Casa, dolce casa

Quando, per pura curiosità, ho cercato “home sweet home” nel web, sono rimasto alquanto sorpreso: nei primi 150 risultati della ricerca eseguita tramite Google, non compare nemmeno una volta il nome di Henry Bishop.
“Musicista?” chiederete voi. Certo: sir Henry Rowley Bishop (18 novembre 1786 - 1855) scrisse un gran numero di cantate, balletti e opere liriche; fra queste ultime si annovera Clari, or The Maid of Milan (1823), composta su libretto dello statunitense John Howard Payne: fa parte dell’opera l’aria «Mid pleasures and palaces» nota, per via del refrain, appunto con il titolo Home! Sweet Home! Qui potete ascoltarla nell’interpretazione del soprano Greta Bradman accompagnata dall’arpista Suzanne Handel:

Mid pleasures and palaces though we may roam,
Be it ever so humble, there’s no place like home;
A charm from the skies seems to hallow us there,
Which seek thro’ the world, is ne’er met elsewhere.
Home! Home!
Sweet, sweet home!
There’s no place like home,
There’s no place like home!

An exile from home splendor dazzles in vain.
Oh, give me my lowly thatched cottage again,
The birds singing gaily that came at my call
And gave me the peace of mind, dearer than all.
Home! Home!
Sweet, sweet home!
There’s no place like home,
there’s no place like home!

Home! Sweet Home! venne pubblicato come brano a sé stante, in un primo tempo con la dicitura «composed and partly founded on a Sicilian Air» (in seguito Bishop ammise di aver inventato questo particolare a scopo promozionale). Divenne subito incre­di­bil­mente popolare: in breve tempo ne furono vendute oltre centomila copie. Nel 1852, curata dall’autore, ne uscì una nuova edizione a stampa come parlour ballad (cioè, in sostanza, una romanza da camera), e in questa veste ottenne ampio successo anche negli Stati Uniti: difatti, ancora oggi è spesso presente nelle antologie di musiche risalenti agli anni della guerra di secessione (1861-1865).

La vasta popolarità di cui Home! Sweet Home! godette nel corso dell’Ottocento è testimoniata dal fatto che la sua melodia è citata in varie composizioni dell’epoca. Già nel 1827 venne utilizzata dallo svedese Franz Berwald (1796 - 1868) nella sezione mediana, Andante con variazioni, del suo Konzertstück per fagotto e orchestra op. 2 — qui interpretato da Patrik Håkansson con l’Orchestra sinfonica di Gävle diretta da Petri Sakari:

[l’Andante con variazioni ha inizio a 5:43]

Altra citazione celebre si trova all’inizio della «scena della pazzia» (aria «Cielo, a’ miei lunghi spasimi», atto II, scena 3ª) nella tragedia lirica Anna Bolena, rappresentata nel 1830, di Donizetti (1797 - 1848) — ascoltate Maria Callas:


Risale al 1855 circa l’opus 72 di Sigismond Thalberg (1812 - 1871), Home! Sweet Home! Air Anglais varié per pianoforte; nel video qui sotto è eseguito da Dennis Hennig:


Un’altra breve serie di variazioni, per cornetta a pistoni sola, si deve a Jean-Baptiste Arban (1825 – 1889); per ascoltarla (o riascoltarla) — potete farlo leggendo (o rileggendo) allo stesso tempo uno spassoso racconto di Jerome K. Jerome — cliccate qui.

Voglio menzionare ancora, per finire, la Fantaisie sur deux mélodies anglaises per organo op. 43 di Alexandre Guilmant (1837 - 1911): in questa composizione, del 1887 circa, Home! Sweet Home! è associato a un altro famosissimo brano inglese, Rule, Britannia! di Thomas Arne (1710 - 1778). Ecco la Fantaisie di Guilmant eseguita da Bernhard Schneider all’organo Klais della Chiesa di Sankt Aegidien in Braunschweig:


Folk songs: 8. Annie Laurie


Annie Laurie, ballad scozzese attribuita a William Douglas (1672? - 1748) con melodia di Alicia Scott (nata Alicia Ann Spottiswoode, 1810 - 1900). Interpreti Deanna Durbin (registrazione del 1936: Durbin aveva 14 anni) e, in un arrangiamento di Alice Parker e Robert Shaw, il Westminster Choir diretto da Joseph Flummerfelt.

Maxwelton’s braes are bonnie,
Where early fa’s the dew,
‘Twas there that Annie Laurie
Gi’ed me her promise true.
Gi’ed me her promise true —
Which ne’er forgot will be,
And for bonnie Annie Laurie
I’d lay me down and dee.

Her brow is like the snaw-drift,
Her neck is like the swan,
Her face it is the fairest,
That ‘er the sun shone on.
That ‘er the sun shone on —
And dark blue is her e’e,
And for bonnie Annie Laurie
I’d lay me down and dee.

Like dew on gowans lying,
Is the fa’ o’ her fairy feet,
And like winds, in simmer sighing,
Her voice is low and sweet.
Her voice is low and sweet —
And she’s a’ the world to me;
And for bonnie Annie Laurie
I’d lay me down and dee.

Secondo la tradizione, l’amore fra William Douglas, capitano dei Royal Scots, e Annie, figlia di Robert Laurie, primo baronetto di Maxwellton, fu osteggiato dal padre di lei, forse perché Annie era all’epoca molto giovane, o forse perché Douglas era fedele alla causa giacobita. Comunque sia, si sa per certo che Douglas infine si consolò fra le braccia di una ereditiera del Lanarkshire, Elizabeth Clerk di Glenboig: i due convolarono a nozze nel 1706 a Edimburgo. Tre anni dopo, Annie sposò Alexander Fergusson, 14° Laird di Craigdarroch; ebbe una vita relativamente felice e morì ottantunenne nel 1764.
Non è certo che il testo della ballata sia stato scritto da William Douglas: è probabile che il vero autore sia lo scrittore e giornalista scozzese Allan Cunningham (1784 - 1842), il quale collaborò alla stesura del Ballad Book curato da Charles Kirkpatrick Sharpe (1781? - 1851), la cui edizione originale, del 1823, contiene la prima pubblicazione a stampa di Annie Laurie. Il testo fu poi rimaneggiato da Alicia Scott per adattarlo alla musica da lei stessa precedentemente composta per un’altra poesia scozzese, Kempye Kaye.


Il fantasma della camera azzurra
(Storia di mio zio)

— Non voglio impaurirvi — iniziò mio zio, con tono di voce particolarmente solenne, per non dire che faceva gelare il sangue nelle vene — e, se preferite che non ne parli, non lo farò; ma il fatto è che proprio questa casa, dove siamo ora riuniti, è infestata.

— Non me lo dica! — esclamò Mister Coombes.

— Che mi dice a fare di non dirglielo, se l’ho appena detto? — ribatté lo zio con una certa stizza. — Lei dice cose assurde! Vi dico che questa casa è infestata. Regolarmente, la Vigilia di Natale, la Camera azzurra [a casa dello zio chiamavano Camera azzurra la stanza vicina a quella dei bambini, perché quasi tutto il servizio da toletta era di quel colore] è infestata dal fantasma di un criminale, un uomo che una volta uccise con un pezzo di carbone uno di quei cantanti che, a Natale, vanno di casa in casa.

— Come fece? — chiese Mister Coombes, con curiosità e impazienza. — Fu difficile?

— Non so come fece — rispose lo zio, — non mi spiegò il procedimento. Il cantante era in piedi dentro l’entrata principale e stava cantando una ballata. Si presume che, quando aprì la bocca per il si bemolle, il criminale abbia lanciato il pezzo di carbone da una delle finestre e questo si sia infilato nella gola del cantante e l’abbia soffocato.

— Bisogna essere un bravo tiratore, ma vale certamente la pena di provare — mormorò pensosamente Mister Coombes.

— Ma quello non fu il suo unico crimine, ahimé! — aggiunse lo zio. — Prima, aveva ucciso un solista di cornetta.

— No! Ma è un fatto veramente accaduto? — chiese Mister Coombes.

— Certo che è un fatto veramente accaduto — rispose lo zio, irritato. — Almeno, per quanto si possa parlare di fatti in casi di questo tipo. Com’è pignolo, stasera. Le prove indiziarie erano schiaccianti. Il poveretto, il solista di cornetta, si trovava in questa zona da appena un mese. Il vecchio Mister Bishop, che allora gestiva il Jolly Sand Boys, e dal quale ho saputo la storia, diceva di non aver mai visto un solista di cornetta più operoso e attivo. Il solista di cornetta conosceva solo due motivi, ma Mister Bishop diceva che quell’uomo non avrebbe potuto suonare con più energia, né per più ore al giorno, se ne avesse conosciuti quaranta. I due motivi che suonava erano Annie Laurie e Home! Sweet Home! e, per ciò che concerne l’esecuzione della prima melodia, Mister Bishop diceva che l’avrebbe capita anche un bambino. Questo musicista, questo povero artista senza amici, aveva l’abitudine di venire regolarmente a suonare in questa strada, proprio qui di fronte, due ore ogni sera. Una sera, fu visto entrare proprio in questa casa, evidentemente in risposta a un invito, ma non fu mai visto uscirne!

— I cittadini provarono a offrire una ricompensa per il suo ritrovamento? — chiese Mister Coombes.

— Neanche mezzo penny — replicò lo zio.

— Un’altra estate — continuò lo zio, — venne qui una banda musicale tedesca, che voleva (così annunciarono, al loro arrivo) fermarsi fino all’autunno. Due giorni dopo il loro arrivo, tutta la compagnia, dei pezzi d’uomini così sani e vigorosi che faceva piacere guardarli, fu invitata a cena da questo criminale e, dopo aver passato a letto le ventiquattr’ore successive, lasciò la città: degli uomini finiti, gravemente ammalati di dispepsia. Il medico condotto, che li aveva assistiti, disse che, secondo lui, difficilmente anche uno solo di loro sarebbe stato in grado di suonare di nuovo un’aria.

— Lei… lei non conosce la ricetta, vero? — chiese Mister Coombes.

— Sfortunatamente no — replicò lo zio, — ma si disse che l’ingrediente principale fosse pasticcio di carne di maiale del buffet della stazione. Ho dimenticato gli altri crimini di quest’uomo — continuò lo zio, — prima li conoscevo tutti, ma la mia memoria non è più quella di una volta. Non penso, comunque, di fare torto alla sua memoria se affermo che non fu del tutto estraneo alla morte, e poi al seppellimento, di un signore che suonava l’arpa con le dita dei piedi; e che non aveva la coscienza pulita neppure circa la tomba solitaria di un forestiero sconosciuto che venne una volta in questa zona, un contadinello italiano che suonava l’organetto di Barberia. Ogni anno, la Vigilia di Natale — disse lo zio in tono basso e solenne, rompendo lo strano silenzio sgomento che, come un’ombra, sembrava essersi lentamente infiltrato, furtivo, nella stanza, per poi avvolgerla completamente, — il fantasma di questo criminale infesta la Camera azzurra, proprio in questa casa. Là, da mezzanotte fino al canto del gallo, tra grida selvagge soffocate e gemiti e risate di scherno e il suono spettrale di orridi tonfi, sostiene una fiera lotta fantasma con gli spiriti del solista di cornetta e del cantante assassinato, aiutati, ogni tanto, dalle ombre della banda musicale tedesca, mentre il fantasma dell’arpista strangolato suona folli melodie spettrali, con dita di piedi fantasma, sullo spettro di un’arpa rotta.

Lo zio disse che la Camera azzurra era praticamente inutile, come camera da letto, la Vigilia di Natale.

— Ascoltate! — disse lo zio alzando una mano verso il soffitto, in segno di ammonimento, mentre noi trattenevamo il respiro e ascoltavamo. — Ascoltate! Credo che siano loro: nella Camera azzurra!

da Jerome K. Jerome, Storie di fantasmi per il dopocena
(Told After Supper, 1891. Qui il testo originale.)


Jean-Baptiste Arban (1825 - 1889): Variazioni per cornetta a pistoni su Home! Sweet Home! di sir Henry Bishop (1786 - 1855).