Per Wilma Neruda

Henri Vieuxtemps (1820 - 1881): Concerto per violino e orchestra n. 6 in sol maggiore op. 47 (1865). Jolente De Maeyer, violino; Orchestre Philharmonique Royal de Liège, dir. Patrick Davin.

  1. Allegro moderato
  2. Pastorale: Andante con moto
  3. Intermezzo: Siciliano
  4. Rondo final: Allegretto

Il brano è dedicato a Wilma Neruda (1838 - 1911), celebre violinista morava che sposò in prime nozze il compositore svedese Ludvig Norman e poi il pianista e direttore d’orchestra tedesco-inglese Charles Hallé. Nel romanzo Uno studio in rosso (1887) di sir Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes e il dottor Watson assistono a un recital di «Madame Norman-Neruda».

Vieuxtemps, op. 47
Wilma Neruda
Wilma Neruda ritratta da George Frederic Watts

Gli sghignazzi di Satana

Johannes Brahms (1833 - 1897): Trio in si maggiore per violino, violoncello e pianoforte op. 8 (1854, seconda versione 1889). Clara-Jumi Kang, violino; Jian Wang, violoncello; Alessandro Taverna, pianoforte.

  1. Allegro con brio
  2. Scherzo: Allegro molto [15:50]
  3. Adagio [22:37]
  4. Allegro [30:56]

Iniziammo a far musica verso le quattro ed eseguimmo due sonate per violino e pianoforte di Beethoven e un trio di Schubert. Dopo il tè venne finalmente il momento del Trio in si maggiore. Ho un debole per questo trio, soprattutto per l’attacco, di solenne esultanza.

[…]

Il secondo movimento del Trio in si maggiore, i cui ritmi mi hanno tante volte angosciato e scosso: mai sono riuscito a suonarlo fino all’ultima nota senza un profondo abbattimento, pur amandolo di vera passione.

Uno Scherzo, certo. Ma che genere di Scherzo! In esso lievita una terribile allegria, una gaiezza che raggela il sangue. Risa spettrali vorticano nello spazio, un folleggiare cupo, sfrenato e carnascialesco di creature dal piede caprino: questo è l’attacco, così inizia questo Scherzo bizzarro. E all’improvviso dal baccanale d’inferno si libra alta una voce solitaria, la voce di un’anima smarrita, la voce di un cuore straziato dal terrore che confida la sua pena.

Ma ecco nuovamente irrompere gli sghignazzi di Satana, travolgono fragorosi quegli accenti puri e lacerano in mille brani il canto. La voce riprende vigore, incerta e lieve, trova la sua melodia e la trasporta verso l’alto, quasi volesse fuggire in sua compagnia in un mondo diverso.

I diavoli dell’inferno tuttavia prevalgono, si è fatto giorno, l’estremo giorno, il giorno del Giudizio, Satana trionfa sull’anima peccatrice e la voce straziata dell’uomo precipita dalla sublime altezza giù giù nel disperato sghignazzo di Giuda.

Al termine del movimento, rimasi per lunghi minuti silenzioso fra spettatori silenziosi. Poi quell’universo desolato di larve cupe e incalzanti svanì. La visione del Giudizio si dissolse, l’incubo apocalittico si dileguò e mi rese la libertà.

da Leo Perutz, Il Maestro del Giudizio universale (Der Meister des Jüngsten Tages, 1923)
traduzione di Margherita Belardetti
© 2012 Adelphi Edizioni, Milano

Feldmaresciallo da sballo

Tristan Schulze (1964): Radetzkymarsch (da Johann Strauß padre) per orchestra (1998). Wiener Kammerorchester, dir. Aleksej Igudesman.

«Tutti i concerti di piazza – che avevano luogo sotto il balcone del signor capitano distrettuale – avevano inizio con la Marcia di Radetzky. Benché i membri della banda ne avessero una conoscenza tale da po­ter­la suonare nel pieno della notte e del sonno senza ricevere indicazioni, il direttore riteneva necessario leggere ogni singola nota dello spartito. E, come se provasse la Marcia di Radetzky per la prima volta con i suoi musicisti, ogni domenica alzava con militare e musicale coscienziosità il capo, la bacchetta, lo sguardo e, di volta in volta, li rivolgeva tutti e tre contemporaneamente verso i segmenti del cerchio, di cui lui occupava il centro, che sembravano aver bisogno dei suoi comandi. I severi tamburi rullavano, i dolci flauti sibilavano e i benevoli piatti squillavano. Sui volti di tutti gli ascoltatori sbocciava un sorriso pago e assorto, mentre il sangue ribolliva nelle loro gambe. Pur stando fermi, avevano la sensazione di marciare. Le ragazze più giovani trattenevano il respiro e socchiudevano le labbra. Gli uomini più maturi lasciavano ciondolare la testa e ripensavano alle loro manovre. Le donne anziane sedevano nel vicino parco e le loro piccole testine grigie oscillavano. Ed era estate.»

(Joseph Roth, La Marcia di Radetzky, traduzione di Sara Cortesia)


Natale con Perotino – III

Perotino (c1160 - c1230): Sederunt principes, organum quadruplum sul graduale della messa di Santo Stefano (composto forse nel 1199). The Early Music Consort of London, dir. David Munrow.
Fonti del testo sono il Salmo 118, vv. 23a e 86b, e il 108, v. 26:

118: 23a Sederunt principes, et adversum me loquebantur:
86b et iniqui persecuti sunt me.
108: 26a Adjuva me, Domine Deus meus:
26b salvum me fac propter misericordiam tuam.


Mi chiesi se l’Abate non avesse scelto di far cantare quel graduale proprio quella notte, quando ancora erano presenti alla funzione gli inviati dei principi, per ricordare come da secoli il nostro ordine fosse pronto a resistere alla persecuzione dei potenti, grazie al suo privilegia­to rapporto col Signore, Dio degli eserciti. E invero l’inizio del canto diede una grande impressione di potenza.

Sulla prima sillaba se iniziò un coro lento e solenne di decine e deci­ne di voci, il cui suono basso riempì le navate e aleggiò sopra le nostre teste, e tuttavia sembrava sorgere dal cuore della terra. Né s’interruppe, perché mentre altre voci incominciavano a tessere, su quella linea profonda e continua, una serie di vocalizzi e melismi, esso — tellurico — continuava a dominare e non cessò per il tempo intero che occorre a un recitante dalla voce cadenzata e lenta per ripetere dodici volte l’Ave Maria. E quasi sciolte da ogni timore, per la fiducia che quell’ostinata sillaba, allegoria della durata eterna, dava agli oranti, le altre voci (e massime quelle dei novizi) su quella base petrosa e solida innalzavano cuspidi, colonne, pinnacoli di neumi liquescenti e subpuntati. E mentre il mio cuore stordiva di dolcezza al vibrare di un climacus o di un porrectus, di un torculus o di un salicus, quelle voci parevano dirmi che l’anima (degli oranti e mia che li ascoltavo), non potendo reggere alla esuberanza del sentimento, attraverso di essi si lacerava per esprimere la gioia, il dolore, la lode, l’amore, con slancio di sonorità soavi. Intanto, l’ostinato accanirsi delle voci ctonie non demordeva, come se la presen­za minacciosa dei nemici, dei potenti che perseguitavano il popolo del Signore, permanesse irrisolta. Sino a che quel nettunico tumultuare di una sola nota parve vinto, o almeno convinto e avvinto dal giubilo allelujatico di chi vi si opponeva, e si sciolse su di un maestoso e perfettis­simo accordo e su un neuma resupino.

Pronunciato con fatica quasi ottusa il “sederunt”, s’innalzò nell’aria il “principes”, in una grande e serafica calma. Non mi domandai più chi fossero i potenti che parlavano contro di me (di noi), era scomparsa, dissolta l’ombra di quel fantasma sedente e incombente.

[…]

Ora il coro stava intonando festosamente lo “adjuva me”, di cui la a chiara lietamente si espandeva per la chiesa, e la stessa u non appari­va cupa come quella di “sederunt”, ma piena di santa energia. I mona­ci e i novizi cantavano, come vuole la regola del canto, col corpo dirit­to, la gola libera, la testa che guarda in alto, il libro quasi all’altezza delle spalle in modo che vi si possa leggere senza che, abbassando il capo, l’aria esca con minore energia dal petto. Ma l’ora era ancora notturna e, malgrado squillassero le trombe della giubilazione, la caligine del sonno insidiava molti dei cantori i quali, persi magari nell’emissione di una lunga nota, fiduciosi nell’onda stessa del cantico, a volte reclinavano il capo, tentati dalla sonnolenza. Allora i veglianti, anche in quel fran­gente, ne esploravano i volti col lume, a uno a uno, per ricondurli appunto alla veglia, del corpo e dell’anima.

(Umberto Eco, Il nome della rosa:
Sesta giornata, Mattutino;
Bompiani, Milano 1980)

Folk songs: 8. Annie Laurie


Annie Laurie, ballad scozzese attribuita a William Douglas (1672? - 1748) con melodia di Alicia Scott (nata Alicia Ann Spottiswoode, 1810 - 1900). Interpreti Deanna Durbin (registrazione del 1936: Durbin aveva 14 anni) e, in un arrangiamento di Alice Parker e Robert Shaw, il Westminster Choir diretto da Joseph Flummerfelt.

Maxwelton’s braes are bonnie,
Where early fa’s the dew,
‘Twas there that Annie Laurie
Gi’ed me her promise true.
Gi’ed me her promise true —
Which ne’er forgot will be,
And for bonnie Annie Laurie
I’d lay me down and dee.

Her brow is like the snaw-drift,
Her neck is like the swan,
Her face it is the fairest,
That ‘er the sun shone on.
That ‘er the sun shone on —
And dark blue is her e’e,
And for bonnie Annie Laurie
I’d lay me down and dee.

Like dew on gowans lying,
Is the fa’ o’ her fairy feet,
And like winds, in simmer sighing,
Her voice is low and sweet.
Her voice is low and sweet —
And she’s a’ the world to me;
And for bonnie Annie Laurie
I’d lay me down and dee.

Secondo la tradizione, l’amore fra William Douglas, capitano dei Royal Scots, e Annie, figlia di Robert Laurie, primo baronetto di Maxwellton, fu osteggiato dal padre di lei, forse perché Annie era all’epoca molto giovane, o forse perché Douglas era fedele alla causa giacobita. Comunque sia, si sa per certo che Douglas infine si consolò fra le braccia di una ereditiera del Lanarkshire, Elizabeth Clerk di Glenboig: i due convolarono a nozze nel 1706 a Edimburgo. Tre anni dopo, Annie sposò Alexander Fergusson, 14° Laird di Craigdarroch; ebbe una vita relativamente felice e morì ottantunenne nel 1764.
Non è certo che il testo della ballata sia stato scritto da William Douglas: è probabile che il vero autore sia lo scrittore e giornalista scozzese Allan Cunningham (1784 - 1842), il quale collaborò alla stesura del Ballad Book curato da Charles Kirkpatrick Sharpe (1781? - 1851), la cui edizione originale, del 1823, contiene la prima pubblicazione a stampa di Annie Laurie. Il testo fu poi rimaneggiato da Alicia Scott per adattarlo alla musica da lei stessa precedentemente composta per un’altra poesia scozzese, Kempye Kaye.


Il fantasma della camera azzurra
(Storia di mio zio)

— Non voglio impaurirvi — iniziò mio zio, con tono di voce particolarmente solenne, per non dire che faceva gelare il sangue nelle vene — e, se preferite che non ne parli, non lo farò; ma il fatto è che proprio questa casa, dove siamo ora riuniti, è infestata.

— Non me lo dica! — esclamò Mister Coombes.

— Che mi dice a fare di non dirglielo, se l’ho appena detto? — ribatté lo zio con una certa stizza. — Lei dice cose assurde! Vi dico che questa casa è infestata. Regolarmente, la Vigilia di Natale, la Camera azzurra [a casa dello zio chiamavano Camera azzurra la stanza vicina a quella dei bambini, perché quasi tutto il servizio da toletta era di quel colore] è infestata dal fantasma di un criminale, un uomo che una volta uccise con un pezzo di carbone uno di quei cantanti che, a Natale, vanno di casa in casa.

— Come fece? — chiese Mister Coombes, con curiosità e impazienza. — Fu difficile?

— Non so come fece — rispose lo zio, — non mi spiegò il procedimento. Il cantante era in piedi dentro l’entrata principale e stava cantando una ballata. Si presume che, quando aprì la bocca per il si bemolle, il criminale abbia lanciato il pezzo di carbone da una delle finestre e questo si sia infilato nella gola del cantante e l’abbia soffocato.

— Bisogna essere un bravo tiratore, ma vale certamente la pena di provare — mormorò pensosamente Mister Coombes.

— Ma quello non fu il suo unico crimine, ahimé! — aggiunse lo zio. — Prima, aveva ucciso un solista di cornetta.

— No! Ma è un fatto veramente accaduto? — chiese Mister Coombes.

— Certo che è un fatto veramente accaduto — rispose lo zio, irritato. — Almeno, per quanto si possa parlare di fatti in casi di questo tipo. Com’è pignolo, stasera. Le prove indiziarie erano schiaccianti. Il poveretto, il solista di cornetta, si trovava in questa zona da appena un mese. Il vecchio Mister Bishop, che allora gestiva il Jolly Sand Boys, e dal quale ho saputo la storia, diceva di non aver mai visto un solista di cornetta più operoso e attivo. Il solista di cornetta conosceva solo due motivi, ma Mister Bishop diceva che quell’uomo non avrebbe potuto suonare con più energia, né per più ore al giorno, se ne avesse conosciuti quaranta. I due motivi che suonava erano Annie Laurie e Home! Sweet Home! e, per ciò che concerne l’esecuzione della prima melodia, Mister Bishop diceva che l’avrebbe capita anche un bambino. Questo musicista, questo povero artista senza amici, aveva l’abitudine di venire regolarmente a suonare in questa strada, proprio qui di fronte, due ore ogni sera. Una sera, fu visto entrare proprio in questa casa, evidentemente in risposta a un invito, ma non fu mai visto uscirne!

— I cittadini provarono a offrire una ricompensa per il suo ritrovamento? — chiese Mister Coombes.

— Neanche mezzo penny — replicò lo zio.

— Un’altra estate — continuò lo zio, — venne qui una banda musicale tedesca, che voleva (così annunciarono, al loro arrivo) fermarsi fino all’autunno. Due giorni dopo il loro arrivo, tutta la compagnia, dei pezzi d’uomini così sani e vigorosi che faceva piacere guardarli, fu invitata a cena da questo criminale e, dopo aver passato a letto le ventiquattr’ore successive, lasciò la città: degli uomini finiti, gravemente ammalati di dispepsia. Il medico condotto, che li aveva assistiti, disse che, secondo lui, difficilmente anche uno solo di loro sarebbe stato in grado di suonare di nuovo un’aria.

— Lei… lei non conosce la ricetta, vero? — chiese Mister Coombes.

— Sfortunatamente no — replicò lo zio, — ma si disse che l’ingrediente principale fosse pasticcio di carne di maiale del buffet della stazione. Ho dimenticato gli altri crimini di quest’uomo — continuò lo zio, — prima li conoscevo tutti, ma la mia memoria non è più quella di una volta. Non penso, comunque, di fare torto alla sua memoria se affermo che non fu del tutto estraneo alla morte, e poi al seppellimento, di un signore che suonava l’arpa con le dita dei piedi; e che non aveva la coscienza pulita neppure circa la tomba solitaria di un forestiero sconosciuto che venne una volta in questa zona, un contadinello italiano che suonava l’organetto di Barberia. Ogni anno, la Vigilia di Natale — disse lo zio in tono basso e solenne, rompendo lo strano silenzio sgomento che, come un’ombra, sembrava essersi lentamente infiltrato, furtivo, nella stanza, per poi avvolgerla completamente, — il fantasma di questo criminale infesta la Camera azzurra, proprio in questa casa. Là, da mezzanotte fino al canto del gallo, tra grida selvagge soffocate e gemiti e risate di scherno e il suono spettrale di orridi tonfi, sostiene una fiera lotta fantasma con gli spiriti del solista di cornetta e del cantante assassinato, aiutati, ogni tanto, dalle ombre della banda musicale tedesca, mentre il fantasma dell’arpista strangolato suona folli melodie spettrali, con dita di piedi fantasma, sullo spettro di un’arpa rotta.

Lo zio disse che la Camera azzurra era praticamente inutile, come camera da letto, la Vigilia di Natale.

— Ascoltate! — disse lo zio alzando una mano verso il soffitto, in segno di ammonimento, mentre noi trattenevamo il respiro e ascoltavamo. — Ascoltate! Credo che siano loro: nella Camera azzurra!

da Jerome K. Jerome, Storie di fantasmi per il dopocena
(Told After Supper, 1891. Qui il testo originale.)


Jean-Baptiste Arban (1825 - 1889): Variazioni per cornetta a pistoni su Home! Sweet Home! di sir Henry Bishop (1786 - 1855).


Walzerloo

 
Nino Rota (1911 - 1979): Waterloo Waltz, dalla colonna sonora originale del film Waterloo di Sergej Bondarčuk (1970). Indimenticabile il Napoleone di Rod Steiger.
 

Waterloo (1970)


La Marche de la Garde Impériale à Waterloo.
La Garde meurt mais ne se rend pas.

  Il campo di Waterloo oggi ha la calma che appartiene alla terra, impassibile sostegno dell’uomo, e somiglia a tutte le altre pianure.
  Però, di notte, da quella pianura s’innalza una specie di bruma fantastica; e se qualche viaggiatore, passando di là, osserva, ascolta, medita, come Virgilio nella funesta pianura di Filippi, l’allucinazione della catastrofe l’assale. Il terribile 18 giugno rivive; sparisce la falsa collina-monumento, sfuma quel leone qualunque, e il campo di battaglia riprende la sua realtà: schiere di fanteria ondeggiano nella pianura, galoppi furiosi attraversano l’orizzonte; il sognatore spaventato vede balenar le sciabole, scintillare le baionette, fiammeggiare le bombe, incrociarsi mostruosamente i fulmini; sente, come un rantolo in fondo a una tomba, il vago clamore della fantastica battaglia; quelle ombre sono i granatieri; quel luccichio sono i corazzieri; quello scheletro è Napoleone; quel­l’altro scheletro è Wellington. Tutto questo non esiste più, eppure cozza e combatte ancora; e i burroni si tingono di rosso, e gli alberi fremono, la furia arriva fino al cielo, e nelle tenebre tutte quelle alture selvagge, Mont-Saint-Jean, Hougomont, Frischemont, Papelotte e Plancenoit, appaiono confusamente coronate da un turbine di spettri che si sterminano fra loro.

(Victor Hugo)

Qui gioventù finisce

 
Jan Pieterszoon Sweelinck (1562 - 1621): Mein junges Leben hat ein End, Lied spirituale a 4 voci. Nederlands Kamerkoor, dir. Paul van Nevel.

Mein junges leben hat ein end,
mein freud und auch mein leid,
Mein arme seele soll behend
Scheiden von meinem leib.
Mein leben kan nicht länger stehn,
Es ist sehr schwach, es muß vergehn,
Es fährt dahin mein freud.

Es fährt dahin ein weiten weg
Die seel, mit grossem leid,
Den leib man traurig ins grab legt,
Wie aschen er zerstäubt,
Als wenn er nie gewesen wär,
Auch nimmermehr wär kommen her,
Aus meine mutterleid.

Ich scheide, arme welt, von dir,
Verlassen muß ich dich!
Ich habe keine freude hier,
Von dir muß scheiden ich:
Es bleibet mir hier keine ruh,
Man drück mir dann die augen zu:
Das muß ich klagen dir.

Ich klag nicht, das ich scheiden soll
Von dir, du scnöde welt,
Allein mein herz ist traurens voll,
Daß mich mein sünd üb’rfällt,
Die ich mein tag begangen hab,
Die hilft mir von dem leben ab,
Und bringt den leib ins grab.

O Jesu Christ, du höchster Gott!
Was hab ich doch gethan!
All meine sünd und missethat
Klagen mich heftig an:
Dennoch will ich verzagen nicht
Vor dein’m göttlichen angesicht,
Um gnad ruf ich dich an.

Ach Herre Gott! mein creutz und noth
Ertrag ich mit geduld,
Und bitte dich, Herr Jesu Christ!
Wollst mir verzeihn mein schuld,
Hilf das ich dich recht fassen kan,
Ach nim dich eine gnädig an
Und ewiglich nicht laß.


Sweelinck: 6 Variazioni sul Lied Mein junges Leben hat ein End SwWV 324. Monica Czausz all’organo Hildebrandt (1723) della chiesa di Störmthal (Sassonia).


Exquisite variations he was now describing on an air Youth here has End by Jans Pieter Sweelinck, a Dutchman of Amsterdam where the frows come from.

Si diffondeva ora sulle deliziose variazioni sull’aria Qui gioventù finisce di Jans Pieter Sweelinck, un olandese di Amsterdam dove fanno le frau.

(James Joyce, Ulisse ; traduzione di Giulio de Angelis)


Chiel Meijering (15 giugno 1954): Mein junges Leben hat (k)ein End per quartetto d’archi (2007), rielaborazione delle variazioni di Sweelinck. Utrecht Stringquartet.

SwWV 324

Un hidalgo muy ingenioso

Miguel de Cervantes Saavedra

«Dove c’è musica non ci può essere cosa cattiva» (Cervantes)

Miguel de Cervantes Saavedra morì il 22 aprile 1616.
Sul suo capolavoro immortale è già stato scritto tutto, anche l’impossibile e l’inim­ma­gi­na­bile: ragion per cui oggi, celebrando la ricorrenza, mi limiterò a segnalare un interessante articolo di José Saramago pubblicato nel 2005 sul «País» e, in italiano, sulla «Repubblica» (leggibile online a questo indirizzo). Inoltre, com’è consuetudine in questo blog, proporrò l’ascolto di alcune composizioni musicali ispirate da Cervantes.
Alla «presenza di Don Chisciotte nella musica» dedicò una dissertazione, nel 1984, la studiosa statunitense Susan Jane Flynn: il suo lavoro è disponibile in rete (The Presence of Don Quixote in Music, University of Tennessee).


Richard Strauss (1864 - 1949): Don Quixote, poema sinfonico op. 35 in forma di phantastische Variationen über ein Thema ritterlichen Charakters (variazioni fantastiche sopra un tema cavalleresco; 1897). Mstislav Rostropovič, violoncello; Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Illustrazioni di Gustave Doré.

  1. Introduzione: Mäßiges Zeitmaß. Thema mäßig. «Don Quichotte verliert über der Lektüre der Ritterromane seinen Verstand und beschließt, selbst fahrender Ritter zu werden»
  2. Tema: Mäßig. «Don Quichotte, der Ritter von der traurigen Gestalt». Maggiore: «Sancho Panza» [6:25]
  3. Variazione I: Gemächlich. «Abenteuer an den Windmühlen» [8:44]
  4. Variazione II: Kriegerisch. «Der siegreiche Kampf gegen das Heer des großen Kaisers Alifanfaron» [11:24]
  5. Variazione III: Mäßiges Zeitmaß. «Gespräch zwischen Ritter und Knappen» [13:09]
  6. Variazione IV: Etwas breiter. «Unglückliches Abenteuer mit einer Prozession von Büßern» [21:47]
  7. Variazione V: Sehr langsam. «Die Waffenwache» [23:44]
  8. Variazione VI: Schnell. «Begegnung mit Dulzinea» [27:54]
  9. Variazione VII: Ein wenig ruhiger als vorher. «Der Ritt durch die Luft» [29:09]
  10. Variazione VIII: Gemächlich. «Die unglückliche Fahrt auf dem venezianischen Nachen» [30:25]
  11. Variazione IX: Schnell und stürmisch. «Kampf gegen vermeintliche Zauberer» [32:16]
  12. Variazione X: Viel breiter. «Zweikampf mit dem Ritter vom blanken Mond» [33:28]
  13. Finale: Sehr ruhig. «Wieder zur Besinnung gekommen» [38:10]


Erich Korngold (1897 - 1957): Don Quixote, 6 pezzi per pianoforte (1907-09). Mara Jaubert.

  1. Don Quixote über den Ritterbüchern und seine Sehnsucht nach Waffentaten
  2. Sancho Panza auf seinem “Grauen”
  3. Don Quixotes Auszug
  4. Dulcinea von Toboso
  5. Abenteuer
  6. Don Quixotes Bekehrung und Tod


Jules Massenet (1842 - 1912): scena finale di Don Quichotte, comédie héroïque in 5 atti, libretto di Henri Cain (1910). Don Quichotte: José van Dam; Sancho Panza: Werner van Mettelen; voce di Dulcinée: Silvia Tro Santafé. Bruxelles, Théâtre La Monnaie, 2010.

Massenet, Don Q


Manuel de Falla (1876 - 1946): El retablo de Maese Pedro, opera per marionette in 1 atto (6 scene) su libretto proprio (1923). Don Quijote: Justino Díaz; Pedro: Joan Cabero; narratore: Xavier Cabero; Orchestre Symphonique de Montréal, dir. Charles Dutoit.


Maurice Ravel (1875 - 1937): Don Quichotte à Dulcinée, 3 chansons per baritono e pianoforte su testo di Paul Morand (1932-33); originariamente composte per il film Don Quichotte (con Fëdor Šaljapin) di Georg Wilhelm Pabst. Dietrich Fischer-Dieskau, baritono; Karl Engel, pianoforte.

  1. Chanson romanesque: Moderato
  2. Chanson épique: Molto moderato
  3. Chanson à boire: Allegro


Roberto Gerhard (1896 - 1970): Don Quijote, balletto (1940-41, rev. 1947-49). Orquesta Sinfónica de Tenerife, dir. Victor Pablo Pérez.

Scena 1a
Scena 2a [7:28]
Scena 3a [16:41]
Scena 4a [27:32]
Scena 5a [31:17]


Litografia di Pablo Picasso, 1955


[pubblicato originariamente il 22 aprile 2016]

Il sottotenente Summenzionato

Sergej Sergeevič Prokof’ev (1891 - 1953): Поручик Киже (Il tenente Kižé), suite op. 60 tratta dalla colonna sonora del film omonimo di Aleksandr Fajncimmer (1934). London Symphony Orchestra, dir. André Previn.

  1. Рождение Киже (Nascita di Kižé)
  2. Романс (Romanza) [4:20]
  3. Свадьба Киже] (Nozze di Kižé) [8:25]
  4. Тройка (Trojka) [11:20]
  5. Похороны Киже (Funerale di Kižé) [14:05]

La sceneggiatura del film è ricavata da un racconto di Jurij Tynjanov (1894-1943) in cui si mette alla berlina l’assurda burocrazia militare dell’epoca di Paolo I, alla fine del XVIII secolo. In sostanza succede questo: copiando un ordine del giorno, un cancelliere del reggimento Preobraženskij incappa in un errore di trascrizione, invece di scrivere Подпоручики же…, «Per quanto riguarda i tenenti…», gli sfugge un Подпоручик Киже che letteralmente significa «Il sottotenente Kižé»: e così dà nome a un sottufficiale che non esiste. Prima che ci si accorga dell’errore, il documento finisce nelle mani dell’imperatore, il quale vuole sapere chi sia questo militare e che cosa abbia fatto di tanto rilevante da finire per essere citato in un ordine del giorno. Prova tu a dire a uno zar che si è sbagliato, se ne hai il coraggio… Superfluo dire che nessuno osa, anzi: si decide di inventare ipso facto il curriculum di Kižé. Favorevolmente colpito, il sovrano stabilisce che il valoroso soldato venga promosso e chiede di essere poi costantemente informato su di lui e sulle sue azioni. E così gli si racconta di volta in volta che Kižé, caduto in disgrazia, è stato esiliato in Siberia, ma poi ottiene il perdono, viene reintegrato nell’esercito, è promosso capitano, poi colonnello e infine generale. A questo punto lo zar vuole conoscerlo di persona: impossibile, si è ammalato, sta tanto male e non può muoversi. Allora l’imperatore si recherà di persona al suo capezzale: troppo tardi, maestà, Kižé è morto. Sinceramente addolorato, lo zar fa predisporre grandiosi funerali di stato.

Per chi volesse vederlo, il film è disponibile su YouTube. Il racconto di Tynjanov è stato pubblicato da Sellerio con il titolo Il sottotenente Summenzionato.

Questo post è dedicato a Luisella del blog Tra Italia e Finlandia, che ha pubblicato un articolo sulla composizione di Prokof’ev, sottolineando il fatto che fra la «Romanza», II movimento della suite, e la canzone di Sting Russians vi sia una singolare somiglianza 🙂

Il tenente Kižé, locandina

Supernal beauty – Poe e la musica

PoeOggi Poe è noto soprattutto per i suoi racconti dell’orrore e del mistero, ma fu anche un sottile umorista, nonché uno dei massimi verseggiatori in lingua inglese.
Nei suoi scritti teorici si trovano alcuni interessanti pensieri sulla musica. «La musica è come l’idea della poesia. L’indeterminatezza dell’esaltazione suscitata da una dolce aria, che deve essere rigorosamente indefinita, è precisamente ciò cui dobbiamo mirare in poesia» (The Philosophy of Composition, 1846). In un altro saggio, The Poetic Principle (1849), Poe afferma di credere nella possibilità del raggiungimento della bellezza divina («supernal beauty») attraverso la fusione della poesia con la musica.
A questo proposito, sempre nel Poetic Principle si legge: «Spesso siamo portati a sentire con un brivido di gioia che da un’arpa terrena si traggono suoni che non possono essere stati ignoti agli angeli». Nella poesia Israfel v’è appunto la visione magica e dolcissima di un regno immaginario che sta fra l’uomo e il cielo, un regno in cui l’angelo Israfel – «le cui corde del cuore sono un liuto» – canta con voce così soave che le stelle cessano i loro inni, la luna arrossisce d’amore e il baleno indugia nel cielo per ascoltare il canto:

If I could dwell
Where Israfel
   Hath dwelt, and he where I,
He might not sing so wildly well
   A mortal melody,
While a bolder note than this might swell
   From my lyre within the sky.

Sulla concezione che Poe aveva della musica può inoltre far luce l’ingegnoso passo del racconto Bon-Bon (1845; originariamente The Bargain Lost, 1832) ove il Diavolo narra di aver ispirato a Platone la frase «ὁ νούς εστιν αὐλός» (il pensiero è aulo, cioè musica): ma, pentitosi di aver divulgato una verità, e tornato dal filosofo proprio mentre questi stava vergando l’ultima parola, «dando un colpetto al lambda» lo capovolse, sicché la frase si legge ora «ὁ νούς εστιν αὐγός» (= αὐγή; il pensiero è luce).

Nei racconti di Poe non vi sono molti riferimenti alla musica: questo perché lo scrittore sente e dichiara l’esigenza di escludere tutti gli elementi non assolutamente necessari al progresso della ricerca fantastica. Sicché quando la musica entra nel meccanismo narrativo ne costituisce sempre un ingrediente essenziale: serve infatti a sottolineare un particolare stato d’animo, a meglio descrivere una situazione, ad accrescerne il pathos.
Così, per esempio, una musica «sommessa e malinconica, di cui non era possibile scoprire l’origine» contribuisce a creare l’opprimente atmosfera in cui si svolge il dramma di The Assignation; di Roderick Usher si legge che «solo particolari suoni, prodotti da strumenti a corda, non gli ispiravano orrore»; e in The System of Doctor Tarr and Professor Fether una scalcinata orchestrina “accompagna” la vicenda all’apice del grottesco suonando – o tentando di suonare – un improbabile Yankee Doodle.

È noto che la fama di Poe crebbe meno rapidamente in patria che in Europa, ove la sua opera ebbe grande diffusione e successo nella seconda metà dell’Ottocento, dopo che fu tradotta in francese da Baudelaire e poi da Mallarmé. Non è dunque motivo di stupore che, dei numerosi musicisti che a Poe si sono ispirati, la maggior parte siano europei. I testi di Poe che più sovente hanno stimolato la creatività di questi compositori sono i racconti The Masque of the Red Death, da cui sono stati tratti vari balletti, e The Devil in the Belfry; e, fra le poesie, la giovanile To Helen, il celeberrimo poemetto The Raven e soprattutto Annabel Lee e The Bells. Quest’ultima, in particolare, è forse la più musicale fra le creazioni di Poe, con le sue quattro strofe in cui risuonano quattro diversi tipi di campane – le campane d’argento, cioè i sonagli delle carrozze; le campane d’oro delle nozze; le campane di bronzo dell’allarme; e le campane di ferro della morte – delle quali pare di udire veramente i rintocchi: effetto che Poe ottiene con la ripetizione ‘ostinata’ di alcuni monosillabi quali time e, appunto, bells.


Sergej Vasil’evič Rachmaninov (1873 - 1943): Le campane (Колокола), cantata op. 35 per soprano, tenore e baritono solisti, coro misto e orchestra (1913-16). Testo di E. A. Poe, traduzione russa (assai libera) di Konstantin Dmitrievič Bal’mont. Suzanne Murphy, soprano; Keith Lewis, tenore; David Wilson-Johnson, baritono; Royal Scottish National Orchestra & Chorus, dir. Neeme Järvi.
I. Allegro ma non tanto
II. Lento
III. Presto
IV. Lento lugubre


André Caplet (1878 - 1925): Étude symphonique «le Masque de la Mort Rouge» per arpa e orchestra (1909). Frédérique Cambreling, arpa; Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, dir. Georges Prêtre.


Leonard Bernstein (1918 - 1990): Israfel, n. 12 di Songfest: A Cycle of American Poems per voci e orchestra (1977).


Vieri Tosatti (1920 - 1999: Il sistema della dolcezza, dramma musicale assurdo (libretto proprio, da The System of Dr Tarr, 1948-49; 1ª rappresentazione: Bergamo 1951).


Florent Schmitt (1870 - 1958): le Palais hanté, studio sinfonico op. 49 (1904). American Symphony Orchestra, dir. Leon Botstein.

THE HAUNTED PALACE

In the greenest of our valleys
  By good angels tenanted,
Once a fair and stately palace —
  Radiant palace — reared its head.
In the monarch Thought’s dominion,
  It stood there!
Never seraph spread a pinion
  Over fabric half so fair!

Banners yellow, glorious, golden,
  On its roof did float and flow
(This — all this — was in the olden
  Time long ago)
And every gentle air that dallied,
  In that sweet day,
Along the ramparts plumed and pallid,
  A wingèd odor went away.

Wanderers in that happy valley,
  Through two luminous windows, saw
Spirits moving musically
  To a lute’s well-tunèd law,
Round about a throne where, sitting,
  Porphyrogene!
In state his glory well befitting,
  The ruler of the realm was seen.

And all with pearl and ruby glowing
  Was the fair palace door,
Through which came flowing, flowing, flowing
  And sparkling evermore,
A troop of Echoes, whose sweet duty
  Was but to sing,
In voices of surpassing beauty,
  The wit and wisdom of their king.

But evil things, in robes of sorrow,
  Assailed the monarch’s high estate;
(Ah, let us mourn! — for never morrow
  Shall dawn upon him, desolate!)
And round about his home the glory
  That blushed and bloomed
Is but a dim-remembered story
  Of the old time entombed.

And travellers, now, within that valley,
  Through the red-litten windows see
Vast forms that move fantastically
  To a discordant melody;
While, like a ghastly rapid river,
  Through the pale door
A hideous throng rush out forever,
  And laugh — but smile no more.


Henriette Renié (1875 - 1956): Ballade fantastique d’après Le Coeur révélateur d’Edgar Poe per arpa (1912). Sandrine Chatron.


Nikolaj Jakovlevič Mjaskovskij (1881 - 1950): Silenzio (Молчание), parabola sinfonica op. 9 (1909). Orchestra sinfonica di Stato della Federazione russa, dir. Evgenij Fëdorovič Svetlanov.

Silenzio. Parabola
Edgar Allan Poe (1837)

Εὕδουσιν δ’ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες
πρώονές τε καὶ χαράδραι.

Dormono le cime delle montagne;
valli, rupi e caverne sono silenti. (*)

ALCMANE

«Ascoltami», disse il Demone ponendomi una mano sulla testa, «la regione di cui parlo è una tetra zona della Libia, sulle rive del fiume Zaire. Lì non v’è quiete né silenzio.

«Le acque del fiume hanno un malsano color zafferano, e non scorrono verso il mare, ma continuamente ribollono sotto l’occhio infuocato del sole con un moto tumultuoso e convulso. Per molte miglia su entrambi i lati del letto melmoso del fiume si estende un pallido deserto di giganteschi gigli d’acqua. Essi sospirano l’uno nell’altro in quella solitudine, e protendono verso il cielo i lunghi, sottili colli, e dondolano qua e là le teste perenni. Da loro sgorga un indistinto mormorio, come il gorgogliare di una sorgente d’acqua sotterranea. Ed essi sospirano l’uno nell’altro.

«V’è però un confine al loro regno — il limite dell’atra, orribile, alta foresta. Qui, come le acque intorno alle Ebridi, il sottobosco è continuamente agitato. Ma non arriva vento dal cielo. Gli alti alberi primevi ondeggiano eternamente, di qua e di là, con un scroscio possente. E dalle loro alte cime cadono, una dopo l’altra, gocce d’eterna rugiada. E alle loro radici strani fiori velenosi giacciono contorti in un sonno agitato. In alto, con un sordo fruscìo, le grigie nubi corrono in continuazione verso occidente, finché non cadono, una cateratta, oltre l’infuocata parete dell’orizzonte. Ma non arriva vento dal cielo. E sulle rive del fiume Zaire non v’è quiete né silenzio.

«Era notte, e cadeva la pioggia: e mentre cadeva era pioggia, ma una volta caduta era sangue. Io stavo nella palude, fra gli alti gigli, e la pioggia cadeva sulla mia testa ed i gigli sospiravano uno nell’altro nella solennità della loro desolazione.

«E all’improvviso, fra la nebbia sottile e spettrale, sorse la luna, ed era cremisi. Il mio sguardo cadde su un’enorme roccia grigia che si ergeva sulla riva del fiume ed era illuminata dalla luna. E la roccia era grigia e spaventosa e alta; la roccia era grigia. Sulla sua parete anteriore v’erano lettere incise nella pietra. Camminai nella palude dei gigli d’acqua fino a giungere sulla riva, in modo da poter leggere le parole sulla pietra, ma non riuscii a decifrarle. Stavo tornando indietro nella palude quando la luna s’illuminò di un rosso più vivo e io mi voltai; e lessi ancora le lettere sulla roccia — e la parola era DESOLAZIONE.

«Guardai in alto e c’era un uomo sulla sommità della roccia; mi nascosi tra i gigli d’acqua per poter spiare i suoi gesti. Era alto e d’aspetto maestoso, era avvolto dalle spalle ai piedi nella toga dell’antica Roma. I contorni della sua figura erano indistinti, ma le sue fattezze erano quelle di una divinità; il manto della notte, della bruma, della luna e della rugiada aveva lasciato scoperti i lineamenti del suo viso. La sua fronte era alta, pensosa, il suo sguardo tormentato, e nei solchi scavati sulle sue guance lessi storie di dolore, di tedio, di disgusto per l’umanità, e un desiderio di solitudine.

«L’uomo sedette sulla roccia, poggiò il capo sulle mani e chinò lo sguardo sulla desolazione antistante. Guardò in basso l’agitato boschetto di arbusti e in alto gli alti alberi primordiali e ancor più in alto nel cielo corrusco e nella rossa luna. Io ero disteso, nascosto dietro lo schermo dei gigli, e osservavo le azioni dell’uomo. L’uomo tremava in solitudine; ma la notte svaniva ed egli sedeva sulla roccia.

«L’uomo distolse la sua attenzione dal cielo e guardò il tetro fiume Zaire, le gialle orrende acque, la pallida schiera dei gigli d’acqua. L’uomo ascoltava i sospiri dei gigli d’acqua e il mormorio che veniva da loro. Giacevo al riparo delle ninfee e osservavo le azioni dell’uomo. E l’uomo tremava in solitudine — ma la notte svaniva ed egli sedeva sulla roccia.

«Tornai nei recessi della palude, avanzai a fatica nell’intreccio dei gigli, chiamai gli ippopotami che dimoravano nella melma dei recessi della palude. E gli ippopotami udirono il mio richiamo e vennero fino ai piedi della roccia e mugghiarono alte paurose grida sotto la luna. Io giacevo rinchiuso nel mio nascondiglio e osservavo i gesti dell’uomo. L’uomo tremava in solitudine — ma la notte svaniva ed egli sedeva sulla roccia.

«Allora imprecai contro gli elementi con la maledizione del tumulto, e una paurosa tempesta si scatenò nel cielo, là dove prima non c’era alito di vento. Il cielo divenne livido per la violenza della tempesta, la pioggia cadde sulla testa dell’uomo, la corrente del fiume si gonfiò, le rive furono tormentate dagli scrosci, i gigli d’acqua sghignazzavano isterici nel loro letto, la foresta crollava sotto il vento, il tuono rombava, la folgore cadeva, e la roccia oscillava sulla sua base. Io ero racchiuso nel mio nascondiglio e osservavo i gesti dell’uomo. E l’uomo tremava in solitudine — ma la notte svaniva ed egli sedeva sulla roccia.

«Allora mi infuriai e imprecai, con la maledizione del silenzio, contro le rive, i gigli, il vento, la foresta, il cielo, il tuono ed i sospiri dei gigli d’acqua. Furono maledetti e tacquero. La luna cessò di ondeggiare sulla sua traiettoria nel cielo; il tuono morì — il lampo non divampò — le nubi rimasero ferme — le acque sprofondarono al loro livello — gli alberi cessarono di scuotersi — i gigli d’acqua non sospirarono più — il mormorio cessò di levarsi da loro, non c’era più l’ombra di un suono in tutto lo sconfinato deserto. Io guardai le lettere incise sulla roccia ed esse erano cambiate; le lettere dicevano SILENZIO.

«Il mio sguardo cadde sul volto dell’uomo ed il suo volto era pallido di terrore. Sollevò bruscamente la testa dalle mani, si levò in piedi sulla roccia e ascoltò. Ma non c’era alcuna voce in tutto lo sconfinato deserto e le lettere incise sulla roccia dicevano SILENZIO. L’uomo trasalì, volse il viso e fuggì via lontano, veloce, fino a che non lo vidi più.»

Ora si trovano bei racconti nei volumi dei Magi, nei malinconici volumi dei Magi, rilegati in ferro. Là, vi dico, vi sono storie eroiche del cielo, della terra, del possente mare, e dei geni che dominarono il mare, la terra e il cielo sconfinato. Molte leggende sono anche nei responsi dettati dalle sibille, e molte sacre ammonizioni furono udite nell’antichità dalle tremule foglie opache intorno a Dodona — ma, per Allah che vive, quella parabola che mi raccontò il Demone quando sedette al mio fianco nell’ombra del sepolcro credo proprio sia la più splendida di tutte! Quando il Demone ebbe terminato il suo racconto, ricadde nella cavità della tomba e rise. Io non potevo ridere insieme con il Demone, ed egli imprecò contro di me perché non potevo ridere. La lince che dimora in eterno nella tomba ne uscì e si accovacciò ai piedi del Demone, e lo guardò fisso in volto.

(*) Questa non è la traduzione del frammento di Alcmane («Dormono le cime dei monti e le vallate intorno, i declivi e i burroni» nella versione di Salvatore Quasimodo), bensì la… traduzione della traduzione che ne dà Poe: «The mountain pinnacles slumber; valleys, crags and caves are silent».


Composizioni su o ispirate da testi di Edgar A. Poe
(scelta)

  • Dominick Argento [York, Pennsylvania, 1927 – Minneapolis 2019]: The Voyage of Edgar A. Poe, opera teatrale (Minneapolis, 1976); Le Tombeau d’Edgar Poe per tenore e orchestra (con materiale tratto dall’opera precedente, 1986)
  • sir Edward Cuthbert Bairstow [Huddersfield 1874 – York 1946]: Eldorado per coro (1937)
  • Michael William Balfe [Dublino 1808 – Rowney Abbey, Hertfordshire, 1870]: Annabel Lee per voce e pianoforte (c1865)
  • Yves Baudrier [Parigi 1906 – 1988]: Eleonora, suite sinfonica per onde Martenot e piccola orchestra (1938)
  • Irving Berlin [Tjumen’, Siberia, 1888 – New York 1988]: The Bells per voce e pianoforte (1920)
  • Leonard Bernstein [Lawrence, Massachusetts, 1918 – New York 1990]: Israfel, n. 12 di Songfest: A Cycle of American Poems per voci e orchestra (1977)
  • Bruno Bettinelli [Milano 1913 – 2004]: Il pozzo e il pendolo, opera teatrale (libretto di Clemente Crispolti; Bergamo, 1967)
  • Valentino Bucchi [Firenze 1916 – Roma 1976]: Ballata del silenzio per orchestra (1951)
  • Dudley Buck sr [Hartford, Connecticut, 1839 – Orange, New Jersey, 1909]: The Bells per voce e pianoforte (1866)
  • André Caplet [Le Havre 1878 – Neuilly-sur-Seine 1925]: Étude symphonique «le Masque de la Mort Rouge» per arpa e orchestra (1909; rielaborazione per arpa e quartetto d’archi con il titolo Conte fantastique, 1919)
  • Nikolaj Nikolaevič Čerepnin [San Pietroburgo 1873 – Issy-les-Moulineaux, Parigi, 1945]: le Masque de la Mort Rouge, balletto (Pietrogrado 1916)
  • Philip Greeley Clapp [Boston 1888 – Iowa City 1954]: A Dream within a Dream, Hymn, Evening Star e To Helen per voce e pianoforte (1942)
  • Bruno Coli [Genova 1957]: The Tell-Tale Heart, opera (Rovigo 2004); The Angel of the Odd, opera (Poznań 2014)
  • George Henry Crumb [Charleston 1929]: The Sleeper per soprano e pianoforte (1984)
  • Claude Debussy [Saint-Germain-en-Laye 1862 – Parigi 1918]: le Diable dans le beffroi, racconto musicale (libretto proprio; 1902-1911, incompiuto); la Chûte de la Maison Usher, opera teatrale (idem; 1908-1917, idem)
  • Arkadij Dubenskij [Vjatka, Kirov, 1890 – Tenafly, New Jersey, 1966]: The Raven per coro e orchestra (1931)
  • Arthur William Foote [Salem, Massachusetts, 1853 – Boston 1937]: The Bells per coro (1901)
  • Cecil Forsyth [Greenwich 1870 – New York 1941]: To Helen per coro (1927)
  • John Herbert Foulds [Manchester 1880 – Calcutta 1939]: The Tell-Tale Heart per voce recitante e orchestra da camera (1910)
  • Roberto García Morillo [Buenos Aires 1911 – 2003]: Usher, mimodramma op. 8 (Buenos Aires 1948); El caso Maillard, opera teatrale op. 41 (libretto proprio, da The System of Doctor Tarr and Professor Fether; ivi 1977)
  • Henry Franklin Belknap Gilbert [Somerville, Massachusetts, 1868 – Cambridge, Massachusetts, 1928]: The Island of the Fay per pianoforte (1904; versione per orchestra, 1923)
  • Philip Glass [Baltimora 1937]: The Fall of the House of Usher, opera in 2 atti (libretto di Arthur Yorinks; Cambridge, Massachusetts, 1988)
  • Michail Fabjanovič Gnesin [Rostov sul Don 1883 – Mosca 1957]: Il verme conquistatore per voce e orchestra op. 12 (traduzione russa di Konstantin Bal’mont; 1913)
  • Edward Burlingame Hill [Cambridge, Massachusetts, 1872 – Francestown, New Hampshire, 1960]: The Fall of the House of Usher, poema sinfonico op. 27 (1919-1920)
  • Josef Holbrooke [Croydon, Surrey, 1878 – Londra 1958]: The Raven, poema sinfonico op. 25 (1900); Ulalume, idem op. 35 (1901-1903); Al Aaraf, sestetto per archi op. 43 (1902); The Bells per coro e orchestra op. 50 (1903); Annabel Lee per voce e pianoforte (1906); Israfel, sestetto per pianoforte e strumenti a fiato op. 33a (1906); Homage to Edgar Allan Poe, «dramatic choral symphony» op. 48 (The Haunted Palace, Hymn, The City in the Sea e The Valley Nis; 1908); Fate, or Ligeia, quintetto per clarinetto e archi op. 27 n. 2 (1910); The Red Masque, balletto (1914); Tamerlane, concerto per clarinetto (o sassofono), fagotto e orchestra op. 115 (1939)
  • Albert Huybrechts [Dinant 1899 – Bruxelles 1938]: Trois Poèmes d’Edgar A. Poe per soprano (o mezzosoprano) e pianoforte (Eldorado, Je ne prends point garde e À la rivière, traduzione di Stéphane Mallarmé; 1928); Eldorado, trascrizione per voce e orchestra (1928)
  • Désiré-Émile Inghelbrecht [Parigi 1880 – 1965]: le Diable dans le beffroi, balletto (Parigi 1927)
  • John Nicholson Ireland [Bowdon, Cheshire, 1879 – Rock Mill, Sussex, 1962]: Annabel Lee per voce recitante e pianoforte (c1910)
  • Léon Jongen [Liegi 1884 – Bruxelles 1969]: le Masque de la Mort Rouge, balletto (Bruxelles 1956)
  • Edgard Stillman Kelley [Sparta, Wisconsin, 1857 – New York 1944]: Israfel e Eldorado per voce e orchestra (1901); The Sleeper per coro (1904); The Pit and the Pendulum, suite sinfonica (1925)
  • Frederick Saint John Lacy [Blackrock, Cork, 1862 – Cork 1935]: Annabel Lee, cantata per tenore, coro e orchestra op. 2 (1887)
  • Constant Lambert [Londra 1905 – 1951]: King Pest per orchestra (1937)
  • Franco Leoni [Milano 1864 – Londra 1949]: The Bells per coro (1908)
  • William Charles Levey [Dublino 1837 – Londra 1894]: Annabel Lee e The Raven per voce e pianoforte (c1865)
  • Gaël Liardon [Losanna 1973]: Eldorado
  • Charles Martin Loeffler [Mulhouse 1861 – Medfield, Massachusetts, 1935]: A Dream within a Dream e To Helen per voce e pianoforte (1906)
  • Adriano Lualdi [Larino, Campobasso, 1885 – Milano 1971]: Il diavolo nel campanile, opera teatrale (libretto proprio; Milano 1925)
  • James Albert Mallinson [Leeds 1870 – Helsingør 1946]: Eldorado per voce e pianoforte (1901)
  • Enzo Masetti [Bologna 1893 – Roma 1961]: The Bells per voce e pianoforte (1925)
  • Darius Milhaud [Aix-en-Provence 1892 – Ginevra 1974]: The Bells, balletto (Chicago 1946)
  • Nikolaj Jakovlevič Mjaskovskij [Novo-Georgievsk, Varsavia, 1881 – Mosca 1950]: Silenzio, parabola sinfonica op. 9 (1909)
  • Slavko Osterc [Verzej, Slovenia, 1895 – Lubiana 1941]: Maska rdeče smrti, balletto (Lubiana 1932)
  • Flor Peeters [Tielen, Anversa, 1903 – Anversa 1986]: Annabel Lee per voce recitante e pianoforte op. 86a (1956)
  • Claude Prey [Fleury-sur-Andelle, Eure, 1925 – Parigi 1998]: Le coeur révélateur, opera da camera (libretto di Philippe Soupault; 1964)
  • Sergej Vasil’evič Rachmaninov [Oneg, Novgorod, 1873 – Beverly Hills, California, 1943]: Le campane, cantata per soprano, tenore, baritono, coro e orchestra op. 35 (traduzione russa di K. Bal’mont; 1913, revisione 1916)
  • Augusta Read Thomas [Glen Cove, New York, 1964]: Ligeia, opera teatrale (libretto di Leslie Dunton-Downer; Évian 1994)
  • Herbert Owen Reed [Odessa, Missouri, 1910 – Athens, Georgia, 2014]: The Mask of the Red Death, balletto-pantomima (1936)
  • Aribert Reimann [Berlino 1936]: Drei Lieder nach Gedichten von Edgar A. Poe per soprano e orchestra (1980-1982)
  • Henriette Renié [Parigi 1875 – 1956]: Ballade fantastique d’après Le Coeur révélateur d’Edgar Poe per arpa (1912)
  • José Rogel [Orihuela, Alicante, 1829 – Cartagena 1901]: ¿Quién es el loco?, musiche di scena (da The System of Dr Tarr; 1867)
  • Lazare Saminsky [Vale-Gozulovo, Odessa, 1882 – Port Chester, New York, 1959]: Gagliarda of a Merry Plague, opera-balletto (da The Mask of the Red Death; New York 1925)
  • Henri Sauguet [Bordeaux 1901 – Parigi 1989]: le Caméléopard, balletto (sceneggiatura di Alain Vigot, da Four Beasts in One; Parigi 1956)
  • Florent Schmitt [Blamont, Meurthe-et-Moselle, 1870 – Neuilly-sur-Seine 1958]: le Palais hanté, studio sinfonico op. 49 (1904)
  • Déodat de Séverac [Saint-Félix-de-Caraman, Tolosa, 1872 – Céret, Pyrénéees-Orientales, 1921]: Un rêve (= A Dream within a Dream) per voce e pianoforte (1914)
  • Bertram Shapleigh [Boston 1871 – Washington 1940]: To Helen, To F–, Hymn, Eldorado e To the River per voce e pianoforte (c1900); The Raven per coro e orchestra op. 50 (c1906)
  • Martin Edward Fallas Shaw [Londra 1875 – Southwold, Suffolk, 1958]: Annabel Lee per voce e pianoforte (1921)
  • Lazar “Larry” Sitsky [Tientsin 1934]: The Fall of the House of Usher, opera teatrale (libretto di Gwen Harwood; 1965)
  • sir Arthur Somervell [Windermere, Westmoreland, 1863 – Londra 1937]: Annabel Lee per voce e pianoforte (c1900)
  • Oscar George Theodore Sonneck [Jersey City 1873 – New York 1928]: Four Poems by Edgar A. Poe per voce e pianoforte op. 16 (To Helen, To F–, Eldorado e A Dream within a Dream; 1917)
  • John Philip Sousa [Washington 1854 – Reading, Pennsylvania, 1932]: Annabel Lee per voce e pianoforte (c1930)
  • Erich Walter Sternberg [Berlino 1891 – Tel Aviv 1974]: Haorew per baritono e orchestra (da The Raven; 1953)
  • George Templeton Strong [New York 1856 – Ginevra 1948]: Annabel Lee per voce e pianoforte (1924)
  • sir Arthur Seymour Sullivan [Lambeth, Londra, 1842 – 1900]: To One in Paradise per voce e pianoforte (c1900)
  • Joseph Deems Taylor [New York 1885 – 1966]: To Helen per voce e pianoforte (1930)
  • George William Torrance [Rathmines, Dublino, 1835 – Kilkenny 1907]: A Dream within a Dream per coro (1904)
  • Vieri Tosatti [Roma 1920 – 1999]: Il sistema della dolcezza, dramma musicale assurdo (libretto proprio, da The System of Dr Tarr; Bergamo 1951); Il Paradiso e il Poeta, dramma musicale in 3 atti e 4 quadri liberamente tratto da testi vari di Poe (1965; eseguito in versione da concerto a Torino nel 1971)
  • Giulio Viozzi [Trieste 1912 – Verona 1984]: Allamistakeo, opera teatrale (libretto proprio, da Some Words with a Mummy; Bergamo 1954)
  • Richard Henry Walthew [Londra 1872 – East Preston, Surrey, 1951]: Eldorado (1896) e Annabel Lee (1923) per voce e pianoforte
  • Amilcare Castore Zanella [Monticelli d’Ongina, Piacenza, 1873 – Pesaro 1949]: Edgar Poe, impressione sinfonica (1921)

Inoltre, il compositore austro-tedesco Franz Schreker [Principato di Monaco 1878 – Berlino 1934] dal racconto The Masque of the Red Death trasse un libretto d’opera (Der rote Tod, 1911; il testo è pubblicato in Dichtungen für Musik, 2 voll., Vienna 1920-21).