Und singe, bis der Mond erglänzt
Am schwarzen Firmament!

Und wenn ich nicht mehr singen kann,
So schlaf ich wieder ein,
Was geht mich denn der Frühling an!?
Laßt mich betrunken sein!

VI. Der Abschied (da Meng Haoran, 689 - 740, e Wang Wei, 699 - 759) [30:56]

Die Sonne scheidet hinter dem Gebirge.
In alle Taeler steigt der Abend nieder
Mit seinen Schatten, die voll Kuehlung sind.
O sieh! Wie eine Silberbarke schwebt
Der Mond am blauen Himmelssee herauf.
Ich spuere eines feinen Windes Weh’n
Hinter den dunklen Fichten!

Der Bach singt voller Wohllaut
durch das Dunkel.
Die Blumen blassen im Daemmerschein.
Die Erde atmet voll von Ruh’ und Schlaf,
Alle Sehnsucht will nun traeumen.
Die mueden Menschen geh’n heimwaerts,
Um im Schlaf vergess’nes Glueck
Und Jugend neu zu lernen!
Die Voegel hocken still in ihren Zweigen.
Die Welt schlaft ein!

Es wehet kuehl im Schatten meiner Fichten.
Ich stehe hier und harre meines Freundes;
Ich harre sein zum letzten Lebewohl.
Ich sehne mich, o Freund, an deiner Seite
Die Schoenheit dieses Abends zu geniessen.
Wo bleibst du? Du laesst mich lang allein!
Ich wandle auf und nieder mit meiner Laute
Auf Wegen, die vom weichen Grase schwellen.
O Schoenheit!
O ewigen Liebens – Lebens – Trunk’ne welt!

Er stieg vom Pferd und reichte ihm
Den Trunk des Abschieds dar.
Er fragte ihn, wohin er fuehre
Und auch warum es muesste sein.
Er sprach, seine Stimme war umflort:
Du, mein Freund,
Mir war auf dieser Welt das Glueck nicht hold!
Wohin ich geh’?
Ich geh’, ich wand’re in die Berge.
Ich suche Ruhe fuer mein einsam Herz.
Ich wandle nach der Heimat, meiner Staette.
Ich werde niemals in die Ferne schweifen.
Still ist mein Herz und harret seiner Stunde!
Die liebe Erde allueberall
Blueht auf im Lenz und gruent aufs neu!
Allueberall und ewig blauen licht die Fernen!
Ewig… ewig…


Mahler allora aveva composto otto sinfonie e messo in musica un gran numero di poesie. Si era mosso dalla composizione polifonica a quella a voci diverse, talvolta sonorità e forme senza architettura nascondevano un anelito inquieto verso qualcosa di ancora proibito: la cacofonia. Quando componeva, lasciava pendere all’angolo della bocca un sigaro spento; si isolava in un piccolo chalet sul pendio della montagna sovrastante la loro dimora estiva.

Le sue sinfonie le scriveva sempre partendo dalla fine, sì, era il motivo per cui in generale era diventato compositore: per scoprire come avesse effettivamente inizio la musica. E nemmeno pensava seguendo un percorso piano e orizzontale come tutti gli altri, ma procedendo a grandi balzi.

[…]

Quella sera Alma lesse ad alta voce da Die chinesische Flöte per Mahler, che aveva trascorso tutta la giornata chiuso nel piccolo chalet sul pendio a lavorare a un andante comodo in re maggiore, una sequenza di suoni che potevano costituire il finale di un’ulteriore opera sinfonica.

Sì, quelle poesie le conosceva fin troppo bene da tempo. Talvolta ne era rimasto profondamente toccato. Era stato perfino convinto di avere il dovere di metterle in musica. […] Però non aveva mai trovato la via giusta per affrontare quel lavoro.

[…]

Il mattino seguente, mentre era in cammino verso il suo quaderno di musica e il suo pianoforte, Mahler si imbatté in uno dei contadini del villaggio. Grüss Gott, dissero entrambi. Poi Mahler sentì il contadino fischiettare un motivetto dall’angolo della bocca.

Si fermò ad ascoltare.

Curioso, disse fra sé. Curioso.

Mentre il contadino ripeteva instancabilmente la sua piccola melodia, Mahler si voltò e lo raggiunse di cor­sa. Ansimava pesantemente quando si fermò davanti al contadino fischiettante, il cuore di Mahler era già allora affetto da qualcosa di sconosciuto e ineluttabile. E domandò:

Mio ottimo signor coltivatore, dove avete preso quella melodia?

Melodia? disse il contadino.

Sì, disse Mahler, voi stavate fischiettando una melodia dall’angolo della bocca.

Non lo sapevo, disse il contadino.

No, disse Mahler, così è la musica, quasi sempre.

Volete dire questo pezzetto? disse il contadino. E nell’angolo sinistro della bocca fi­schiettò le cinque note do - re - mi - sol - la.

Proprio quello, disse Mahler. Proprio quello.

Ah, disse il contadino. Era un uccello. Un uccello variopinto dentro una gabbia, dei signori di Vienna si erano stancati di averlo, dicevano che era un’ara, e cantava a questo modo ogni giorno e notte. Se non gli mettevamo sopra la coperta.

Grazie, disse Mahler. Vi sono infinitamente grato.

Oh, fece il contadino. Di niente.

Fu ciò che diede l’avvio al lavoro. Per la prima volta in vita sua, Mahler scrisse con il pensiero rivolto tutto il tempo verso la fine, adesso sapeva come tutto avesse avuto inizio, il canto della miseria sulla terra.

(Da Il pappagallo di Mahler (1999) di Torgny Lindgren.
Traduzione di Carmen Giorgetti Cima, © Iperborea 2002)

Dall’Aragona alla Boemia

Michail Ivanovič Glinka (1804 - 1857): Capriccio brillante sopra la «jota aragonesa», ouverture spagnola n. 1 (1845). Orchestra Sinfonica di Stato dell’URSS, dir. Evgenij Fëdorovič Svetlanov (registrazione del 1969).


Franz Liszt (1811 - 1886): Rhapsodie espagnole S.254 (1858). Stephen Hough, pianoforte.


Ferruccio Busoni (1866 - 1924): trascrizione per pianoforte e orchestra della Rhapsodie espagnole di Liszt (1893). Joshua Pierce, pianoforte; Orchestra Filarmonica di Stato di Mosca, dir. Paul Freeman.


Fate attenzione al tema che si presenta al minuto 2:52 nella composizione di Glinka, all’8:14 in quella di Liszt e all’8:40 della trascrizione di Busoni.

In un testo del 1910 [1], così Busoni descrive la composizione di Liszt:

Questa Rapsodia spagnola consta di due parti che portano un nome (Folie d’EspagneJota aragonesa), cui fanno seguito un terzo tempo senza titolo e un finale.
Prima di tutto troviamo una cadenza a mo’ di preludio e delle variazioni su un tema lento di danza, tema che, a quanto pare, è di Corelli (…). Questa prima parte è in do diesis minore. La seconda parte, in re maggiore, presenta pure delle variazioni, questa volta su una vivace danzetta di otto battute, in ritmo di 3/8. (Anche Glinka l’ha usata in un pezzo per orchestra.)
Una nuova cadenza, che anticipa il tema, porta al terzo tempo, che è costruito sul tema che segue:
jota-posthorn(Incontriamo questo tema nella Terza Sinfonia di Mahler – come vi è arrivato?)

Buona domanda: come vi è arrivato? La melodia dovette compiere un lungo viaggio, dalla valle dell’Ebro alle foreste di Boemia, forse a bordo di una diligenza, insieme con un postiglione che, giunto al termine del percorso, la suonò con la sua cornetta per far danzare gli animali del bosco. I quali poi raccontarono ogni cosa a Gustav Mahler…


[1] Inserito nel programma di sala di un concerto diretto da Arthur Nikisch; ora, con il titolo Valore della trascrizione, in F. Busoni, Scritti e pensieri sulla musica, a cura di Luigi Dallapiccola e Guido Maggiorino Gatti, Milano, Ricordi 1954, pp. 27-30.

Cambio della guardia in estate

Gustav Mahler (7 luglio 1860 - 1911): Ablösung im Sommer (Cambio della guardia in estate), Lied in la minore per voce e pianoforte (c1887-90); testo tratto dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn rielaborato da Mahler. Dietrich Fischer-Dieskau, baritono; Leonard Bern­stein, pianoforte (registrazione dell’8 novembre 1968).


Lo stesso Lied nella versione orchestrale di Harold Byrns. Bernd Weikl, baritono; Philharmonia Orchestra, dir. Giuseppe Sinopoli.

Kuckuck hat sich zu Tode gefallen
An einer grünen Weiden,
Kuckuck ist tot! Kuckuck ist tot!
Hat sich zu Tod’ gefallen!
Wer soll uns denn den Sommer lang
Die Zeit und Weil vertreiben?

Ei! Das soll tun Frau Nachtigall,
Die sitzt auf grünem Zweige;
Die kleine, feine Nachtigall,
Die liebe, süße Nachtigall!
Sie singt und springt, ist allzeit froh,
Wenn andre Vögel schweigen.

Wir warten auf Frau Nachtigall,
Die wohnt im grünen Hage,
Und wenn der Kukuk zu Ende ist,
Dann fängt sie an zu schlagen!

Il cucù è caduto, morto,
ai piedi di un verde salice,
Il cucù è morto! Il cucù è morto!
È caduto, morto!
Chi mai, per tutta la lunga estate,
ci aiuterà a far passare il tempo?

Ah! Ci penserà il signor usignolo
che sta sopra un verde ramo;
il piccolo, gentile usignolo,
il caro, dolce usignolo!
Canta e saltella, sempre allegro,
quando gli altri uccelli tacciono.

Aspettiamo il signor usignolo,
che abita in mezzo al verde,
e quando il cucù se ne sarà andato
comincerà a cantare!

Ablösung im Sommer

Mahler al pianoforte

 
Gustav Mahler (7 luglio 1860 - 1911): incisioni su rullo perforato (1905) di:

  • Ich ging mit Lust durch einen grunen Wald (1887)
  • Ging heut’ morgen uber’s Feld (1897) [3:06]
  • Das himmlische Leben (dalla Quarta Sinfonia, 1892-1901) [6:08]
  • Trauermarsch (dalla Quinta Sinfonia, 1901-1902) [14:14]

(Da 10:42 a 14:13 c’è purtroppo un rumore di fondo alquanto fastidioso dovuto a un difetto del cd.)

 

Nel nostro reciproco sogno

Ci fu un tempo in cui, per avere l’opportunità di scattare una fotografia piena di colori, bastava che passassi a trovare mia madre…

Quale musica associare a un’immagine floreale? C’è solo l’imbarazzo della scelta.
Mi pare che il Blumine, in origine II movimento della Prima Sinfonia di Gustav Mahler, faccia al caso nostro.

 
Il titolo di questo articolo è tratto da una poesia (inglese) di Pessoa, Her fingers toyed absently with her rings:

There are fallen angels in the way you look
    And great bridges over silent streams in your smile.
Your gestures are a lonely princess dreaming over a book
    At a window over a lake, on some distant isle.

If I were to stretch my hand and touch yours that would be
    Dawn behind the turrets of a city in some East.
The words hidden in my gesture would be moonlight on the sea
    Of your being something in my soul like gaiety in a feast.

Let your silence tell me of the numberless dreams that are you,
    Let the drooping of your eyelids veil landscapes far away.
I ask no more than that you should come into my dreams and be true
    To the wider seas within me and my inner eternal day.

Do not scatter the silence that is the palace where our consciousness
    Is now living at unity our duplicate lives of one soul.
What are we, in our dream of each other, but a picture which is
    The masterpiece of a painter that never painted at all?

Da kam ein Engelein

Gustav Mahler (1860 - 1911): Urlicht (da Des Knaben Wunderhorn). Maria Radner (1981 - 24 marzo 2015), contralto.

O Röschen rot,
Der Mensch liegt in größter Not,
Der Mensch liegt in größter Pein,
Je lieber möcht’ ich im Himmel sein.
Da kam ich auf einem breiten Weg,
Da kam ein Engelein und wollt’ mich abweisen.
Ach nein, ich ließ mich nicht abweisen!
Ich bin von Gott und will wieder zu Gott,
Der liebe Gott wird mir ein Lichtchen geben,
Wird leuchten mir bis in das ewig selig’ Leben!

Maria Radner era, con il figlio e il marito, sul volo Germanwings 9525 il 24 marzo 2015.