Aram Il’ič Chačaturjan (1903 - 1978): «Gopak», dal balletto Gajane (1942). Wiener Philharmoniker diretti dall’autore.
Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840 - 1893): Gopak, dall’opera Mazeppa (atto I, scena 1a), rappresentata per la prima volta nel 1884. London Symphony Orchestra, dir. Geoffrey Simon.
Modest Musorgskij (1839 - 1881): Gopak, dall’opera comica La fiera di Soročynci (atto III, scena 2ª); Musorgskij ne scrisse il libretto (basato sull’omonimo racconto di Gogol’) e lavorò alla partitura fra il 1874 e il 1880, lasciandola però incompiuta. Eseguito da Katja Emec al violino, con orchestra non identificata (sopra), e dall’Orchestra sinfonica accademica di Stato dell’URSS diretta da Evgenij Svetlanov.
Nella tavola dei Peanuts (del 19 ottobre 1952) che apre questa pagina Charles Schulz ha inserito alcune battute tratte da una riduzione per pianoforte del Gopak di Musorgskij.
È possibile far sì che in un breve articoletto siano menzionati Ludwig van Beethoven, grande compositore tedesco nato a Bonn nel 1770, e George Armstrong Custer, famoso militare statunitense caduto in battaglia oltre cent’anni più tardi? Sì, è possibile se l’articolo è dedicato a Garyone, una canzone tradizionale irlandese (in Italia è però diffusa l’erronea convinzione che sia scozzese) le cui origini risalgono alla seconda metà del XVIII secolo. Esperti linguisti assicurano che il titolo Garyone (anche Garyowen, Garryowen, Garry Owen, Garry Owens) sia derivato dalla locuzione irlandese garrai Eóins, ossia «il giardino di Eóin» (variante gaelica di John).
Intorno al 1810, di Garyone Beethoven eseguì due diverse elaborazioni per canto, violino, violoncello e pianoforte, scritte su commissione di George Thomson (1757 – 1851), compositore e stampatore attivo a Edimburgo: questi aveva avviato un vasto progetto editoriale che prevedeva la pubblicazione di melodie tradizionali irlandesi, scozzesi e gallesi armonizzate e arrangiate da alcuni fra i più celebri musicisti dell’epoca: oltre a Beethoven, parteciparono all’impresa anche Franz Joseph Haydn e Johann Nepomuk Hummel.
Le due versioni beethoveniane di Garyone adottano un testo di tal Trevor Toms, From Garyone, my happy home ; edite a stampa nel 1814 e nel 1816, sono comprese nel catalogo delle opere di Beethoven fra le composizioni prive di numero d’opus (WoO = Werke ohne Opuszahl ) rispettivamente come WoO 152/22 e WoO 154/7.
From Garyone, my happy home,
Full many a weary mile I’ve come,
To sound of fife and beat of drum,
And more shall see it never.
‘Twas there I turn’d my wheel so gay,
Could laugh, and dance, and sing, and play,
And wear the circling hours away
In mirth or peace for ever.
But Harry came, a blithesome boy,
He told me I was all his joy,
That love was sweet, and ne’er could cloy,
And he would leave me never:
His coat was scarlet tipp’d with blue,
With gay cockade and feather too,
A comely lad he was to view;
And won my heart for ever.
My mother cried, dear Rosa, stay,
Ah! Do not from your parents stray;
My father sigh’d, and nought would say,
For he could chide me never:
Yet cruel, I farewell could take,
I left them for my sweetheart’s sake,
And came, ‘twas near my heart to break
From Garyone for ever.
Buit poverty is hard to bear,
And love is but a summer’s wear,
And men deceive us when they swear
They’ll love and leave us never:
Now sad I wander through the day,
No more I laugh, or dance, or play,
But mourn the hour I came away
From Garyone for ever.
Garyone ispirò anche Mauro Giuliani (1781 – 1829), che ne fece la prima delle sue 6 Arie nazionali irlandesi variate per chitarra op. 125 (c1827); qui è eseguita da William Carroll:
Diffusasi a Limerick nel tardo Settecento come canzone conviviale, Garyone ottenne rapidamente successo tra le file dell’esercito britannico, per il tramite del 5° Reggimento di lancieri (Royal Irish Lancers). Da allora fu adottata quale emblema musicale da numerose altre unità militari, suonata e cantata durante le guerre napoleoniche e poi in Crimea. Attraversò anche l’Oceano Atlantico e giunse negli Stati Uniti, dove nel 1851 fu scelta come canto di marcia dal 2° Reggimento di volontari irlandesi e più tardi dal 7° Reggimento di cavalleria, creato per affrontare le guerre indiane e affidato, fra gli altri, proprio a George Armstrong Custer. Una scena del film agiografico dedicato da Hollywood a questo discusso personaggio (They Died with Their Boots On, 1941, in Italia La storia del generale Custer ; la regia è di Raoul Walsh, protagonista Errol Flynn) racconta in modo romanzato l’episodio — come, del resto, tutta la storia:
We can dare or we can do
United men and brothers too
Their gallant footsteps to pursue
And change our country’s story.
Our hearts so stout have got us fame
For soon tis’ known from whence we came
Where’er we go they dread the name
Of Garryowen in glory.
And when the mighty day comes round
We still shall hear their voices sound
Our clans shall roar along the ground
For Garryowen in glory.
To emulate their high renown
To strike our false oppressor down
And stir the old triumphant sound
With Garryowen in glory.
P.D.Q. Bach (alias Peter Schickele; 17 luglio 1935 - 2024): Grand Serenade for an Awful Lot of Winds and Percussion (1992). Turtle Mountain Naval Base Tactical Wind Ensemble, dir. Peter Schickele.
Grand Entrance
Simply Grand Minuet
Romance in the Grand Manner
Rondo Mucho Grando
Grand Entrance : la solennità un po’ statica, severa ma non seria, del I movimento è punteggiata dai versi di alcuni pennuti che incautamente si sono introdotti nell’auditorium; non vorrei dirlo, ma… insomma… peggio per loro. Simply Grand Minuet : in questo minuetto reboante la banda si fa accompagnare dal suono di ance e bocchini staccati dai rispettivi aerofoni; l’effetto nel complesso ricorda un po’ i richiami da caccia: forse i suonatori vorrebbero catturare altri volatili da sacrificare sull’altare di P.D.Q. Romance in the Grand Manner : in sostanza è una suggestiva armonizzazione di Old Folks at Home ovvero Swanee River, celeberrimo minstrel song composto da Stephen Foster nel 1851. Rondo Mucho Grando : il brano più esteso della suite è introdotto da un triplice rullo di timpano e tamburo militare, che si risolve in uno spaventoso crasho grosso quando l’armamentario delle percussioni rovina (fortuitamente?) a terra. Il tema principale del rondò, semplice e orecchiabile (più o meno), s’incrocia di continuo con segnali militari (carica!), con la fanfara che all’ippodromo annuncia l’inizio delle corse e con suggestioni blues. La sezione centrale si apre con una citazione di You Gotta Be a Football Hero, subito metamorfizzato nel tema iniziale del Quartetto n. 7 (op. 59 n. 1) di Beethoven. Una sirena sancisce la fine delle ostilità.
Grand Entrance: in his static solemnity, stern but not serious, the 1st movement is dotted by the cries of some birds who recklessly entered the auditorium; I don’t want to say it, but– well– worse for them. Simply Grand Minuet: playing this booming minuet the band is accompanied by reeds and mouthpieces detached from their respective aerophones; the overall effect is somewhat reminiscent of hunting calls: maybe our players would like to capture other birds to be sacrificed on the altar of P.D.Q. Romance in the Grand Manner: it substantially is a suggestive harmonization of Old Folks at Home or Swanee River, a famous minstrel song composed by Stephen Foster in 1851. Rondo Mucho Grando: the most extensive movement of the Serenade is introduced by a triple roll performed by timpani and snare drum, which results in a frightening crasho grosso when all the percussion instruments fall (fortuitously?) to the ground. The main theme of the Rondo, (almost) simple and catchy, constantly intersects with military signals (charge!), the fanfare that announces the start of races at the hippodrome and bluesy tones. The middle section opens with a quote from You Gotta Be a Football Hero, which is immediately metamorphosed into the first theme of Beethoven’s Quartet no. 7 (op. 59 n. 1). A siren marks the end of hostilities.
Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov (1844 - 21 giugno 1908): interludio sinfonico dal 1° quadro del III atto dell’opera La fiaba dello zar Saltan (1900), noto con il titolo Il volo del calabrone. Royal Scottish National Orchestra, dir. Neeme Järvi.
«Tout d’abord poussé par ce qui se fait en aviation, j’ai appliqué aux insectes les lois de la résistance de l’air, et je suis arrivé avec M. Sainte-Laguë à cette conclusion que leur vol est impossible» (Antoine Magnan, Le Vol des insectes, 1934).
Uno spassoso pastiche realizzato da Igudesman & Joo con la collaborazione (e la complicità) del buon Gidon Kremer e la sua Kremerata Baltica 😀
Aleksej Igudesman ha fra l’altro preso parte alla realizzazione della colonna sonora (di Hans Zimmer) del film Sherlock Holmes con Robert Downey jr e Jude Law, diretto da Guy Ritchie nel 2009; v’è in circolazione un buffo video dedicato al tema principale del film, con Igudesman che suona il violino in groppa a un elefante:
Visto quant’è dolce il cagnetto seduto presso il suonatore di Zither?
Gabriel Fauré (12 maggio 1845 - 1924) e André Messager (1853-1929): Souvenirs de Bayreuth, «Fantaisie en forme de quadrille sur les thèmes favoris de L’Anneau du Nibelung de Richard Wagner» per pianoforte a 4 mani (c1880). Pierre-Alain Volondat e Patrick de Hooge.
Emmanuel Chabrier (1841 - 1894): Souvenirs de Munich, «Fantaisie en forme de quadrille sur les thèmes favoris de Tristan et Isolde de Wagner» (1885-86). Pinuccia Giarmanà e Alessandro Lucchetti.
Questa strip dei Peanuts di Charles M. Schulz, pubblicata per la prima volta il 12 marzo 1968, contiene una spassosa allusione — spassosa in quanto la citazione di Lucy è errata — a un’espressione idiomatica inglese, la quale ha fra l’altro ispirato una nota canzone di music hall, I’m Always Chasing Rainbows.
Pubblicato nel 1917 come opera di Joseph McCarthy (testo) e Harry Carroll (musica), questo brano presenta qualche motivo di interesse per noi musicofili (o musicomani) in quanto è la prima canzone di Tin Pan Alley che sia stata composta utilizzando una melodia presa in prestito dal repertorio “classico”: si tratta del tema della sezione centrale (Moderato cantabile) della Fantaisie-impromptu in do diesis minore op. posth. 66 di Fryderyk Chopin.
Ecco I’m Always Chasing Rainbows cantata da Judy Garland nel film Le fanciulle delle follie (Zigfield Girl, 1941, regia di Robert Z. Leonard):
Artur Rubinstein per Chopin:
Tornando ai Peanuts, bisogna dire che l’impresa di rendere in italiano lo svarione di Lucy è tutt’altro che facile. Qui il traduttore se l’è cavata molto bene, facendo ricorso a un modo di dire ispirato dal capolavoro di Cervantes:
L’articoletto che segue, piccolo omaggio a Umberto Eco (1932 - 19 febbraio 2016), prende in esame alcuni apocrifi di successo 🙂
Remo Giazotto (1910 - 1998): Adagio in sol minore per archi e basso continuo (1957) noto come Adagio di Albinoni. Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan.
Compositore e musicologo, Giazotto compilò fra l’altro il catalogo sistematico delle opere di Tomaso Albinoni (1671-1751). Nel 1958 diede alle stampe l’Adagio attribuendone la paternità al maestro veneziano: si tratterebbe di una sonata a tre della quale sopravvivono soltanto il basso numerato e due frammenti della parte del I violino, dallo stesso Giazotto rinvenuti manoscritti nella Sächsische Landesbibliothek di Dresda. «L’elaboratore ha proceduto alla realizzazione del basso numerato superstite sul quale, avvalendosi di due episodi melodici (sei battute in tutto), ha creato e disposto un nesso narrativo che aderisse con assoluta fedeltà al tessuto armonico che il basso numerato originale suggeriva», spiegò lo studioso romano. Dopo la morte del quale, però, si è appurato che la Biblioteca di Dresda non conserva alcun frammento corrispondente alla descrizione, ragion per cui si ritiene che l’Adagio sia interamente opera di Remo Giazotto.
Ludwig van Beethoven (1770 - 1827) o Ludwig Nohl (1831 - 1885): Für Elise (1810?). Ivo Pogorelich, pianoforte.
La composizione oggi universalmente nota con il titolo Für Elise (Per Elisa) fu scoperta quarant’anni dopo la morte di Beethoven, nel 1867, a Monaco, presso una collezione privata, dallo studioso e scrittore tedesco Ludwig Nohl (nel ritrattino qui a sinistra). Il manoscritto, oggi perduto, secondo la testimonianza di Nohl era datato 27 aprile 1810. Ci si è a lungo interrogati sull’identità della dedicataria: poiché non risulta che Beethoven conoscesse di persona una Elise — si è parlato di Elisabeth Röckel (1793–1883), una cantante tedesca che all’epoca godeva di una certa notorietà, ma non v’è prova che i due si siano incontrati — l’opinione più diffusa è che il nome riportato sulla partitura fosse in realtà Therese (ossia Therese Malfatti von Rohrenbach zu Dezza, amata da Beethoven) e che Nohl abbia mal interpretato la grafia del compositore.
Il brano è incluso nel catalogo beethoveniano come n. 59 dei Werke ohne Opuszahl (WoO = composizioni senza numero d’opus). Va però detto che, dopo accurati studi, il musicologo italiano Luca Chiantore (vedere qui) è giunto alla conclusione che Per Elisa non sia di Beethoven: il vero autore sarebbe proprio Nohl.
Autore non identificato: Valzer in mi bemolle maggiore, attribuito a Fryderyk Chopin (1810 - 1849). Arturo Benedetti Michelangeli, pianoforte.
Di questa composizione — per la verità simile più a un Ländler che a un valzer — l’unica copia manoscritta di cui abbiamo notizia si trovava nell’album personale di Emilia Elsner (figlia di uno dei maestri di Chopin), ove però non era riportato il nome del suo autore; l’album, che conteneva alcuni brani certamente di Chopin, è andato perduto, ma era stato esaminato alla fine dell’Ottocento dal letterato e musicografo polacco Ferdynand Hoesick, il quale ne pubblicò il contenuto in un volume di supplemento all’edizione Breitkopf & Härtel delle opere complete chopiniane (Lipsia, 1902). Il Valzer in mi bemolle, a ben vedere, non ha assolutamente nulla dello stile di Chopin: opinione di diversi studiosi è che l’attribuzione al maestro polacco debba considerarsi una svista di Hoesick.
Johann Peter Kellner? (1705 - 1772): Toccata e Fuga in re minore per organo, attribuita a Johann Sebastian Bach (BWV 565). Michel Chapuis, organo.
Della questione si parlava già all’inizio degli anni 1980: «la composizione organistica nota come Toccata e fuga in re minore, n. 565 del Bach-Werke-Verzeichnis di Wolfgang Schmieder, è opera di Johann Sebastian Bach?» si chiedevano, fra gli altri, Peter Williams (BWV 565: A toccata in D minor for organ by J.S.Bach?, in «Early Music» 9/3, 1981) e David Humphreys (The D minor Toccata BWV 565, ibid. 10/2, 1982). La discussione è tuttora viva, ma è assai probabile che nelle prossime edizioni del catalogo bachiano dovremo andare a cercare il numero 565 fra le opere spurie.
Riassumendo:
Il più antico manoscritto noto della Toccata e fuga è una copia eseguita da Johann Ringk (1717-1778), allievo di J. P. Kellner, a sua volta allievo di Bach. Studiando il documento, Williams è giunto a questa conclusione: non si tratta di un’opera originale, bensì della trascrizione di un brano originariamente concepito per violino solo.
Humphreys ha attribuito il brano appunto a Johann Peter Kellner, allievo di Bach intorno al 1729 e maestro di Ringk.
Bernhard Billeter ritiene invece che si tratti di un adattamento di un brano clavicembalistico (Bachs Toccata und Fuge d-moll für Orgel BWV 565 – ein Cembalowerk?, in «Die Musikforschung» 50/1, 1997).
Nel 1995 Rolf Dietrich Claus ha pubblicato uno studio (Zur Echtheit von Toccata und Fuge d-moll BWV 565, Colonia, Verlag Dohr) nel quale sostiene che la composizione, di probabile origine violinistica, non può essere un’opera giovanile di Bach – come si era sempre pensato, ritenendo di poter così giustificare le sue molte incongruenze – e giunge alla conclusione che debba essere attribuita a un compositore della generazione dei figli di Bach. Nella 2ª edizione ampliata (1999) Claus risponde punto per punto a coloro che avevano criticato e confutato le sue tesi.
Nel 2000 Stephan Emele presenta una dissertazione dedicata a Kellner (Ein Beispiel der mitteldeutschen Orgelkunst des 18. Jahrhunderts: Johann Peter Kellner), considerato quale probabile autore della Toccata e fuga in re minore. L’analisi stilistica è dettagliata e abbastanza convincente (si veda il sito della Johann-Peter-Kellner-Gesellschaft).
Nel 2005 Eric Lewin Altschuler ipotizza che tanto la Toccata e Fuga BWV 565 quanto la Ciaccona della Seconda Partita per violino BWV 1004 potessero essere in origine brani per liuto (Were Bach’s Toccata and Fugue BWV565 and the Ciaccona from BWV1004 Lute Pieces?, in «The Musical Times» 146/1893).
Penso che chiunque abbia un po’ di dimestichezza con le composizioni del Kantor di Lipsia difficilmente potrà trovarsi in totale disaccordo con gli studiosi sopra menzionati: BWV 565 non sembra essere di Bach; la magniloquenza fine a sé stessa, l’elementare semplicità dell’armonia, l’inconsistenza del contrappunto sono rivelatrici. Il vero Bach è altrove.