En fais et dictz, en chansons et accords

Claudin de Sermisy (c1490 - 1562): Tant que vivray, chanson a 4 voci (pubblicata nella raccolta Chansons nouvelles, 1527, n. 2) su testo di Clément Marot (L’Adolescence clémentine, Chanson XII). Ensemble «Clément Janequin».

Tant que vivray en âge florissant,
Je serviray d’Amour le dieu [roy] puissant,
En fais et dictz, en chansons et accords.
Par plusieurs jours m’a tenu languissant,
Mais apres dueil m’a faict resjouyssant,
Car j’ay l’amour de la belle au gent corps.
Son alliance
Est ma fiance:
Son cueur est mien,
Mon cueur est sien;
Fy de tristesse,
Vive lyesse,
Puis qu’en amour a tant de bien.

Quand je la veulx servir et honnorer,
Quand par escriptz veulx son nom décorer,
Quand je la veoy et visite souvent,
Les envieulx n’en font que murmurer,
Mais nostre amour n’en sçauroit moins durer:
Aultant ou plus en emporte le vent.
Maulgré envie
Toute ma vie
Je l’aymeray,
Et chanteray:
C’est la première,
C’est la dernière,
Que j’ay servie et serviray.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Claudin de Sermisy, un musicista per quattro re

Claudin de Sermisy viene ricordato come un influente compositore francese del Rinascimento, il cui nome deriva probabilmente dal suo luogo di nascita, Sermaize nell’Oise. La sua lunga e prestigiosa carriera si svolse principalmente al servizio di ben quattro sovrani francesi: Luigi XII, Francesco I, Enrico II e Francesco II, ricoprendo i ruoli di cantore e, successivamente, di maestro di cappella.

Primi passi e formazione. Ingresso nella Cappella Reale e primi benefici
Le informazioni sulla sua infanzia sono scarse, ma è documentato il suo ingresso come enfant de chœur nella Sainte-Chapelle di Parigi già nel 1508. Nel 1510, figura come cantante nella cappella privata della regina Anna di Bretagna. Nel 1514, probabilmente dopo la morte della regina, Sermisy divenne cantore nella cappella reale, servendo sotto Luigi XII e poi Francesco I. La sua carriera ecclesiastica iniziò parallelamente, con la nomina a canonico nella diocesi di Noyon il 30 gennaio 1516. Ottenne anche il beneficio del priorato di Saint-Jean de Bouguennec (diocesi di Nantes) e richiese al papa dispense per cumulare benefici altrimenti inconciliabili.

Presenza in eventi storici e incarichi ecclesiastici. Ritorno a Parigi e ruolo di vice-maestro
Sermisy partecipò come cantante ai negoziati di pace tra il Papa Leone X e Francesco I a Bologna nel dicembre 1515, ricevendo dispense papali e il canonicato a Noyon poco dopo. Si ipotizza la sua presenza anche alle sfarzose celebrazioni dell’incontro del Campo del Drappo d’Oro nel 1520. Successivamente, divenne canonico di Notre-Dame-de-la-Rotonde a Rouen, carica che lasciò nel 1524 per un’altra a Camberon (diocesi di Amiens). Nel 1532, Sermisy tornò a Parigi come vice-maestro della musica della cappella reale, allora diretta dal cardinale de Tournon. In questa veste, era responsabile dell’educazione musicale dei pueri cantus, della conservazione dei libri di musica e del reclutamento dei coristi, percependo un salario annuo iniziale di 400 lire tornesi. Dal 20 settembre 1533, cumulò questa posizione con quella di canonico prebendato della Sainte-Chapelle, mantenendola fino alla morte. Rimase al servizio dei re di Francia almeno fino al 1554, anno in cui gli fu concessa anche la prebenda di Sainte-Catherine de Troyes.

Ultimi anni, prosperità e morte
È possibile che abbia partecipato alle cerimonie del secondo incontro tra i re di Francia e Inghilterra a Boulogne nel 1532. Possedeva una casa a Parigi sufficientemente grande da ospitare i chierici fuggiti da Saint-Quentin nel 1559. Il suo stipendio come vice-maestro aumentò progressivamente (600 lire nel 1543, 700 nel 1547), cui si aggiungevano i cospicui redditi derivanti dai suoi numerosi canonicati (ne ricevette 13) e altre prebende. Claudin de Sermisy morì a Parigi il 13 ottobre 1562, vittima di un’epidemia di peste, e fu sepolto nella cappella bassa della Sainte-Chapelle. Il suo amico ed ex allievo Pierre Certon ne cantò le lodi in un poema.

Opera musicale: un lascito di fama imperitura
Sermisy godette di un’enorme reputazione durante la sua vita, venendo considerato dai contemporanei uno dei massimi maestri del suo tempo, al pari di Josquin Despres. La maggior parte delle sue opere è pubblicata nell’edizione critica Claudin de Sermisy, Opera omnia. La sua cospicua produzione di musica sacra iniziò a essere pubblicata a partire dal 1542, nella seconda fase della sua carriera.
È autore di 13 messe polifoniche (incluso un Requiem), per lo più a quattro voci, oltre a un Kyrie e un Credo isolati. Stampate principalmente tra il 1556 e il 1568 (molte da Nicolas du Chemin a Parigi), sono in gran parte messe-parodia, basate cioè su temi di opere preesistenti. Sermisy attinse spesso ai propri mottetti (Missa «Domini est terra», Missa «Tota pulchra est») e chansons, ma anche a composizioni di altri musicisti (Missa «Voulant honneur», su una chanson di Sandrin). Il suo stile, pur ereditando elementi dalla scuola franco-fiamminga e da Josquin (raggruppamento delle voci a coppie, imitazioni), li alleggerisce con passaggi più omofonici e melodie semplificate, favorendo la chiarezza del testo e mostrando l’influenza dello stile della chanson sulla sua musica sacra.
Si conoscono anche circa 80 mottetti (da 3 a 6 voci, ma prevalentemente a 4), comprese tre lezioni delle tenebre e una decina di magnificat a quattro voci negli otto toni. Questi si trovano in varie raccolte e in tre monografie dedicate (P. Attaingnant, 1542 e 1548; Adrian Le Roy et Robert Ballard, 1555). Compose anche una Passione secondo San Matteo, una delle più antiche passioni polifoniche conservate.
Le sue circa 170 chansons, infine, furono pubblicate prima della sua musica sacra e composte in gran parte prima del 1536. Come musicista di corte, mise in musica poesie di celebri autori come Clément Marot (ben 30), Francesco I, Margherita di Navarra, François de Tournon e altri. Le sue chansons, generalmente brevi e a 4 voci, godettero di un successo immediato. Si caratterizzano per melodie ben delineate, ritmo variegato, un frequente inizio omofonico, scrittura prevalentemente sillabica e un uso molto discreto del figuralismo (tecnica di rappresentazione musicale del testo). Sermisy ricevette elogi da letterati come Maître Mitou (Jean Daniel), Rabelais e Ronsard.

Tant que vicray: analisi
Pubblicata nel 1527 nella raccolta Chansons nouvelles dall’editore Pierre Attaingnant, questa composizione a 4 voci mette in musica un testo del poeta Clément Marot. Incarna perfettamente lo stile della chanson cosiddetta “parigina” del primo XVI secolo: elegante, chiara, melodicamente accattivante e con una stretta aderenza al testo.
La poesia di Marot è un’espressione gioiosa e devota dell’amore cortese. Nella prima strofa, l’amante dichiara la sua intenzione di servire il dio Amore, finché vivrà, attraverso azioni, parole, canti e musica. Riconosce un periodo di sofferenza passata, ma celebra la gioia attuale derivante dall’amore ricambiato della sua bella. La seconda parte della strofa, con versi più brevi, assume un tono più intimo e assertivo, quasi un motto: l’alleanza con l’amata è la sua fiducia, i loro cuori sono uniti. Si conclude con un rifiuto della tristezza e un’esaltazione della letizia, data la grande felicità che l’amore porta.
Nella seconda strofa, invece, l’amante descrive le sue azioni devote verso l’amata: servirla, onorarla, celebrare il suo nome per iscritto e visitarla spesso. Nonostante le maldicenze degli invidiosi, il loro amore è saldo e non ne viene scalfito. La seconda parte, simile alla prima strofa, ribadisce la fedeltà per tutta la vita, nonostante l’invidia altrui. L’amata è la prima e l’ultima che ha servito e servirà.
Il tono è positivo, celebrativo e fiducioso. La struttura di ogni strofa, con una prima parte narrativa seguita da versi più brevi e incisivi, suggerisce una possibile differenziazione musicale. La chanson è in forma strofica, il che significa che la stessa musica viene utilizzata per entrambe le strofe del test. Analizzando una singola strofa, la sua struttura musicale può essere delineata come AABC.
La prima occorrenza della sezione A copre i primi tre versi della poesia. La musica è fluida, con una melodia chiara e memorabile. La seconda occorrenza ripete esattamente la musica precedente per i successivi tre versi. Questa ripetizione musicale rafforza l’unità della prima parte della strofa poetica.
La seconda sezione mette in musica i quattro brevi versi successivi. Si nota un cambiamento di carattere: la musica qui è spesso più concisa e ritmicamente definita, riflettendo la natura più assertiva e quasi sentenziosa del testo. Le frasi sono più brevi e le cadenze più frequenti. I restanti tre versi brevi formano la sezione conclusiva. Questa sezione porta la strofa a una chiusura soddisfacente, spesso con un carattere affermativo e gioioso, in particolare sulla parola lyesse (letizia).
Sermisy impiega quattro voci (tipicamente superius, contratenor altus, tenor e bassus). La caratteristica predominante della tessitura è l’omofonia o, più precisamente, l’omoritmia: tutte le voci tendono a muoversi insieme ritmicamente, cantando le stesse sillabe nello stesso momento. Questo approccio garantisce una straordinaria chiarezza del testo, un tratto distintivo della chanson parigina, in contrasto con la più complessa polifonia imitativa tipica del mottetto o della chanson franco-fiamminga dell’epoca precedente. L’effetto è quello di un’armonia piena e sonora, dove le voci si fondono in accordi chiari e ben definiti.
La melodia principale è affidata alla voce superiore (superius), come consuetudine nella chanson parigina. È aggraziata, cantabile e ben costruita, caratterizzata prevalentemente dal moto per gradi congiunti, con intervalli più ampi usati con parsimonia e generalmente per effetti espressivi o per delineare l’inizio di una nuova frase. La melodia si adatta perfettamente alla prosodia della lingua francese, seguendo l’accentazione naturale delle parole. La sua semplicità apparente nasconde una grande raffinatezza artigianale.
L’armonia è diatonica e prevalentemente consonante. Sermisy utilizza un linguaggio armonico che, pur essendo modale, anticipa per certi versi la tonalità funzionale. Le cadenze sono chiare e ben posizionate, sottolineando la fine di ogni verso poetico e delle sezioni musicali, contribuendo a dare un senso di direzione e coesione all’intera composizione. L’armonia crea un tessuto sonoro ricco ma trasparente, privo di asprezze e molto gradevole all’ascolto.
Il ritmo della chanson segue la declamazione naturale del testo francese. È generalmente fluido e scorrevole. Il metro è prevalentemente binario, ma con la flessibilità tipica della musica rinascimentale, dove il flusso testuale può influenzare sottili variazioni agogiche. Nella sezione B e soprattutto nella C, in corrispondenza dei versi più brevi ed esclamativi, il ritmo diventa leggermente più marcato o vivace.
Sebbene la chanson parigina non faccia un uso estensivo del madrigalismo esplicito come la musica italiana coeva, Sermisy dimostra una sensibile attenzione al significato del testo. Il carattere generale della musica è gioioso, elegante e sereno, rispecchiando perfettamente il tono della poesia di Marot. La parola languissant (languente) nella sezione A è spesso resa con note leggermente più lunghe o un movimento melodico più dolce, suggerendo sottilmente lo stato d’animo. Al contrario, resjouyssant (rallegrante) e soprattutto Vive lyesse (viva la letizia) nella sezione C sono spesso caratterizzate da un andamento melodico e ritmico più brillante e affermativo, talvolta con un profilo melodico ascendente. La struttura chiara e la predominanza omofonica assicurano che il messaggio del poeta sia trasmesso con la massima intelligibilità, che era uno degli obiettivi principali di questo genere.

Nel complesso, Tant que vivray è un capolavoro di concisione, eleganza e grazia melodica. La sua perfetta fusione tra il testo di Marot e la musica ha garantito la sua popolarità duratura, rendendola un’icona della chanson rinascimentale francese. La sua struttura chiara, la tessitura prevalentemente omofonica, l’armonia consonante e la melodia accattivante ne fanno un brano immediatamente apprezzabile, che continua ad affascinare gli ascoltatori anche a distanza di secoli.

Chiari di Luna – VI

Clara Schumann (1819 - 20 maggio 1896): Der Mond kommt still gegangen, Lied per voce e pianoforte op. 13 n. 4 (1844) su testo di Emanuel Geibel (1815 - 1884). Barbara Bonney, soprano; Vladimir Aškenazij, pianoforte.

Der Mond kommt still gegangen
Mit seinem gold’nen Schein.
Da schläft in holdem Prangen
Die müde Erde ein.

Und auf den Lüften schwanken
Aus manchem treuen Sinn
Viel tausend Liebesgedanken
Über die Schläfer hin.

Und drunten im Tale, da funkeln
Die Fenster von Liebchens Haus;
Ich aber blicke im Dunkeln
Still in die Welt hinaus.

La luna silenziosamente avanza con il suo chiarore dorato. Là si addormenta in incantevole splendore la terra stanca.
E nell’aria migliaia di pensieri d’amore da molte menti fedeli fluttuano sui dormienti.
E giù nella valle le finestre della casa del mio tesoro scintillano; ma io in silenzio guardo il mondo nell’oscurità.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Clara Schumann: melodia di una vita straordinaria – virtuosa, compositrice, donna

Introduzione
Clara Schumann (nata Wieck) viene ricordata come una figura poliedrica nel panorama musicale tedesco dell’epoca: pianista di fama mondiale, compositrice, stimata insegnante di pianoforte ed editrice. Bambina prodigio, si focalizzò subito su opere virtuosistiche, incluse le proprie, per poi passare a lavori del marito Robert e dei maggiori compositori del tempo (Chopin, Mendelssohn, Beethoven, Bach, Schubert e Brahms), contribuendo a definire il canone concertistico del tardo XIX e XX secolo.

Origini familiari, primi anni, formazione da Wunderkind e ascesa internazionale
Nata a Lipsia nella famiglia di Friedrich Wieck – teologo di formazione ma appassionato di musica al punto da diventare insegnante di pianoforte, fondatore di una fabbrica di pianoforti e di una biblioteca musicale – e di sua moglie Mariane Tromlitz, Clara iniziò a parlare tardi, probabilmente a quattro anni, durante un soggiorno di un anno con la madre presso i nonni materni a Plauen, dopo il quale tornò sotto la tutela paterna.
Già prima di questo periodo, aveva mostrato predisposizione al pianoforte. Al suo ritorno, a cinque anni, ricevette un’intensa formazione pianistica, principalmente dal padre, che mirava a farla emergere rapidamente come bambina prodigio e virtuosa. La sua istruzione generale fu inizialmente limitata, privilegiando lo studio musicale e lunghe passeggiate per l’esercizio fisico, ma in seguito apprese anche lingue straniere. I successi non tardarono ed ella divenne il fiore all’occhiello del metodo pedagogico paterno.
Il suo debutto pubblico avvenne il 20 ottobre 1828 al Gewandhaus di Lipsia, dove eseguì a quattro mani un’opera di Friedrich Kalkbrenner, ricevendo elogi dalla critica. Il padre tenne un diario per la figlia, scritto in prima persona come se fosse lei stessa, e successivamente controllava le sue annotazioni. Un esempio del 29 ottobre 1828 rivela la severità del padre, il quale la punì per la sua presunta pigrizia strappandole uno spartito e limitandola a esercizi tecnici. Clara stessa, in età avanzata, riconobbe che la disciplina paterna, pur definita tirannica da alcuni, fu fondamentale per la sua salute e la sua longevità artistica.
Inizialmente, il repertorio – scelto dal padre – era composto da brani brillanti e tecnicamente impegnativi di compositori come Kalkbrenner e Herz, includendo anche le sue prime composizioni. Solo con la diminuzione dell’influenza paterna, la giovane inserì nei suoi concerti opere di Beethoven, Bach e Robert Schumann. Friedrich agiva come impresario, organizzando tournée, assicurandosi della disponibilità e funzionalità degli strumenti, spesso occupandosi personalmente dell’accordatura e delle riparazioni, fino a far spedire pianoforti di sua scelta sui luoghi dei concerti.
Clara suonò per Goethe, conobbe Paganini, strinse amicizia e collaborò con Liszt, scambiò composizioni con Chopin e fu incoraggiata da Mendelssohn. Si esibì in numerose città tedesche e all’estero, ottenendo nel marzo 1838, a soli 18 anni, il titolo di “k. k. Kammer-Virtuosin” (imperial-regia virtuosa da camera) a Vienna. Come compositrice, fu attiva precocemente e le sue Quatre Polonaises op. 1, composte a soli 10-11 anni, furono pubblicate nel 1831, seguite da altre opere significative.

L’amore ostacolato e il matrimonio con Robert Schumann
Clara conobbe Robert Schumann nel 1828, quando aveva circa otto anni e mezzo. Dall’ottobre 1830, Schumann, ventenne, visse per un anno presso i Wieck come allievo del padre di Clara, intrattenendo la bambina e i suoi fratelli con fiabe inventate. Quando la giovane compì 16 anni, nel novembre 1835, i due si scambiarono il primo bacio, un momento che Robert ricorderà con affetto. Friedrich Wieck si oppose fermamente alla loro relazione, cercando di separarli organizzando tournée per Clara, sorvegliandola costantemente e proibendo la corrispondenza. Nel giugno 1837, portò Clara dagli amici Serre a Maxen, vicino Dresda, per allontanarla da Robert, ma i Serre sostennero la coppia.
Al fidanzamento segreto nell’agosto 1837 seguì una richiesta formale di matrimonio da parte di Robert a Friedrich Wieck, la quale fu respinta. Nonostante il divieto, i due riuscirono a vedersi. Durante il soggiorno viennese di Clara (1837/38), accompagnata dal padre, poté scrivere a Robert, ma le lettere più intime erano redatte di nascosto e in condizioni precarie.
Dopo un viaggio a Parigi senza il padre (gennaio-agosto 1839), Clara lasciò la casa paterna, trovando ospitalità prima da amici e poi, da settembre 1839, dalla madre a Berlino, dove poté trascorrere il Natale con Robert e risiedette fino al matrimonio. Il 16 luglio 1839, i due intentarono una causa legale contro Wieck per ottenere il consenso al matrimonio. In questo periodo di incertezza, Clara espresse nel suo diario le speranze e le preoccupazioni per la futura vita coniugale, temendo di non riuscire a legare a sé Robert e preoccupandosi per la sua salute, ma determinata a conciliare il ruolo di artista con quello di moglie e a non abbandonare la sua arte. Il tribunale approvò le nozze e la cerimonia si tenne il 12 settembre 1840 – il giorno prima del ventunesimo compleanno di Clara – nella Gedächtniskirche di Schönefeld, vicino Lipsia.

Vita coniugale: arte, famiglia e sfide (Lipsia, Dresda)
Dopo il matrimonio, la coppia si stabilì in un appartamento a Lipsia, dove riceveva fre­quenti visite da musicisti di passaggio, tra cui Mendelssohn, Bennett, Berlioz, Liszt e Wagner. Clara si dedicò al marito, cercando di garantirgli un ambiente sereno per com­porre, ma desiderava continuare la propria carriera concertistica, temendo che le sue qualità di pianista potessero risentire della pausa forzata. Robert, inizialmente, preferiva che lei rimanesse al suo fianco e limitasse gli esercizi al pianoforte per non disturbarlo, data la scarsa insonorizzazione del­l’ap­par­tamento. La incoraggiò, tuttavia, a dedicarsi maggiormente alla composizione.
Clara approfittò di questo periodo per ampliare la propria cultura generale, leggendo Goethe, Shakespeare e studiando a fondo le opere di Bach e Beethoven con il marito. La riconciliazione con il padre avvenne nel 1843, su iniziativa di quest’ultimo. Molti dettagli di questo periodo sono noti grazie al diario coniugale tenuto da entrambi. Clara riprese presto l’attività concertistica, anche per necessità economiche, contribuendo significativamente al sostentamento della famiglia. I suoi concerti furono cruciali per la diffusione delle opere di Robert, che non poteva esibirsi pubblicamente a causa di un problema alla mano destra. Dopo la morte del marito, Clara divenne la principale artefice della sua fama.
La prima tournée significativa della coppia fu nel nord della Germania (1842), seguita da un faticoso viaggio in Russia (1844), durante il quale Robert soffrì per essere spesso messo in ombra dalla moglie. Al ritorno a Lipsia, Robert ebbe un crollo fisico e mentale nell’agosto 1844. Clara dovette ritirarsi da un breve incarico al Conservatorio di Lipsia. La famiglia si trasferì a Dresda il 13 dicembre 1844, sperando in un miglioramento delle condizioni di Robert. A Dresda (1844-1850), Robert cercò invano una posizione stabile come direttore. Fu spesso malato e depresso fino al 1846.
Un soggiorno a Norderney nell’estate 1846 non portò il sollievo sperato e vi furono tensioni legate a una presunta gravidanza di Clara. Nel 1847, la famiglia si trasferì in un appartamento più grande dove Clara poteva suonare senza disturbare il marito. Dopo una tournée a Vienna, Brno e Praga e un successo a Berlino con l’oratorio di Robert Das Paradies und die Peri, i due considerarono di trasferirsi a Berlino, ma la morte prematura di Fanny Hensel, amica di Clara, li fece desistere. Alla fine del 1849, Robert accettò l’incarico di direttore musicale municipale a Düsseldorf.

Düsseldorf, la malattia del marito e l’arrivo di Johannes Brahms
La famiglia si trasferì a Düsseldorf nel settembre 1850. Clara soffrì per le difficoltà economiche e logistiche che limitavano il suo tempo per studiare. Clara riprese a esibirsi e assisteva Robert nelle prove d’orchestra, ma l’indisciplina dei musicisti e la scarsa autorevolezza del marito causarono frustrazioni.
Nel 1852, Woldemar Bargiel – fratellastro di Clara – visitò la coppia, notando la simbiosi emotiva tra i due e le frequenti malattie di Robert che preoccupavano profondamente la donna. Dopo un viaggio a Scheveningen, si trasferirono in un nuovo appartamento dove Clara aveva uno studio separato.
Nel 1853, i contrasti tra Robert e l’orchestra di Düsseldorf si acuirono, portandolo a dimettersi. Clara sostenne il marito, nonostante le sue preoccupazioni per il suo stato mentale sempre più labile. Tournée in Olanda e Hannover (fine 1853 – inizio 1854) furono un successo, ma poco dopo la malattia di Robert, forse dovuta a una sifilide pregressa, peggiorò drasticamente con “affezioni uditive” (allucinazioni sonore, dolori). Il 27 febbraio 1854, Robert tentò il suicidio gettandosi nel Reno, ma fu salvato e, il 4 marzo, ricoverato nella clinica per malattie nervose di Endenich, vicino Bonn. La tesi che Robert si sia ricoverato volontariamente per non nuocere alla famiglia è controversa e non supportata da fonti primarie certe, derivando principalmente dalla biografia di Litzmann, i cui materiali originali (diari di Clara) sono in gran parte andati perduti. A Clara fu negato l’accesso al marito per motivi medici e lo rivide solo il 27 luglio 1856, due giorni prima della sua morte, convinta che l’avesse riconosciuta.
Johannes Brahms visitò i Schumann a Düsseldorf il 30 settembre 1853, in un momento difficile per la famiglia. La sua musica e la sua personalità impressionarono profondamente Robert e Clara. Dopo il ricovero di Robert, il legame tra Clara e Brahms si intensificò. Brahms divenne un amico intimo e un sostegno indispensabile per Clara e la sua famiglia. È certo che Brahms fosse innamorato di Clara, come testimoniano le sue lettere. La natura esatta della loro relazione in quel periodo rimane incerta, poiché gran parte della loro corrispondenza fu distrutta. Le lettere superstiti di Brahms rivelano un’evoluzione da “Stimata Signora” a “Amatissima Amica” e “Amata Clara”, con espressioni di profondo affetto e amore. Dopo la morte di Robert, il tono delle lettere divenne più formale. Clara, in un diario per i figli, descrisse Brahms come un amico inviato da Dio, che amava profondamente per la “bellissima intesa delle nostre anime”.

Vita dopo Robert: concertismo, insegnamento e dolori familiari
Dopo la morte di Robert (29 luglio 1856), Clara affidò i figli maggiori a istituti o parenti. Nell’ottobre 1857, la donna si trasferì a Berlino (fino al 1863), dove l’amica Elisabeth Werner l’aiutava con la casa e i figli durante le sue tournée. Dal 1863 al 1873 visse a Baden-Baden, dove ebbe una relazione con il compositore Theodor Kirchner, interrotta poco tempo dopo a causa della ludopatia di lui e dell’incertezza dei suoi sentimenti. Ciò non le impedì però di continuare la sua acclamata carriera concertistica. Un grande dolore fu la malattia mentale del figlio Ludwig che, nel 1870, fu internato nell’ospedale psichiatrico di Colditz, dove morì nel 1899. Tornò a Berlino (1873-1878) per stare vicino ai figli, ma non si trovò a suo agio, soffrendo per dolori al braccio che le impedirono di concertare per un periodo e per la mancanza di un ambiente artistico stimolante. Un impiego alla Königliche Hochschule für Musik, purtroppo, non si concretizzò.

Gli ultimi anni a Francoforte, la malattia e la morte
Nel 1878, Clara fu nominata “prima insegnante di pianoforte” al neonato Dr. Hoch’s Konservatorium di Francoforte sul Meno. Insegnò anche privatamente e si dedicò anche alla curatela delle opere dell’ex marito per Breitkopf & Härtel e alla pubblicazione dei suoi scritti. Il suo ultimo concerto si tenne il 12 marzo 1891, a 71 anni. Negli anni successivi, soffrì di problemi all’udito che peggiorarono progressivamente, rendendole intollerabile l’ascolto della musica orchestrale, sebbene potesse ancora suonare e insegnare. Il 26 marzo 1896 subì un ictus e morì dopo un secondo attacco il 20 maggio 1896, all’età di 76 anni.

Clara la compositrice: evoluzione stilistica e riscoperta
Su indicazione paterna, Clara ricevette fin da bambina lezioni di teoria, contrappunto e composizione, oltre a violino e lettura della partitura. Le sue prime opere (opp. 1-10), come le Quatre Polonaises op. 1, erano destinate principalmente alle sue esibizioni e riflettevano il gusto virtuosistico dell’epoca, con un’armonia ricca e una metrica variabile, influenzate da Chopin, Spohr, Weber e Mendelssohn. Già in queste opere giovanili, dialogava musicalmente con Robert Schumann. Le composizioni femminili erano ancora viste come un’eccezione, ma la sua abilità fu riconosciuta, pur con qualche riserva paternalistica da parte di alcuni critici.
Con le Romanze per pianoforte op. 11 — nate durante il fidanzamento con Robert — il suo approccio compositivo cambiò e la virtuosità divenne secondaria rispetto all’espressività romantica e a una scrittura più complessa, influenzata da Robert Schumann e Mendelssohn. Robert la considerava una compositrice alla pari, auspicando una collaborazione artistica. Alcuni suoi Lieder furono pubblicati insieme a quelle di Robert nell’op. 37 n. 12 (Liebesfrühling di Rückert). Tuttavia, i doveri familiari e il costante confronto con il genio del marito generarono in lei dubbi sulle proprie capacità compositive, come espresso riguardo al suo Trio per pianoforte op. 17.
Una crisi creativa nel 1847 portò all’abbandono di un concerto per pianoforte e orchestra. Solo nel 1853 riprese a comporre con le Variazioni su un tema di Robert Schumann op. 20 che ispirarono le analoghe Variazioni op. 9 di Brahms. Seguirono le Romanze per pianoforte op. 21 e le Romanze per violino e pianoforte op. 22, e i Sei Lieder op. 23, opere che le diedero grande gioia. Dopo la morte di Robert nel 1856, la sua vena compositiva si spense quasi del tutto, con poche eccezioni. Dimenticata come compositrice per lungo tempo, è stata riscoperta dagli anni ’60, e le sue opere sono oggi studiate ed eseguite.

Clara l’editrice: la salvaguardia dell’eredità schumanniana
Clara partecipò alla preparazione delle edizioni delle proprie opere e di quelle di Robert già durante il matrimonio. Dopo la morte del marito, curò la pubblicazione di trascrizioni per pianoforte di Lieder di Robert Schumann (le 30 Mélodies), mirando a renderle accessibili pur rimanendo fedele alle intenzioni del compositore. Le sue due principali imprese editoriali furono i Robert Schumanns Werke (opera omnia, 1879-1893) e Robert Schumann: Klavierwerke. Erste mit Fingersätzen und Vortragsbezeichnungen versehene instruktive Ausgabe (edizione critica per la pratica pianistica, dal 1886), entrambe per Breitkopf & Härtel.
Per gli opera omnia collaborò strettamente con Johannes Brahms e altri musicisti, cercando di basarsi sui manoscritti originali e le prime stampe. Sorsero divergenze con Brahms riguardo a quali opere e versioni includere e Clara fu restia a pubblicare lavori che riteneva potessero recare tracce della malattia del marito, arrivando a distruggere alcune composizioni. L’edizione, pur autorevole, mancava di un apparato critico moderno.
L’edizione “istruttiva” delle opere pianistiche, invece, mirava a trasmettere la sua esperienza interpretativa attraverso diteggiature, indicazioni di pedale e fraseggio. Curò anche una raccolta di studi di Czerny e la pubblicazione delle Jugendbriefe (lettere giovanili) di Robert Schumann.

Der Mond kommt still gegangen: analisi
Questo Lied è un esempio squisito della sensibilità compositiva di Clara Schumann e della sua capacità di tradurre in musica le sfumature emotive della poesia romantica.
Il brano segue una forma strofica modificata (strofa 1 e 2 musicalmente quasi identiche, strofa 3 con significative variazioni), una struttura tipica del Lied romantico che permette di mantenere un’unità tematica pur adattando la musica alle diverse immagini e stati d’animo del testo.
Il brano si apre con un breve preludio pianistico, nel quale la mano destra disegna delicati arpeggi ascendenti e discendenti, creando un’atmosfera eterea e sognante. Queste figure arpeggiate caratterizzeranno gran parte dell’accompagnamento ed evocano immediatamente l’immagine del “silenzioso avanzare” della luna e la sua luce dorata. La mano sinistra fornisce un sostegno armonico discreto, con note tenute o movimenti lenti che contribuiscono alla sensazione di calma notturna. La dinamica è sommessa (piano).
La voce entra con dolcezza, su una melodia lirica e cantabile che si muove prevalentemente per gradi congiunti, confermando il carattere sereno e contemplativo. La linea melodica è fluida e naturale, adattandosi perfettamente alla prosodia del testo. Il registro è centrale, confortevole per la voce di soprano. Il pianoforte prosegue il motivo arpeggiato della mano destra, ora leggermente variato per integrarsi con la linea vocale. La mano sinistra mantiene il suo ruolo di fondamento armonico. L’effetto è quello di un cullare gentile, quasi una ninna nanna cosmica. L’armonia è prevalentemente diatonica, con accordi consonanti che rafforzano la sensazione di pace e serenità. La frase “[schläft] die müde Erde ein” ([si addormenta] la terra stanca) si conclude con una cadenza perfetta, portando un senso di quiete e riposo.
Un brevissimo interludio pianistico, che riprende il materiale dell’introduzione, collega la prima alla seconda strofa, mantenendo inalterata l’atmosfera. Musicalmente, questa strofa è una ripresa quasi letterale della prima, confermando la struttura strofica. Le leggere variazioni sono più nell’interpretazione dinamica e agogica che nella scrittura. Le immagini di “auf den Lüften schwanken” (fluttuano nell’aria) e “viel tausend Liebesgedanken” (molte migliaia di pensieri d’amore) sono cullate dalla stessa musica serena. La dolcezza della melodia e l’ondeggiare degli arpeggi pianistici si adattano bene all’idea di pensieri d’amore che fluttuano leggeri sui dormienti.
Simile al precedente, un nuovo interludio fa da ponte alla terza strofa. Qui avviene la “modifica” della forma strofica, poiché il focus del testo si sposta dall’osservazione generale della natura all’esperienza intima e personale dell’io lirico. Si avverte un’inflessione armonica più malinconica, con accordi che creano una maggiore tensione emotiva, forse con un uso più marcato di settime o un breve accenno al modo minore per sottolineare Dunkeln (oscurità) e la solitudine contemplativa dell’osservatore. L’armonia si fa leggermente più cromatica e introspettiva.
La linea melodica, pur mantenendo una sua cantabilità, assume un’inflessione più pensosa. L’accompagnamento si adatta e gli arpeggi persistono, ma il loro contesto armonico conferisce loro una nuova coloritura. Sulla parola still (silenziosamente), la dinamica ritorna molto sommessa, ma con una carica emotiva diversa, più intima e riflessiva rispetto alla serenità iniziale. Il pianoforte conclude il Lied con una coda che riprende il materiale arpeggiato dell’introduzione. Tuttavia, dopo l’esperienza emotiva della terza strofa, questi arpeggi sembrano ora tinti di una sfumatura più riflessiva. La musica si dissolve gradualmente (diminuendo), lasciando nell’ascoltatore una sensazione di quieta contemplazione, forse con un eco della malinconia appena espressa. La chiusura è pacata, come un sospiro notturno.
Nel complesso, Der Mond kommt still gegangen è un Lied che, nella sua apparente semplicità, racchiude una notevole profondità emotiva. Clara Schumann riesce a dipingere un quadro notturno che evolve da una serena contemplazione della natura a un’intima riflessione personale. La forma strofica modificata è impiegata con maestria per sottolineare questo passaggio. È una testimonianza della capacità di Clara Schumann di creare musica che parla direttamente all’anima, con grazia e profondità.

Clara Schumann, op. 13 n. 4

Planctus David

Pietro Abelardo (1079 - 21 aprile 1142): Planctus David super Saul et Ionatha. Ensemble für frühe Musik Augsburg.

Dolorum solatium,
Laborum remedium,
Mihi mea cithara,
Nunc quo major dolor est,
Justiorque moeror est
Plus est necessaria.

Strages magna populi,
Regis mors et filii,
Hostium victoria,
Ducum desolatio,
Vulgi desperatio,
Luctu replent omnia.

Amalech invaluit
Israel dum corruit,
Infidelis jubilat
Philistaea
Dum lamentis macerat
Se Judaea.

Insultat fidelibus Infidelis populus;
In honorem maximum
Plebs adversa,
In derisum omnium
Fit divina.

Insultantes inquiunt:
“Ecce de quo garriunt,
Qualiter hos perdidit
Deus summus,
Dum a multis occidit
Dominus prostratus.”

Quem primum his praebuit,
Victus rex occubuit;
Talis est electio
Derisui,
Talis consecratio
Vatis magni.

Saul regum fortissime,
Virtus invicta Jonathae,
Qui vos nequit vincere,
Permissus est occidere.

Quasi non esset oleo
Consecratus dominico,
Scelestae manus gladio
Jugulatur in praelio.

Plus fratre mihi Jonatha,
In una mecum anima,
Quae peccata, quae scelera,
Nostra sciderunt viscera!

Expertes montes Gelboe,
Roris sitis et pluviae,
Nec agrorum primitiae
Vestrae succurrunt incolae.

Vae, vae tibi, madida
Tellus caede regia!
Quare te, mi Jonatha,
Manus stravit impia?

Ubi Christus Domini,
Israelque inclyti,
Morte miserabili
Sunt cum suis perditi?

Tu mihi nunc, Jonatha,
Flendus super omnia,
Inter cuncta gaudia
Perpes erit lacryma.

Planctus, Sion filiae,
Super Saul sumite,
Largo cujus munere
Vos ornabant purpurae.

Heu! cur consilio
Acquievi pessimo,
Ut tibi praesidio
Non essem in praelio?

Vel confossus pariter
Morirer feliciter,
Quum, quod amor faciat,
Majus hoc non habeat.

Et me post te vivere
Mori sit assidue,
Nec ad vitam anima
Satis est dimidia.

Vicem amicitiae
Vel unam me reddere,
Oportebat tempore
Summae tunc angustiae;

Triumphi participem
Vel ruinae comitem,
Ut te vel eriperem
Vel tecum occumberem,

Vitam pro te finiens,
Quam salvasti totiens,
Ut et mors nos jungeret
Magis quam disjungeret.

Infausta victoria
Potitus, interea,
Quam vana, quam brevia
Hic percepi gaudia!

Quam cito durissimus
Est secutus nuntius,
Quem in sua anima
Locuta est superbia!

Mortuos quos nuntiat
Illata mors aggregat,
Ut doloris nuntius
Doloris sit socius.

Do quietem fidibus:
Vellem ut et planctibus
Sic possem et fletibus!
Caesis pulsu manibus,
Raucis planctu vocibus
Deficit et spiritus.


Il planctus (compianto, lamentazione) è una forma poetico-musicale le cui origini risalgono all’e­poca carolingia. Dei temi trattati nei testi v’è una certa varietà: si va dal lamento funebre vero e proprio al lamento d’amore, alla rivisitazione di episodi biblici. Il più antico planctus conosciuto è A solis ortus usque ad occidua ovvero Planctus de obitu Karoli, scritto in morte di Carlo Magno († 814) da un monaco dell’Abbazia di San Colombano a Bobbio.
La maggior parte dei planctus pervenutici hanno testo in latino, ma nel corso del Medioevo si de­di­ca­rono al genere anche autori in lingua d’oc (planh), in lingua d’oïl (plainte o complainte) e in inglese (dirge). Il più famoso fra i trovatori italiani, Sordello da Goito (XIII secolo), compose in lingua d’oc Planher vuelh en Blacatz en aquest leugier so, compianto in morte di Blacas de Blacas, un feudatario provenzale che si era distinto per il suo mecenatismo.
Fra gli esempi in lingua inglese, uno dei più noti è costituito dal quattrocentesco Lyke-Wake Dirge, che fra l’altro è stato musicato da Benjamin Britten (fa parte della Serenade op. 31).

Oltre al Planctus David super Saul et Ionatha, Abelardo compose altri cinque planctus, tutti con testo latino e di argomento biblico.

Nel vento d’estate

Anton Webern (3 dicembre1883 - 1945): Im Sommerwind, idillio per grande orchestra (1904) ispirato dal poemetto omonimo di Bruno Wille. Berliner Philharmoniker, dir. Pierre Boulez.

Bruno Wille (1860 - 1928): Im Sommerwind, da Offenbarungen des Wacholderbaums, Roman eines Allsehers, 2 voll. (1901); riporto solo le parti prese in considerazione da Webern:

Es wogt die laue Sommerluft.
Wacholderbüsche, Brombeerranken
Und Adlerfarne nicken, wanken.
Die struppigen Kiefernhäupter schwanken;
Rehbraune Äste knarren;
Von ihren zarten, schlanken,
Lichtgrünen Schossen stäubt
Der harzige Duft;
Und die weiche Luft
Wallt hin wie betäubt.

Auf einmal tut sich lächelnd auf
Die freie sonnige Welt:
Weithin blendendes Himmelblau;
Weithin heitre Wolken zu Hauf;
Weithin wogendes Ährenfeld
Und grüne, grüne Auen…
[…]

O du sausender brausender Wogewind!
Wie Freiheitsjubel, wie Orgelchor
Umrauschest du mein durstiges Ohr;
[…]

Da wird mir leicht, so federleicht!
Die dumpfi g alte Beklemmung weicht;
All meine Unrast, alle wirren
Gedanken sind im Lerchengirren –
Im süßen Jubelmeer ertrunken!
Versunken
Die Stadt mit Staub und wüstem Schwindel!
Ertrunken
das lästige Menschengesindel!
Begraben der Unrat, tief versenkt
Hinter blauendem Hügel.
[…]

Weißt du, sinnende Seele,
Was selig macht?
Unendliche Ruhe!
[…]

Im Lerchenliede,
In Windeswogen,
In Ährenwogen!
Unendliche Ruhe
Am umfassenden Himmelsbogen!

Im Sommerwind

La millour qu’on puist choisir

Guillaume de Machaut (c1300 - 1377): Dame, a vous sans retollir, virelai monodico (dal Remède de Fortune). Emma Kirkby, soprano.

Dame, a vous sans retollir
Dong cuer, pensée, desir,
Corps, et amour,
Comme a toute la millour
Qu’on puist choisir,
Ne qui vivre ne morir
Puist a ce jour.

Si ne me doit a folour
Tourner, se je vous äour,
Car sans mentir,
Bonté passés en valour,
Toute flour en douce odour
Que on puet sentir.
Vostre biauté fait tarir
Toute autre et anïentir,
Et vo douçour
Passe tout; rose en coulour
Vous doi tenir,
Et vo regars puet garir
Toute dolour.

Dame, a vous sans retollir
Dong cuer, pensée, desir,
Corps, et amour,
Comme a toute la millour
Qu’on puist choisir,
Ne qui vivre ne morir
Puist a ce jour.

Pour ce, dame, je m’atour
De tres toute ma vigour
A vous servir,
Et met, sans nul villain tour,
Mon cuer, ma vie et m’onnour
En vo plaisir.
Et se Pité consentir
Vuet que me daigniez oïr
En ma clamour,
Je ne quier de mon labour
Autre merir,
Qu’il ne me porroit venir
Joie gringnour.

Dame, a vous sans retollir
Dong cuer, pensée, desir,
Corps, et amour,
Comme a toute la millour
Qu’on puist choisir,
Ne qui vivre ne morir
Puist a ce jour.

Dame, ou sont tuit mi retour,
Souvent m’estuet en destour
Pleindre et gemir,
Et, present vous, descoulour,
Quant vous ne savez l’ardour
Qu’ay a souffrir
Pour vous qu’aim tant et desir,
Que plus ne le puis couvrir.
Et se tenrour
N’en avez, en grant tristour
M’estuet fenir.
Nonpourquant jusqu’au morir
Vostres demour.

Dame, a vous sans retollir
Dong cuer, pensée, desir,
Corps, et amour,
Comme a toute la millour
Qu’on puist choisir,
Ne qui vivre ne morir
Puist a ce jour.

Chiari di Luna – IV

Gabriel Fauré (1845 - 4 novembre 1924): Clair de Lune (Menuet ), mélodie per soprano e orchestra op. 46 n. 2 (1887) sul medesimo testo di Paul Verlaine (da Fêtes galantes, 1869) che ispirò a Debussy il III movimento della Suite bergamasque. Natalie Dessay, soprano; Radion sinfoniaorkesteri, dir. Hannu Lintu.

Votre âme est un paysage choisi
Que vont charmant masques et bergamasques
Jouant du luth et dansant et quasi
Tristes sous leurs déguisements fantasques.

Tout en chantant sur le mode mineur
L’amour vainqueur et la vie opportune,
Ils n’ont pas l’air de croire à leur bonheur
Et leur chanson se mêle au clair de lune.

Au calme clair de lune triste et beau,
Qui fait rêver les oiseaux dans les arbres
Et sangloter d’extase les jets d’eau,
Les grands jets d’eau sveltes parmi les marbres.

Fauré, op. 46 n. 2

Cruda Amarilli

Cruda Amarilli, che col nome ancora
d’amar, ahi lasso, amaramente insegni!
Amarilli, del candido ligustro
più candida e più bella,
ma de l’àspido sordo
e più sorda e più fèra e più fugace,
poi che col dir t’offendo
i’ mi morrò tacendo.
Ma grideran per me le piagge e i monti
E questa selva, a cui
Sì spesso il tuo bel nome
Di risonar insegno.
Per me piangendo i fonti
E mormorando i venti
Diranno i miei lamenti;
Parlerà nel mio volto
La pietade e ’l dolore;
E se fia muta ogn’altra cosa, al fine
Parlerà il mio morire ,
E ti dirà la morte il mio martire.

(Battista Guarini, Il pastor fido III/2)


Luca Marenzio (18 ottobre 1553 o 1554 - 1599): Cruda Amarilli, 2a parte Ma grideran per me le piagge e i monti, madrigale a 5 voci (dal VII Libro de’ Madrigali a 5 voci, 1595). La Compagnia del Madrigale.


Claudio Monteverdi (1567 - 1643): Cruda Amarilli, madrigale a 5 voci (dal Quinto Libro de Madrigali, 1605). Concerto Italiano, dir. Rinaldo Alessandrini.

Arcadelt & Petrarca

Jacques Arcadelt (1507 - 14 ottobre 1568): Chiare, fresche e dolci acque, madrigale a 5 voci (pubblicato nella raccolta Il primo libro de le Muse a cinque voci composto da diversi eccellentissimi musici, 1555, n. 1); testo di Francesco Petrarca (Canzoniere CXXVI, 1-3). The Consort of Musicke, dir. Anthony Rooley.

1ª parte :

Chiare, fresche e dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir’ mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior’ che la gonna
leggiadra ricoverse
co l’angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udïenza insieme
a le dolenti mie parole extreme.

2ª parte :

S’egli è pur mio destino
e ’l cielo in ciò s’adopra,
ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda,
qualche gratia il meschino
corpo fra voi ricopra,
et torni l’alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo:
ché lo spirito lasso
non poria mai in piú riposato porto
né in piú tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata et l’ossa.

3ª parte :

Tempo verrà anchor forse
ch’a l’usato soggiorno
torni la fera bella et mansüeta,
et là ’v’ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disïosa et lieta,
cercandomi; et, o pietà!,
già terra in fra le pietre
vedendo, Amor l’inspiri
in guisa che sospiri
sí dolcemente che mercé m’impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.

Ebbro di Luna

Arnold Schoenberg (13 settembre 1874 - 1951): Pierrot lunaire, ciclo di 21 Lieder per voce femminile cantante-recitante (Sprechgesang) e ensemble da camera op. 21 (1912) su liriche di Albert Giraud (1860 - 1929) tradotte in tedesco da Otto Erich Hartleben (1864 - 1905). Christine Schäfer, voce; Ensemble Intercontemporain, dir. Pierre Boulez.

PARTE

1. Mondestrunken

Den Wein, den man mit Augen trinkt,
Giesst Nachts der Mond in Wogen nieder,
Und eine Springflut überschwemmt
Den stillen Horizont.

Gelüste, schauerlich und süss,
Durchschwimmen ohne Zahl die Fluten!
Den Wein, den man mit Augen trinkt,
Giesst Nachts der Mond in Wogen nieder.

Der Dichter, den die Andacht treibt,
Berauscht sich an dem heiigen Tranke,
Gen Himmel wendet er verzückt
Das Haupt und taumelnd saugt und schlürft er
Den Wein den man mit Augen trinkt.

2. Colombine

Des Mondlichts bleiche Blüten,
Die weißen Wunderrosen,
Blühn in den Julinachten —
O brach ich eine nur!

Mein banges Leid zu lindern,
Such ich am dunklen Strome
Des Mondlichts bleiche Blüten,
Die weißen Wunderrosen.

Gestillt wär all mein Sehnen,
Dürft ich so märchenheimlich,
So selig leis — entblättern
Auf deine brauenen Haare
Des Mondlichts bleiche Blüten!

3. Der Dandy

Mit einem phantastischen Lichtstrahl
Erleuchtet der Mond die krystallnen Flacons
Auf dem schwarzen, hochheiligen Waschtisch
Des schweigenden Dandys von Bergamo.

In tönender, bronzener Schale
Lacht hell die Fontaine, metallischen Klangs.
Mit einem phantastischen Lichtstrahl
Erleuchtet der Mond die krystallnen Flacons.

Pierrot mit dem wächsernen Antlitz
Steht sinnend und denkt: wie er heute sich schminkt?
Fort schiebt er das Rot und das Orients Grün
Und bemalt sein Gesicht in erhabenem Stil
Mit einem phantastischen Mondstrahl.

4. Eine blasse Wäscherin

Eine blasse Wäscherin
Wäscht zur Nachtzeit bleiche Tücher;
Nackte, silberweiße Arme
Streckt sie nieder in die Flut.

Durch die Lichtung schleichen Winde,
Leis bewegen sie den Strom.
Eine blasse Wäscherin
Wäscht zur Nachtzeit bleiche Tücher.

Und die sanfte Magd des Himmels,
Von den Zweigen zart umschmeichelt,
Breitet auf die dunklen Wiesen
ihre lichtgewobnen Linnen —
Eine blasse Wäscherin.

5. Valse de Chopin

Wie ein blasser Tropfen Bluts
Färbt die Lippen einer Kranken,
Also ruht auf diesen Tönen
Ein vernichtungssüchtger Reiz.

Wilder Lust Accorde stören
Der Verzweiflung eisgen Traum —
Wie ein blasser Tropfen Bluts
Färbt die Lippen einer Kranken.

Heiß und jauchzend, süß und schmachtend,
Melancholisch düstrer Walzer,
Kommst mir nimmer aus den Sinnen!
Haftest mir an den Gedanken,
Wie ein blasser Tropfen Bluts!

6. Madonna

Steig, o Mutter aller Schmerzen,
Auf den Altar meiner Verse!
Blut aus deinen magren Brusten
Hat des Schwertes Wut vergossen.

Deine ewig frischen Wunden
Gleichen Augen, rot und offen.
Steig, o Mutter aller Schmerzen,
Auf den Altar meiner Verse!

In den abgezehrten Händen
Hältst du deines Sohnes Leiche.
Ihn zu zeigen aller Menschheit —
Doch der Blick der Menschen meidet
Dich, o Mutter aller Schmerzen!

7. Der kranke Mond

Du nächtig todeskranker Mond
Dort auf des Himmels schwarzem Pfühl,
Dein Blick, so fiebernd übergroß,
Bannt mich wie fremde Melodie.

An unstillbarem Liebesleid
Stirbst du, an Sehnsucht, tief erstickt,
Du nächtig todeskranker Mond
Dort auf des Himmels schwarzem Pfühl.

Den Liebsten, der im Sinnenrausch
Gedankenlos zur Liebsten schleicht,
Belustigt deiner Strahlen Spiel —
Dein bleiches, qualgebornes Blut,
Du nächtig todeskranker Mond.

PARTE

8. Nacht (Passacaglia)

Finstre, schwarze Riesenfalter
Töteten der Sonne Glanz.
Ein geschlossnes Zauberbuch,
Ruht der Horizont — verschwiegen.

Aus dem Qualm verlorner Tiefen
Steigt ein Duft, Erinnrung mordend!
Finstre, schwarze Riesenfalter
Töteten der Sonne Glanz.

Und vom Himmel erdenwärts
Senken sich mit schweren Schwingen
Unsichtbar die Ungetume
Auf die Menschenherzen nieder…
Finstre, schwarze Riesenfalter.

9. Gebet an Pierrot

Pierrot! Mein Lachen
Hab ich verlernt!
Das Bild des Glanzes
Zerfloß – Zerfloß!

Schwarz weht die Flagge
Mir nun vom Mast.
Pierrot! Mein Lachen
Hab ich verlernt!

O gieb mir wieder,
Roßarzt der Seele,
Schneemann der Lyrik,
Durchlaucht vom Monde,
Pierrot – mein Lachen!

10. Raub

Rote, fürstliche Rubine,
Blutge Tropfen alten Ruhmes,
Schlummern in den Totenschreinen,
Drunten in den Grabgewolben.

Nachts, mit seinen Zechkumpanen,
Steigt Pierrot hinab — zu rauben
Rote, fürstliche Rubine,
Blutge Tropfen alten Ruhmes.

Doch da – strauben sich die Haare,
Bleiche Furcht bannt sie am Platze:
Durch die Finsternis — wie Augen! —
Stieren aus den Totenschreinen
Rote, fürstliche Rubine.

11. Rote Messe

Zu grausem Abendmahle
Beim Blendeglanz des Goldes,
Beim Flackerschein der Kerzen,
Naht dem Altar — Pierrot!

Die Hand, die gottgeweihte,
Zerreißt die Priesterkleider —
Zu grausem Abendmahle
Beim Blendeglanz des Goldes.

Mit segnender Geberde
Zeigt er den bangen Seelen
Die triefend rothe Hostie —
Sein Herz in blut’gen Fingern,
Zu grausem Abendmahle.

12. Galgenlied

Die dürre Dirne
Mit langem Halse
Wird seine letzte
Geliebte sein.

In seinem Hirne
Steckt wie ein Nagel
Die dürre Dirne
Mit langem Halse.

Schlank wie die Pinie,
Am Hals ein Zöpfchen —
Wollüstig wird sie
Den Schelm umhalsen,
Die dürre Dirne!

13. Enthauptung

Der Mond, ein blankes Türkenschwert
Auf einem schwarzen Seidenkissen,
Gespenstisch groß — dräut er hinab
Durch schmerzendunkle Nacht.

Pierrot irrt ohne Rast umher
Und starrt empor in Todesängsten
Zum Mond, dem blanken Türkenschwert
Auf einem schwarzen Seidenkissen.

Es schlottern unter ihm die Knie,
Ohnmächtig bricht er jäh zusammen.
Er wähnt: es sause strafend schon
Auf seinen Sünderhals hernieder
Der Mond, das blanke Türkenschwert.

14. Die Kreuze

Heilge Kreuze sind die Verse,
Dran die Dichter stumm verbluten,
Blindgeschlagen von der Geier
Flatterndem Gespensterschwarme!

In den Leibern schwelgten Schwerter,
Prunkend in des Blutes Scharlach!
Heilge Kreuze sind die Verse,
Dran die Dichter stumm verbluten.

Tot das Haupt — erstarrt die Locken —
Fern, verweht der Lärm des Pöbels.
Langsam sinkt die Sonne nieder,
Eine rote Königskrone. —
Heilge Kreuze sind die Verse!

PARTE

15. Heimweh

Lieblich klagend — ein krystallnes Seufzen
Aus Italiens alter Pantomime,
Klingts herüber: wie Pierrot so holzern,
So modern sentimental geworden.

Und es tönt durch seines Herzens Wüste,
Tönt gedämpft durch alle Sinne wieder,
Lieblich klagend — ein krystallnes Seufzen
Aus Italiens alter Pantomime.

Da vergißt Pierrot die Trauermienen!
Durch den bleichen Feuerschein des Mondes,
Durch des Lichtmeers Fluten – schweift die Sehnsucht
Kühn hinauf, empor zum Heimathimmel
Lieblich klagend — ein krystallnes Seufzen!

16. Gemeinheit

In den blanken Kopf Cassanders,
Dessen Schrein die Luft durchzetert,
Bohrt Pierrot mit Heuchlermienen,
Zärtlich — einen Schädelbohrer!

Darauf stopft er mit dem Daumen
Seinen echten türkischen Taback
In den blanken Kopf Cassanders,
Dessen Schrein die Luft durchzetert!

Dann dreht er ein Rohr von Weichsel
Hinten in die glatte Glatze
Und behäbig schmaucht und pafft er
Seinen echten türkischen Taback
Aus dem blanken Kopf Cassanders!

17. Parodie

Stricknadeln, blank und blinkend,
In ihrem grauen Haar,
Sitzt die Duenna murmelnd,
Im roten Röckchen da.

Sie wartet in der Laube,
Sie liebt Pierrot mit Schmerzen,
Stricknadeln, blank und blinkend,
In ihrem grauen Haar.

Da plötzlich — horch! — ein Wispern!
Ein Windhauch kichert leise:
Der Mond, der böse Spötter,
Äfft nach mit seinen Strahlen —
Stricknadeln, blink und blank.

18. Der Mondfleck

Einen weißen Fleck des hellen Mondes
Auf dem Rücken seines schwarzen Rockes,
So spaziert Pierrot im lauen Abend,
Aufzusuchen Glück und Abenteuer.

Plötzlich — stört ihn was an seinem Anzug,
Er beschaut sich rings und findet richtig —
Einen weißen Fleck des hellen Mondes
Auf dem Rücken seines schwarzen Rockes.

Warte! denkt er: das ist so ein Gipsfleck!
Wischt und wischt, doch — bringt ihn nicht herunter!
Und so geht er, giftgeschwollen, weiter,
Reibt und reibt bis an den frühen Morgen —
Einen weißen Fleck des hellen Mondes.

19. Serenade

Mit groteskem Riesenbogen
Kratzt Pierrot auf seiner Bratsche,
Wie der Storch auf einem Beine,
Knipst er trüb ein Pizzicato.

Plötzlich naht Cassander — wütend
Ob des nächtgen Virtuosen —
Mit groteskem Riesenbogen
Kratzt Pierrot auf seiner Bratsche.

Von sich wirft er jetzt die Bratsche:
Mit der delikaten Linken
Faßt den Kahlkopf er am Kragen —
Träumend [spielt]1 er auf der Glatze
Mit groteskem Riesenbogen.

20. Heimfahrt (Barcarole)

Der Mondstrahl ist das Ruder,
Seerose dient als Boot;
Drauf fährt Pierrot gen Süden
Mit gutem Reisewind.

Der Strom summt tiefe Skalen
Und wiegt den leichten Kahn.
Der Mondstrahl ist das Ruder,
Seerose dient als Boot.

Nach Bergamo, zur Heimat,
Kehrt nun Pierrot zurück;
Schwach dämmert schon im Osten
Der grüne Horizont.
— Der Mondstrahl ist das Ruder.

21. O alter Duft

O alter Duft aus Märchenzeit,
Berauschest wieder meine Sinne;
Ein närrisch Heer von Schelmerein
Durchschwirrt die leichte Luft.

Ein glückhaft Wünschen macht mich froh
Nach Freuden, die ich lang verachtet:
O alter Duft aus Märchenzeit,
Berauschest wieder mich!

All meinen Unmut gab ich preis;
Aus meinem sonnumrahmten Fenster
Beschau ich frei die liebe Welt
Und träum hinaus in selge Weiten…
O alter Duft — aus Märchenzeit!


Per una libera traduzione italiana dei testi, curata da Raissa Olkienizkaia Naldi, cliccare qui.

Pierrot lunaire

Notte trasfigurata

Arnold Schoenberg (13 settembre 1874 - 1951): Verklärte Nacht, versione originale per se­stetto d’archi op. 4 (1899), ispirata dall’omonima poesia di Richard Dehmel (da Weib und Welt, 1896). Amaryllis Quartett (Gustav Frielinghaus e Lena Sandoz, violini; Mareike Hefti, viola; Yves Sandoz, violoncello) con Volker Jacobsen, viola, e Jens Peter Maintz, violoncello.

Zwei Menschen gehn durch kahlen, kalten Hain;
der Mond läuft mit, sie schaun hinein.
Der Mond läuft über hohe Eichen;
kein Wölkchen trübt das Himmelslicht,
in das die schwarzen Zacken reichen.
Die Stimme eines Weibes spricht:

« Ich trag ein Kind, und nit von Dir,
ich geh in Sünde neben Dir.
Ich hab mich schwer an mir vergangen.
Ich glaubte nicht mehr an ein Glück
und hatte doch ein schwer Verlangen
nach Lebensinhalt, nach Mutterglück
und Pflicht; da hab ich mich erfrecht,
da ließ ich schaudernd mein Geschlecht
von einem fremden Mann umfangen,
und hab mich noch dafür gesegnet.
Nun hat das Leben sich gerächt:
nun bin ich Dir, o Dir, begegnet. »

Sie geht mit ungelenkem Schritt.
Sie schaut empor; der Mond läuft mit.
Ihr dunkler Blick ertrinkt in Licht.
Die Stimme eines Mannes spricht:

« Das Kind, das Du empfangen hast,
sei Deiner Seele keine Last,
o sieh, wie klar das Weltall schimmert!
Es ist ein Glanz um alles her;
Du treibst mit mir auf kaltem Meer,
doch eine eigne Wärme flimmert
von Dir in mich, von mir in Dich.
Die wird das fremde Kind verklären,
Du wirst es mir, von mir gebären;
Du hast den Glanz in mich gebracht,
Du hast mich selbst zum Kind gemacht. »

Er faßt sie um die starken Hüften.
Ihr Atem küßt sich in den Lüften.
Zwei Menschen gehn durch hohe, helle Nacht.

Richard Dehmel

Due persone vanno per un boschetto spoglio, freddo;
la luna li segue, essi la guardano fissi.
La luna splende sopra le alte querce,
nessuna nube offusca la luce celeste,
fin dove arrivano le cime nere.
La voce di una donna parla:

« Io porto un figlio che non è tuo,
cammino nel peccato accanto a te.
Contro me stessa ho gravemente peccato.
Non credevo più alla felicità,
e tuttavia desideravo ardentemente
uno scopo nella vita, la gioia d’esser madre
e una mèta; così mi son fatta sfrontata,
e rabbrividendo ho lasciato che il mio sesso
fosse avvolto in un amplesso da un estraneo,
e me ne sono sentita benedetta.
Ora la vita si è vendicata:
ora ho incontrato te, ho incontrato te. »

Ella cammina con passo vacillante.
Guarda in alto; la luna la segue.
Il suo sguardo buio annega nella luce.
La voce di un uomo risponde:

« Il figlio che hai concepito
non sia di peso all’anima tua:
guarda com’è chiaro e lucente l’universo!
Ovunque intorno tutto è splendore,
tu avanzi con me su un mare freddo,
ma un calore singolare sfavilla
da te entro me, da me entro te.
Esso trasfigurerà il bambino estraneo,
ma tu lo partorirai a me, da me;
tu mi hai dato questo fulgore,
tu hai trasformato anche me in un bambino. »

Egli l’avvince intorno ai fianchi forti.
I loro respiri si congiungolo in un bacio.
Due persone vanno nella notte alta, chiara.

traduzione di Sergio Sablich

Natus ante saecula

La sequenza Natus ante saecula di Notker I di San Gallo, detto Balbulus (il Balbuziente; c840 - 912), eseguita dall’ensemble Sequentia.

Natus ante saecula
 Dei filius invisibilis
 Interminus
Per quem fit machina
 Caeli ac terrae maris
 Et in his degentium
Per quem dies et horae labant
 Et se iterum reciprocant
Quem angeli in arce poli
 Voce consona semper canunt,
Hic corpus assumpserat
 Fragile
Sine labe originalis criminis
 De carne Mariae virginis
 Quo primi parentis culpam
 Evaeque lasciviam tergeret.
Hoc praesens diecula loquitur,
Praelucida adaucta
 Longitudine quod sol verus
 Radio sui luminis vetustas
 Mundi depulerit
 Genitus tenebras.
Nec nox vacat novi
 Syderis luce quod magorum
 Oculos terruit scios,
Nec gregum magistris
 Defuit lumen quos praestrinxit
 Claritas militum Dei.
Gaude Dei genitrix
 Quam circumstant obstetricum vice concinentes
 Angeli gloriam Deo.
Christe patris unice
 Qui humanam nostri
 Causa formam assumpsisti
 Refove supplices tuos
Et quorum participem te fore
 Dignatus es Jesu
 Dignanter eorum
 Suscipe preces
Ut ipsos divinitatis tuae
 Participes Deus facere digneris unice Dei.

(Nato prima dei secoli, il figlio di Dio, invisibile e senza fine, per il cui tramite fu creato l’apparato del cielo, della terra, del mare e di tutti coloro che vi abitano; in grazia del quale trascorrono i giorni e le ore, e si alternano tra loro; Colui al quale gli angeli nella rocca celeste sempre inneggiano con armoniosa voce aveva preso un fragile corpo, senza la macchia del peccato originale, dalla carne di Maria vergine, per lavar via con esso la colpa del primo genitore e la lascivia di Eva. Questo ci dice la luminosa tregua attuale, accresciuta nella durata: che il vero sole, ora nato, con il suo raggio di luce ha scacciato le antiche tenebre dal mondo. La notte non è priva della luce della nuova stella che ha atterrito gli occhi saggi dei maghi, così come non manca la luce per coloro che conducono le greggi, i quali furono abbagliati dallo splendore dei soldati del Signore. Rallegrati, Madre di Dio: attorno a te non si adunano levatrici ma angeli che cantano la gloria di Dio. O Cristo, unigenito figlio di Dio, che per noi hai assunto forma umana, ristora i tuoi supplici e con benevolenza accogli le preghiere di coloro dei quali, o Gesù, ti sei degnato di essere partecipe, così che ti degnerai di rendere anch’essi partecipi della tua divinità, Dio unico figlio di Dio.)

Torniamo molto indietro nel tempo, valicando a ritroso il fatale anno 1000 per giun­gere nel pieno dell’età carolingia e ascoltare un capolavoro della musica di quel tempo.

Che cos’è una sequenza? La prima occorrenza del termine si trova nel Liber officialis di Amalario di Metz (c775 - 850); afferma l’insigne liturgista che il canto dell’alleluia tocca nel profondo l’animo del cantore, e « haec jubilatio, quam cantores sequentiam vocant », non necessita di testo (sant’Ago­stino aveva infatti asserito che « chi gioisce non può espri­mersi con parole »).
Dunque, la sequenza era originariamente un vocalizzo, un melisma (ossia un canto privo di testo) articolato sull’ultima vocale della parola alleluia. Ma a un certo punto della sua storia, per l’appunto nel corso del IX secolo, la sequenza comincia a essere dotata di testo. Sulle ragioni di questa novità aiuta a far luce proprio la testimonianza di Notker Balbulus. Questi compose una quarantina di testi di sequenze (da lui chiamati hymni), che poi inviò come omaggio al vescovo di Vercelli Liutvardo, cancelliere di Carlo il Grosso: nella lettera dedicatoria Notker racconta che, in gioventù, faceva molta fatica a ricordare le « longissimae melodiae » del canto liturgico e si chiedeva se ci fosse un metodo per aiutare la memoria. « In quel periodo giunse fra noi un monaco sacerdote dell’abbazia di Jumièges, devastata dai normanni. Portava con sé un libro di musica (antiphonarium) nel quale alcuni testi (aliqui versus) erano adattati alla musica dei melismi alleluiatici (ad sequentias) ». Forte di questo esempio e incoraggiato dai propri superiori, Notker si dedicò alla composizione di testi analoghi affinché fossero cantati sulle note delle sequenze.
L’aggiunta di testi ai vocalizzi dell’alleluia, insomma, è in origine un espediente mnemonico: a volte la storia dell’arte, non solo musicale, riserva gustose sorprese.

Sul vastissimo repertorio di sequenze composte nei secoli successivi, oltre cinquemila, calò poi la scure del Concilio di Trento, che autorizzò l’uso liturgico di soli quattro componimenti:
Victimae Paschali laudes, attribuita a Wipo di Soletta († dopo il 1046);
Veni Sancte Spiritus, attribuita a Stephen Langton, arcivescovo di Canterbury (c1150 - 1228);
Lauda Sion Salvatorem, composta da Tommaso d’Aquino (1225 - 1274) per la festività del Corpus Domini;
Dies irae, che secondo tradizione sarebbe stata composta da Tommaso da Celano (c1190 - c1260).
A queste fu aggiunta poi Stabat Mater dolorosa, scritta probabilmente da Jacopone da Todi (c1230/36 - 1306).

Natus ante saecula (incipit)

Dal Manoscritto 381 di San Gallo (Biblioteca del Monastero, Codex Sangallensis 381, p. 333), l’inizio della sequenza Natus ante saecula di Notker Balbulus.
Da notare il particolare tipo di impaginazione, caratteristico della tradizione sangallese: il testo e la notazione musicale (neumi in campo aperto) sono riportati su due colonne affiancate.

Non ti lagnar, ma soffra et taci

Alfonso Ferrabosco I (1543 - 12 agosto 1588): Dolci ire (2ª parte: Forse anchor), madrigale a 5 voci su testo del Petrarca (Canzoniere CCV). Huelgas Ensemble, dir. Paul Van Nevel.

Dolci ire, dolci sdegni et dolci paci,
dolce mal, dolce affanno et dolce peso,
dolce parlare, et dolcemente inteso,
or di dolce òra, or pien di dolci faci:

alma, non ti lagnar, ma soffra et taci,
et tempra il dolce amaro, che n’à offeso,
col dolce honor che d’amar quella ài preso
a cui io dissi: Tu sola mi piaci.

Forse anchor fia chi sospirando dica,
tinto di dolce invidia: Assai sostenne
per bellissimo amor quest’al suo tempo.

Altri: O fortuna agli occhi miei nemica,
perché non la vid’io? perché non venne
ella piú tardi, over io piú per tempo?

Nativo di Bologna, membro di un’articolata dinastia di musicisti, a partire dal 1562 Alfonso Ferrabosco il Vecchio fu attivo prevalentemente in Inghilterra, dove trovò impiego quale musicista presso la corte di Elisabetta I e contribuì a diffondere il gusto per il madrigale in stile italiano. Ebbe una vita intensa, ricca di episodi singolari – fu tra l’altro accusato di furto e di omicidio, e dopo il suo definitivo ritorno in Italia, nel 1578, si dice che abbia svolto attività di spionaggio per conto della regina inglese.

Axa e Fátima e Marién


Anonimo (dal Cancionero de Palacio, sec. XV-XVI): Tres morillas m’ enamoran, villancico (CMP 24). Ensemble Accentus, dir. Thomas Wimmer (sopra); Hespèrion XX, dir. Jordi Savall.

Tres morillas me enamoran
en Jaén,
Axa y Fátima y Marién.

Tres morillas tan garridas
iban a coger olivas,
y hallábanlas cogidas
en Jaén,
Axa y Fátima y Marién.

Y hallábanlas cogidas,
y tornaban desmaídas
y las colores perdidasv
en Jaén,
Axa y Fátima y Marién.

Tres moricas tan lozanas,
iban a coger manzanas,
y hallábanlas cogidas
a Jaén:
Axa y Fátima y Marién.

Tres morillas
Qui un articolo interessante (in spagnolo) sull’argomento.

Mahler e il pappagallo

Gustav Mahler (7 luglio 1860 - 1911): Das Lied von der Erde, ciclo di Lieder per 2 voci soliste (tenore e contralto oppure baritono) e orchestra (1908-09); testi desunti dalla raccolta Die chinesische Flöte (1907) di Hans Bethge, con varie modifiche e interpolazioni del compositore. Kathleen Ferrier, contralto; Set Svanholm, tenore; New York Philharmonic, dir. Bruno Walter. Registrato nel 1948.

I. Das Trinklied vom Jammer der Erde (da Li Bai, 701 - 762)

Schon winkt der Wein im goldnen Pokale,
Doch trinkt noch nicht, erst sing ich euch ein Lied!
Das Lied vom Kummer soll auflachend
in die Seele euch klingen. Wenn der Kummer naht,
liegen wüst die Gärten der Seele,
Welkt hin und stirbt die Freude, der Gesang.
Dunkel ist das Leben, ist der Tod.

Herr dieses Hauses!
Dein Keller birgt die Fülle des goldenen Weins!
Hier, diese Laute nenn’ ich mein!
Die Laute schlagen und die Gläser leeren,
Das sind die Dinge, die zusammen passen.
Ein voller Becher Weins zur rechten Zeit
Ist mehr wert als alle Reiche dieser Erde!
Dunkel is das Leben, ist der Tod.

Das Firmament blaut ewig und die Erde
Wird lange fest stehen und aufblühn im Lenz.
Du aber, Mensch, wie lang lebst denn du?
Nicht hundert Jahre darfst du dich ergötzen
An all dem morschen Tande dieser Erde!

Seht dort hinab! Im Mondschein auf den Gräbern
hockt eine wildgespenstische Gestalt –
Ein Aff ist’s! Hört ihr, wie sein Heulen hinausgellt
in den süßen Duft des Lebens!
Jetzt nehm den Wein! Jetzt ist es Zeit, Genossen!
Leert eure goldnen Becher zu Grund!
Dunkel ist das Leben, ist der Tod!

II. Der Einsame im Herbst (da Qian Qi, 710 - 782) [8:31]

Herbstnebel wallen bläulich überm See;
Vom Reif bezogen stehen alle Gräser;
Man meint’, ein Künstler habe Staub vom Jade
Über die feinen Blüten ausgestreut.

Der süße Duft der Blumen is verflogen;
Ein kalter Wind beugt ihre Stengel nieder.
Bald werden die verwelkten, goldnen Blätter
Der Lotosblüten auf dem Wasser ziehn.

Mein Herz ist müde. Meine kleine Lampe
Erlosch mit Knistern;
es gemahnt mich an den Schlaf.
Ich komm zu dir, traute Ruhestätte!
Ja, gib mir Ruh, ich hab Erquickung not!

Ich weine viel in meinen Einsamkeiten.
Der Herbst in meinem Herzen währt zu lange.
Sonne der Liebe, willst du nie mehr scheinen,
Um meine bittern Tränen mild aufzutrocknen?

III. Von der Jugend (forse da Li Bai) [17:27]

Mitten in dem kleinen Teiche
Steht ein Pavillon aus grünem
Und aus weißem Porzellan.

Wie der Rücken eines Tigers
Wölbt die Brücke sich aus Jade
Zu dem Pavillon hinüber.

In dem Häuschen sitzen Freunde,
Schön gekleidet, trinken, plaudern,
Manche schreiben Verse nieder.

Ihre seidnen Ärmel gleiten
Rückwärts, ihre seidnen Mützen
Hocken lustig tief im Nacken.

Auf des kleinen Teiches stiller
Wasserfläche zeigt sich alles
Wunderlich im Spiegelbilde,

Alles auf dem Kopfe stehend
In dem Pavillon aus grünem
Und aus weißem Porzellan;

Wie ein Halbmond steht die Brücke,
Umgekehrt der Bogen. Freunde,
Schön gekleidet, trinken, plaudern.

IV. Von der Schönheit (da Li Bai) [20:24]

Junge Mädchen pflücken Blumen,
Pflücken Lotosblumen an dem Uferrande.
Zwischen Büschen und Blättern sitzen sie,
Sammeln Blüten in den Schoß und rufen
Sich einander Neckereien zu.

Goldne Sonne webt um die Gestalten,
Spiegelt sie im blanken Wasser wider.
Sonne spiegelt ihre schlanken Glieder,
Ihre süßen Augen wider,
Und der Zephyr hebt mit Schmeichelkosen das Gewebe
Ihrer Ärmel auf, führt den Zauber
Ihrer Wohlgerüche durch die Luft.

O sieh, was tummeln sich für schöne Knaben
Dort an dem Uferrand auf mut’gen Rossen,
Weithin glänzend wie die Sonnenstrahlen;
Schon zwischen dem Geäst der grünen Weiden
Trabt das jungfrische Volk einher!
Das Roß des einen wiehert fröhlich auf
Und scheut und saust dahin;
Über Blumen, Gräser, wanken hin die Hufe,
Sie zerstampfen jäh im Sturm die hingesunknen Blüten.
Hei! Wie flattern im Taumel seine Mähnen,
Dampfen heiß die Nüstern!
Goldne Sonne webt um die Gestalten,
Spiegelt sie im blanken Wasser wider.

Und die schönste von den Jungfraun sendet
Lange Blicke ihm der Sehnsucht nach.
Ihre stolze Haltung is nur Verstellung.
In dem Funkeln ihrer großen Augen,
In dem Dunkel ihres heißen Blicks
Schwingt klagend noch die Erregung ihres Herzens nach.

V. Der Trunkene im Frühling (da Li Bai) [26:45]

Wenn nur ein Traum das Leben ist,
Warum denn Müh und Plag?
Ich trinke, bis ich nicht mehr kann,
Den ganzen, lieben Tag!

Und wenn ich nicht mehr trinken kann,
Weil Kehl und Seele voll,
So tauml’ ich bis zu meiner Tür
Und schlafe wundervoll!

Was hör ich beim Erwachen? Horch!
Ein Vogel singt im Baum.
Ich frag ihn, ob schon Frühling sei,
Mir ist als wie im Traum.

Der Vogel zwitschert: “Ja! Der Lenz
Ist da, sei kommen über Nacht!”
Aus tiefstem Schauen lausch ich auf,
Der Vogel singt und lacht!

Ich fülle mir den Becher neu
Und leer ihn bis zum Grund
Und singe, bis der Mond erglänzt
Am schwarzen Firmament!

Und wenn ich nicht mehr singen kann,
So schlaf ich wieder ein,
Was geht mich denn der Frühling an!?
Laßt mich betrunken sein!

VI. Der Abschied (da Meng Haoran, 689 - 740, e Wang Wei, 699 - 759) [30:56]

Die Sonne scheidet hinter dem Gebirge.
In alle Taeler steigt der Abend nieder
Mit seinen Schatten, die voll Kuehlung sind.
O sieh! Wie eine Silberbarke schwebt
Der Mond am blauen Himmelssee herauf.
Ich spuere eines feinen Windes Weh’n
Hinter den dunklen Fichten!

Der Bach singt voller Wohllaut
durch das Dunkel.
Die Blumen blassen im Daemmerschein.
Die Erde atmet voll von Ruh’ und Schlaf,
Alle Sehnsucht will nun traeumen.
Die mueden Menschen geh’n heimwaerts,
Um im Schlaf vergess’nes Glueck
Und Jugend neu zu lernen!
Die Voegel hocken still in ihren Zweigen.
Die Welt schlaft ein!

Es wehet kuehl im Schatten meiner Fichten.
Ich stehe hier und harre meines Freundes;
Ich harre sein zum letzten Lebewohl.
Ich sehne mich, o Freund, an deiner Seite
Die Schoenheit dieses Abends zu geniessen.
Wo bleibst du? Du laesst mich lang allein!
Ich wandle auf und nieder mit meiner Laute
Auf Wegen, die vom weichen Grase schwellen.
O Schoenheit!
O ewigen Liebens – Lebens – Trunk’ne welt!

Er stieg vom Pferd und reichte ihm
Den Trunk des Abschieds dar.
Er fragte ihn, wohin er fuehre
Und auch warum es muesste sein.
Er sprach, seine Stimme war umflort:
Du, mein Freund,
Mir war auf dieser Welt das Glueck nicht hold!
Wohin ich geh’?
Ich geh’, ich wand’re in die Berge.
Ich suche Ruhe fuer mein einsam Herz.
Ich wandle nach der Heimat, meiner Staette.
Ich werde niemals in die Ferne schweifen.
Still ist mein Herz und harret seiner Stunde!
Die liebe Erde allueberall
Blueht auf im Lenz und gruent aufs neu!
Allueberall und ewig blauen licht die Fernen!
Ewig… ewig…


Mahler allora aveva composto otto sinfonie e messo in musica un gran numero di poesie. Si era mosso dalla composizione polifonica a quella a voci diverse, talvolta sonorità e forme senza architettura nascondevano un anelito inquieto verso qualcosa di ancora proibito: la cacofonia. Quando componeva, lasciava pendere all’angolo della bocca un sigaro spento; si isolava in un piccolo chalet sul pendio della montagna sovrastante la loro dimora estiva.

Le sue sinfonie le scriveva sempre partendo dalla fine, sì, era il motivo per cui in generale era diventato compositore: per scoprire come avesse effettivamente inizio la musica. E nemmeno pensava seguendo un percorso piano e orizzontale come tutti gli altri, ma procedendo a grandi balzi.

[…]

Quella sera Alma lesse ad alta voce da Die chinesische Flöte per Mahler, che aveva trascorso tutta la giornata chiuso nel piccolo chalet sul pendio a lavorare a un andante comodo in re maggiore, una sequenza di suoni che potevano costituire il finale di un’ulteriore opera sinfonica.

Sì, quelle poesie le conosceva fin troppo bene da tempo. Talvolta ne era rimasto profondamente toccato. Era stato perfino convinto di avere il dovere di metterle in musica. […] Però non aveva mai trovato la via giusta per affrontare quel lavoro.

[…]

Il mattino seguente, mentre era in cammino verso il suo quaderno di musica e il suo pianoforte, Mahler si imbatté in uno dei contadini del villaggio. Grüss Gott, dissero entrambi. Poi Mahler sentì il contadino fischiettare un motivetto dall’angolo della bocca.

Si fermò ad ascoltare.

Curioso, disse fra sé. Curioso.

Mentre il contadino ripeteva instancabilmente la sua piccola melodia, Mahler si voltò e lo raggiunse di cor­sa. Ansimava pesantemente quando si fermò davanti al contadino fischiettante, il cuore di Mahler era già allora affetto da qualcosa di sconosciuto e ineluttabile. E domandò:

Mio ottimo signor coltivatore, dove avete preso quella melodia?

Melodia? disse il contadino.

Sì, disse Mahler, voi stavate fischiettando una melodia dall’angolo della bocca.

Non lo sapevo, disse il contadino.

No, disse Mahler, così è la musica, quasi sempre.

Volete dire questo pezzetto? disse il contadino. E nell’angolo sinistro della bocca fi­schiettò le cinque note do - re - mi - sol - la.

Proprio quello, disse Mahler. Proprio quello.

Ah, disse il contadino. Era un uccello. Un uccello variopinto dentro una gabbia, dei signori di Vienna si erano stancati di averlo, dicevano che era un’ara, e cantava a questo modo ogni giorno e notte. Se non gli mettevamo sopra la coperta.

Grazie, disse Mahler. Vi sono infinitamente grato.

Oh, fece il contadino. Di niente.

Fu ciò che diede l’avvio al lavoro. Per la prima volta in vita sua, Mahler scrisse con il pensiero rivolto tutto il tempo verso la fine, adesso sapeva come tutto avesse avuto inizio, il canto della miseria sulla terra.

(Da Il pappagallo di Mahler (1999) di Torgny Lindgren.
Traduzione di Carmen Giorgetti Cima, © Iperborea 2002)

By the Roadside

Ruth Schönthal (24 giugno 1924 - 2006): By the Roadside, 6 songs su versi di Walt Whitman (1975). Berenice Bramson, soprano, accompagnata al pianoforte dall’autrice.

  1. Mother and Babe
    I see the sleeping babe nestling the breast of its mother,
    The sleeping mother and babe — hush’d, I study them long and long.
  2. Thought
    Of obedience, faith, adhesiveness;
    As I stand aloof and look, there is to me something profoundly affecting in large
    masses of men, following the lead of those who do not believe in men.
  3. Visor’d
    A mask, a perpetual disguiser of herself,
    Concealing her face, concealing her form,
    Changes and transformations every hour, every moment,
    Falling upon her even when she sleeps.
  4. To old age
    I see in you the estuary that enlarges and spreads
    itself grandly as it pours in the great sea.
  5. A farm picture
    Through the ample open door of the peaceful country barn,
    A sunlit pasture field with cattle and horses feeding,
    And haze and vista, and the far horizon fading away.
  6. A child’s amaze
    Silent and amazed even when a little boy,
    I remember I heard the preacher every Sunday put God in his statements,
    As contending against some being or influence.


Quasi di pari passo

Anonimo: Fas et nefas, Carmen Buranum 19; testo attribuito a Gautier de Châtillon (c1135 - c1201). The Boston Camerata, dir. Joel Cohen.

Fas et nefas ambulant
  pene passu pari;
prodigus non redimit
  vitium avari;
virtus temperantia
  quadam singulari
    debet medium
ad utrumque vitium
  caute contemplari.

Si legisse memoras
  ethicam Catonis,
in qua scriptum legitur:
  «ambula cum bonis»,
cum ad dandi gloriam
  animum disponis,
    supra cetera
primum hoc considera,
  quis sit dignus donis.

Vultu licet hilari,
  verbo licet blando
sis equalis omnibus;
  unum tamen mando:
si vis recte gloriam
  promereri dando,
    primum videas
granum inter paleas,
  cui des et quando.

Dare non ut convenit
  non est a virtute,
bonum est secundum quid,
  sed non absolute;
digne dare poteris
  et mereri tute
    famam muneris,
si me prius noveris
  intus et in cute.

Si prudenter triticum
  paleis emundas,
famam emis munere;
  sed caveto, dum das,
largitatis oleum
  male non effundas.
    in te glorior:
cum sim Codro Codrior,
  omnibus habundas.

Carmina Burana

Chiari di Luna – III

Johannes Brahms (7 maggio 1833 - 1897): Mondenschein, Lied per voce e pianoforte op. 85 n. 2 (1882) su testo di Heinrich Heine. Dietrich Fischer-Dieskau, baritono; Jörg Demus, pianoforte.

Nacht liegt auf den fremden Wegen,
Krankes Herz und müde Glieder; –
Ach, da fliesst, wie stiller Segen,
Süsser Mond, dein Licht hernieder.

Süsser Mond, mit deinen Strahlen
Schleuchest du das nacht’ge Grauen;
Es zerrinnen meine Qualen,
Und die Augen übertauen.

Brahms, op. 85 n. 2

Chiari di Luna – II

Claude Debussy (1862 - 25 marzo 1918): Clair de Lune, III movimento della Suite bergamasque per pianoforte (1890-1905). Il brano, ispirato da una poesia di Paul Verlaine, è qui eseguito dall’autore (incisione su rullo per pianoforte automatico, risalente al 1913).

Votre âme est un paysage choisi
Que vont charmant masques et bergamasques
Jouant du luth et dansant et quasi
Tristes sous leurs déguisements fantasques.

Tout en chantant sur le mode mineur
L’amour vainqueur et la vie opportune,
Ils n’ont pas l’air de croire à leur bonheur
Et leur chanson se mêle au clair de lune,

Au calme clair de lune triste et beau,
Qui fait rêver les oiseaux dans les arbres
Et sangloter d’extase les jets d’eau,
Les grands jets d’eau sveltes parmi les marbres.

(Paul Verlaine)

Rosa fra le rose

YouTube propone numerose interpretazioni della più celebre fra le Cantigas de Santa María. Oggi ho scelto questa, di Elisabeth Pawelke.

  Rosa das rosas e Fror das frores,
  Dona das donas, Sennor das sennores.

Rosa de beldad’ e de parecer
e Fror d’alegria e de prazer,
Dona en mui piadosa ser
Sennor en toller coitas e doores.

  Rosa das rosas e Fror das frores…

Atal Sennor dev’ ome muit’ amar,
que de todo mal o pode guardar;
e pode-ll’ os peccados perdõar,
que faz no mundo per maos sabores.

  Rosa das rosas e Fror das frores…

Devemo-la muit’ amar e servir,
ca punna de nos guardar de falir;
des i dos erros nos faz repentir,
que nos fazemos come pecadores.

  Rosa das rosas e Fror das frores…

Esta dona que tenno por Sennor
de que quero seer trobador,
se eu per ren poss’ aver seu amor,
dou ao demo os outros amores.

  Rosa das rosas e Fror das frores,
  Dona das donas, Sennor das sennores.

Sinfonia orientale

Benjamin Godard (1849 - 10 gennaio 1895): Symphonie orientale op. 84 (1884). Royal Scottish National Orchestra, dir. Martin Yates.

I singoli movimenti della Sinfonia sono ispirati da altrettanti componimenti poetici di autori diversi, fra i quali lo stesso Godard; le poesie sono riportate sulla partitura nella forma qui sotto indicata.

I. Les Éléphants (Leconte de Lisle): Andante con moto

Le sable rouge est comme une mer sans limite,
Et qui flambe, muette, affaissée en son lit.
Une ondulation immobile remplit
L’horizon aux vapeurs de cuivre où l’homme habite.
[…]
Tel l’espace enflammé brûle sous les cieux clairs;
Mais, tandis que tout dort aux mornes solitudes,
Les éléphants rugueux, voyageurs lents et rudes,
Vont au pays natal à travers les déserts.

D’un point de l’horizon, comme des masses brunes,
Ils viennent, soulevant la poussière et l’on voit,
Pour ne point dévier du chemin le plus droit,
Sous leur pied large et sûr crouler au loin les dunes.
[…]
L’oreille en éventail, la trompe entre les dents,
Ils cheminent, l’œil clos. Leur ventre bat et fume,
Et leur sueur dans l’air embrasé monte en brume,
Et bourdonnent autour mille insectes ardents.

Mais qu’importent la soif et la mouche vorace,
Et le soleil cuisant leur dos noir et plissé?
Ils révent en marchant du pays délaissé,
Des forêts de figuiers où s’abrita leur race.

Ils reverront le fleuve échappé des grands monts,
Où nage en mugissant l’hippopotame énorme;
Où, blanchis par la lune, et projetant leur forme,
Ils descendaient pour boire en écrasant les joncs.

Aussi, pleins de courage et de lenteur ils passent
Comme une ligne noire, au sable illimité;
Et le désert reprend son immobilité
Quand les lourds voyageurs à l’horizon s’effacent.


II. Chinoiserie (Auguste de Châtillon): Allegro moderato [5:35]

On entendait, au lointain,
Tinter un son argentin
De triangles, de sonnettes,
De tambourins, de clochettes;
C’étaient des gens de Nankin,
Des Mandarins en goguette,
Qui revenaient d’une fête,
D’une fête de Pékin.


III. Sara la Baigneuse (Victor Hugo): Andantino con moto [9:22]

Sara, belle d’indolence,
Se balance
Dans un hamac, au-dessus
Du bassin d’une fontaine
Toute pleine
D’eau puisée à l’Ilyssus;

Et la frêle escarpolette
Se reflète
Dans le transparent miroir,
Avec la baigneuse blanche
Qui se penche,
Qui se penche pour se voir.
[…]
Mais Sara la nonchalante
Est bien lente
A finir ses doux ébats;
Toujours elle se balance
En silence,
Et va murmurant tout bas:

“Oh ! si j’étais capitane,
“Ou sultane,
“Je prendrais des bains ambrés,
“Dans un bain de marbre jaune,
“Prés d’un trône,
“Entre deux griffons dorés !

“J’aurais le hamac de soie
“Qui se ploie
“Sous le corps prêt à pâmer;
“J’aurais la molle ottomane
“Dont émane
“Un parfum qui fait aimer.”
[…]
Ainsi se parle en princesse,
Et sans cesse
Se balance avec amour,
La jeune fille rieuse,
Oublieuse
Des promptes ailes du jour.
[…]


IV. Le rêve de la Nikia (Benjamin Godard): Quasi adagio [15:36]

Elle est jeune, elle est belle; et pourtant la tristesse
Assombrit ses grands yeux.
Aucun penser d’amour ne charme sa jeunesse.
Son cœur ambitieux
Rêve d’une contrée, inconue et lointaine,
Où d’un peuple puissant
Et respecté de tous, elle deviendrait reine.
Là-bas, à l’Occident,
Sont de grandes cités aux splendeurs sans pareilles;
Là, la Science et l’Art,
Au souffle du Génie, enfantent des merveilles!…
Son beau rêve, au hasard,
Vers ces mondes nouveaux, l’emporte sur son aile.
Son cœur ambitieux
N’a nul penser d’amour. Elle est jeune, elle est belle,
Et pourtant la tristesse assombrit ses grands yeux.


V. Marche turque (Godard): Tempo di marcia [21:55]

Là – Allah – Ellalah!
Que les chrétiens maudits périssent sous la hache
Et que Mahomet règne! Il n’est point de cœur lâche
Parmi les fiers soldats du Prophète sacré.
Que dans tout l’Univers Allah soit adoré!


Del ciel regina – II

Guillaume Dufay (c1397 - 27 novembre 1474): Vergine bella, canzone spirituale su testo di Fran­cesco Petrarca (1ª strofe). Duo Mignarda: Donna Stewart, voce; Ron Andrico, liuto.

Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so ’ncominciar senza tu’ aita,
et di Colui ch’amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamò con fede:
Vergine, s’a mercede
miseria extrema de l’humane cose
già mai ti volse, al mio prego t’inchina,
soccorri a la mia guerra,
bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina.

Moro beato


Jacques Arcadelt (1507 - 14 ottobre 1568): Il bianco e dolce cigno, madrigale a 4 voci (pubblicato nel Primo Libro de’ madrigali a 4 voci, 1539, n. 1); testo di Giovanni Guidiccioni rielaborato da Alfonso d’Avalos. The King’s Singers (sopra) e The Consort of Musicke.

Il bianco e dolce cigno
cantando more, ed io
piangendo giung’al fin del viver mio.
Stran’e diversa sorte,
ch’ei more sconsolato
ed io moro beato.
Morte che nel morire
m’empie di gioia tutto e di desire.
Se nel morir, altro dolor non sento,
di mille mort’il dì sarei contento.


Ed ecco una lectio magistralis di Francesco Di Fortunato:


Shakespeariana – XXXIII

English translation: please click here.

Il suon d’argento


Anonimo (probabilmente Richard Edwardes, 1525 - 1566): Where griping grief. Versione per voce (soprano) e liuto: Emma Kirkby e Anthony Rooley. Versione a 4 voci: Deller Consort.

Where griping grief the heart would wound
 And doleful dumps the mind oppress,
There music with her silver sound
 Is wont with speed to give redress
Of troubled minds, for ev’ry sore,
 Sweet music hath a salve in store.

In joy it makes our mirth abound,
 In grief it cheers our heavy sprites,
The careful head relief hath found,
 By music’s pleasant sweet delights;
Our senses, what should I say more,
 Are subject unto Music’s law.

The gods by music have their praise,
 The soul therein doth joy;
For as the Roman poets say,
 In seas whom pirates would destroy,
A dolphin saved from death most sharp,
 Arion playing on his harp.

O heavenly gift, that turns the mind,
 Like as the stern doth rule the ship,
Of music whom the gods assigned,
 To comfort man whom cares would nip,
Since thou both man and beast doth move,
 What wise man then will thee reprove.


Forse figlio illegittimo di Enrico VIII, Richard Edwardes fu poeta, autore drammatico, gen­tiluo­mo della Chapel Royal e maestro del coro di voci bianche della medesima istituzione sotto le regine Maria e Elisabetta I. Nei suoi ultimi anni compilò un’ampia silloge di testi poetici di autori diversi, cui aggiunse, firmandoli, alcuni componimenti propri, e fra questi appunto Where gripyng grief, con il titolo In commendation of Musick. La raccolta, intitolata The Paradise of Dainty Devices, fu pubbli­cata postuma nel 1576, a cura di Henry Disle; dei molti volumi mi­scel­la­nei dati alle stampe in quel periodo fu il più fortunato, tant’è vero che fu ristampato nove volte nei successivi trent’anni.

Del testo si trovano, anche nel web, numerose varianti, quasi tutte di poco conto, a cominciare da «When… Then…» invece di «Where… There…» nella prima strofa; ma è chiaramente un errore l’«Anon» che non di rado sostituisce «Arion» all’inizio dell’ultimo verso della terza strofa: Edwardes fa infatti riferimento a Arione di Métimna, l’antico citaredo che secondo Erodoto inventò il ditirambo e che, racconta il mito, si salvò da sicura morte in mare lasciandosi portare a riva da un delfino che aveva ammaliato con il canto.

Dürer: Arion (c1514)
Albrecht Dürer: Arion (c1514)

Le due fonti manoscritte che ci hanno tramandato la musica di Where griping grief (il Mulliner Book, raccolta di composizioni per strumento a tastiera databile fra il 1550 e il 1585 circa; e il Brogyntyn Lute Book, c1595) non riportano né il testo né il nome dell’autore: si ritiene probabile che anche la musica sia dello stesso Edwardes. La melodia è finemente cesellata; pur procedendo prevalentemente per gradi congiunti, presenta non pochi intervalli più ampi, fra cui un’insolita (per l’epoca) ottava diminuita — sulle parole «dumps the» nel secondo verso della prima strofa.

Il brano doveva essere abbastanza noto all’epoca di Shakespeare, perché questi lo cita in una scena di Romeo e Giulietta. Alla fine del IV atto, dopo che la Nutrice ha rinvenuto il corpo esanime della giovane Capuleti e un cupo inatteso dolore strazia i suoi familiari, alcuni musicisti, che erano stati convocati per allietare la festa delle nozze di Giulietta con il conte Paride, ripongono mestamente gli strumenti e stanno per andarsene quando sopraggiunge Pietro (servitore della Nutrice) e chiede ai musici di suonare per lui; gli altri rispondono che non è il momento adatto per far musica, sicché Pietro inizia a battibeccare con loro e infine, citando Where griping grief, trova il modo di insolentirli. La scena consiste in una lunga serie di giochi di parole a sfondo musicale, da alcuni critici considerati di bassa lega — tanto che qualche traduttore italiano ha pensato bene di omettere l’intero passo. Ma secondo me la scena non è affatto priva di interesse, ragion per cui la riporto qui di seguito: a sinistra l’originale inglese, a destra non esattamente una traduzione, ma piuttosto una reinterpretazione, con alcune esplicite allusioni a musiche famose ai tempi del Bardo e già note ai frequentatori di questo blog.

PETER
Musicians, O musicians, Heart’s Ease, Heart’s Ease. O, an you will have me live, play Heart’s Ease.
PIETRO
Musici, o musici, Chi passa, Chi passa. Se volete ch’io viva, suonate Chi passa.
FIRST MUSICIAN
Why Heart’s ease?
1° MUSICO
Perché Chi passa?
PETER
O musicians, because my heart itself plays My Heart is Full. O, play me some merry dump to comfort me.
PIETRO
O musici, perché il mio cuore sta danzando un passamezzo che non passa. Prego, suonate qualche allegro lamento per confortarmi.
FIRST MUSICIAN
Not a dump, we. ‘Tis no time to play now.
1° MUSICO
No, niente lamenti. Non è il momento di suonare.
PETER
You will not then?
PIETRO
Non volete suonare?
FIRST MUSICIAN
No.
1° MUSICO
No.
PETER
I will then give it you soundly.
PIETRO
Allora ve le suonerò io, sentirete.
FIRST MUSICIAN
What will you give us?
1° MUSICO
Che cosa sentiremo?
PETER
No money, on my faith, but the gleek. I will give you the minstrel.
PIETRO
Oh, non un tintinnar di monete, ve l’assicuro, ma piuttosto una canzon…atura. Ecco, vi tratterò da menestrelli.
FIRST MUSICIAN
Then I will give you the serving creature.
1° MUSICO
E allora noi ti tratteremo da giullare.
PETER
Then will I lay the serving creature’s dagger on your pate. I will carry no crotchets. I’ll re you, I’ll fa you. Do you note me?
PIETRO
E allora riceverete la sonagliera del giullare sulla zucca. Vi avevo chiesto lamenti e mi date capricci. Così ve le suonerò: prendete nota.
FIRST MUSICIAN
An you re us and fa us, you note us.
1° MUSICO
Se ce le suoni, prenderemo davvero le tue note.
SECOND MUSICIAN
Pray you, put up your dagger and put out your wit.
2° MUSICO
Per favore, riponi la tua sonagliera e va’ adagio.
PETER
Then have at you with my wit. I will dry-beat you with an iron wit and put up my iron dagger. Answer me like men.
(sings)
 When griping grief the heart doth wound
 And doleful dumps the mind oppress,
 Then Music with her silver sound—
Why «silver sound»? Why «Music with her silver sound»? What say you, Simon Catling?
PIETRO
Andrò a mio agio e vi metterò a disagio. I miei adagi non sono meno pesanti della sonagliera. Rispondete dunque, da uomini, ai miei colpi.
(canta)
 Quando ferisce il cuore arduo tormento
 E la mente grava penoso tedio,
 Allora Musica dal suon d’argento…
Perché «suon d’argento»? Perché dice «Musica dal suon d’argento»? Tu che ne dici, Simon Cantino?
FIRST MUSICIAN
Marry, sir, because silver hath a sweet sound.
1° MUSICO
Diamine, signore, perché l’argento ha un dolce suono.
PETER
Prates. What say you, Hugh Rebeck?
PIETRO
Ciance. E tu che dici, Ugo Ribeca?
SECOND MUSICIAN
I say, «silver sound» because musicians sound for silver.
2° MUSICO
Dico: «suon d’argento» perché i musicisti suonano per guadagnarsi dell’argento.
PETER
Prates too. What say you, James Soundpost?
PIETRO
Ciance anche queste. E tu, Giaco Bischero?
THIRD MUSICIAN
Faith, I know not what to say.
3° MUSICO
In fede mia, non so che dire.
PETER
Oh, I cry you mercy, you are the singer. I will say for you. It is «Music with her silver sound» because musicians have no gold for sounding.
(sings)
 Then Music with her silver sound
 With speedy help doth lend redress.
(exit)
PIETRO
Oh, ti chiedo scusa: tu sei quello che canta. Be’, risponderò io per te: dice «Musica col suon d’argento» perché i musicisti non hanno mai oro da far risonare.
(canta)
 Allora Musica dal suon d’argento
 Con lesto soccorso pone rimedio.
(esce)
FIRST MUSICIAN
What a pestilent knave is this same!
1° MUSICO
Che pestifero furfante è costui!
SECOND MUSICIAN
Hang him, Jack! Come, we’ll in here, tarry for the mourners and stay dinner.
(exeunt)
2° MUSICO
Lascialo perdere! Venite, entriamo: aspette­remo quelli che verranno per il funerale e ci fermeremo a pranzo.
(escono)

Shakespeariana – XXXIII

Her silver sound


Anonymous (probably Richard Edwardes, 1525 - 1566): Where griping grief. Two versions:
– as a song for 1 voice (soprano) and lute: Emma Kirkby and Anthony Rooley.
– as a partsong for 4 voices: the Deller Consort.

Where griping grief the heart would wound
 And doleful dumps the mind oppress,
There music with her silver sound
 Is wont with speed to give redress
Of troubled minds, for ev’ry sore,
 Sweet music hath a salve in store.

In joy it makes our mirth abound,
 In grief it cheers our heavy sprites,
The careful head relief hath found,
 By music’s pleasant sweet delights;
Our senses, what should I say more,
 Are subject unto Music’s law.

The gods by music have their praise,
 The soul therein doth joy;
For as the Roman poets say,
 In seas whom pirates would destroy,
A dolphin saved from death most sharp,
 Arion playing on his harp.

O heavenly gift, that turns the mind,
 Like as the stern doth rule the ship,
Of music whom the gods assigned,
 To comfort man whom cares would nip,
Since thou both man and beast doth move,
 What wise man then will thee reprove.


Richard Edwardes, possibly an illegitimate son of Henry VIII, was a poet, playwright, gentleman of the Chapel Royal and choirmaster of the same institution in the reigns of Mary and Elizabeth I. In his later years he compiled an extensive anthology of poems by various authors, adding his own, including Where griping grief (under the title In commendation of Musick). The anthology, titled The Paradise of Dainty Devices, appeared posthumously in 1576, edited by Henry Disle; it was the most successful of the numerous miscellaneous books printed at the end of the sixteenth century: it was in fact reprinted nine times in the following thirty years.

There are, even on the Internet, many variants of Where griping grief, almost all of little importance, such as for example «When… Then…» instead of «Where… There…» in the first line; but the «Anon» which often replaces «Arion» at the beginning of the last line of the third stanza is clearly a mistake: Edwardes in fact refers to Arion of Methymna, a kitharode in ancient Greece credited with inventing the dithyramb: according to the myth, Arion was saved from certain death at sea by being carried ashore by a dolphin that he had enchanted with his own singing.

Dürer: Arion (c1514)
Albrecht Dürer: Arion (c1514)

The two manuscript sources that have handed down the music of Where griping grief (the Mulliner Book, a collection of pieces for keyboard instrument dating between about 1550 and 1585; and the Brogyntyn Lute Book, c1595) do not bear neither the text nor the name of the composer: the music is thought to be probably by Edwardes himself. Where griping grief has a finely chiseled tune; though proceeding mainly in joint degrees, it has several larger intervals, including an unusual (at that time) diminished octave — to the words «dumps the» in the second line of the first stanza.

Where griping grief must have been quite well known in Shakespeare’s time, so much so that its first stanza is quoted in a scene from Romeo and Juliet, at the end of the fourth act, after the Nurse has found the lifeless body of the young Capulet and a gloomy unexpected pain torments his relatives; the news also saddens some musicians, who had been summoned to cheer Juliet’s wedding party: they are putting away their instruments before leaving when Peter (the Nurse’s servant) asks them to play for him; since the musicians have no intention of pleasing him, Peter begins to argue with them and finally, quoting Where griping grief, finds a way to insult them.

PETER

Answer me like men.
(sings)
 When griping grief the heart doth wound
 And doleful dumps the mind oppress,
 Then Music with her silver sound—
Why «silver sound»? Why «Music with her silver sound»? What say you, Simon Catling?

FIRST MUSICIAN

Marry, sir, because silver hath a sweet sound.

PETER

Prates. What say you, Hugh Rebeck?

SECOND MUSICIAN

I say, «silver sound» because musicians sound for silver.

PETER

Prates too. What say you, James Soundpost?

THIRD MUSICIAN

Faith, I know not what to say.

PETER

Oh, I cry you mercy, you are the singer. I will say for you. It is «Music with her silver sound» because musicians have no gold for sounding.
(sings)
 Then Music with her silver sound
 With speedy help doth lend redress.
(exit)

Shakespeariana – XXIX

Ivresse de jeunesse

Charles Gounod (1818 - 1893): «Je veux vivre», Juliette’s valse-ariette (waltz song) from the 1st act of the opera Roméo et Juliette (1867), libretto by Jules Barbier and Michel Carré, based on Romeo and Juliet by William Shakespeare. Natalie Dessay, soprano; Orchestre du Capitole de Toulouse conducted by Michel Plasson.

Ah!
Je veux vivre
Dans ce rêve qui m’enivre
Ce jour encore!
Douce flamme,
Je te garde dans mon âme
Comme un trésor!

Cette ivresse de jeunesse
Ne dure, hélas, qu’un jour!
Puis vient l’heure
Où l’on pleure,
Le cœur cède à l’amour
Et le bonheur fuit sans retour!

Loin de l’hiver morose
Laisse-moi sommeiller
Et respirer la rose
Avant de l’effeuiller.

Shakespeariana – XXII

Musick to heare

Igor Stravinsky (Igor’ Fëdorovič Stravinskij; 1882 - 1971): Three Songs from William Shakespeare for mezzo-soprano, flute, clarinet and viola (1953). Anna Molnár, mezzo-soprano; Annamária Bán, flute; Csaba Pálfi, clarinet; Péter Tornyai, viola.

  1. Musick to heare (Sonnet 8)

    Musick to heare, why hear’st thou musick sadly?
    Sweets with sweets warre not, ioy delights in ioy:
    Why lou’st thou that which thou receaust not gladly,
    Or else receau’st with pleasure thine annoy?
    If the true concord of well tuned sounds,
    By vnions married, do offend thine eare,
    They do but sweetly chide thee, who confounds
    In singlenesse the parts that thou should’st beare:
    Marke how one string sweet husband to an other,
    Strikes each in each by mutuall ordering;
    Resembling sier, and child, and happy mother,
    Who all in one, one pleasing note do sing:
      Whose speechlesse song being many, seeming one,
      Sings this to thee, thou single wilt proue none.

  2. Full fadom five (Ariel’s song from The Tempest) [3:07]

    Full fadom five thy Father lies,
     Of his bones are Corrall made:
    Those are pearles that were his eies,
     Nothing of him that doth fade,
    But doth suffer a Sea-change
    Into something rich, & strange:
    Sea-Nimphs hourly ring his knell.
      Ding dong ding dong.
    Harke now I heare them; ding dong bell.

  3. Spring (cuckoo’s song from Love’s Labour’s Lost) [4:43]

    When Daisies pied, and Violets blew,
    And Cuckow-buds of yellow hew,
    And Ladie-smockes all silver white,
    Do paint the Medowes with delight,
    The Cuckow then on everie tree
    Mockes married men; for thus sings he,
    Cuckow! Cuckow, Cuckow! O worde of feare,
    Unpleasing to a married eare.

Shakespeariana – XIV

Take those lips away

Take, O take those lips away,
That so sweetly were forsworn;
And those eyes, the break of day,
Lights that do mislead the morn:
But my kisses bring again
Seals of love, though seal’d in vain.

Hide, O hide those hills of snow
That thy frozen bosom bears,
On whose tops the pinks that grow
Are yet of those that April wears,
But first set my poor heart free,
Bound in those icy chains by thee.

La prima strofa si trova nella commedia di Shakespeare Misura per misura (atto IV, scena 1a), rappresentata per la prima volta nel 1604; non sappiamo su quale melodia fosse cantata. Prima e seconda strofa sono nel dramma Rollo Duke of Normandy, or The Bloody Brother, scritto in collaborazione da John Fletcher, Philip Massinger, Ben Jonson e George Chapman in data imprecisabile (comunque non prima del 1612). Non è dato di sapere se la seconda strofe sia un’aggiunta di Fletcher oppure se tanto Shakespeare quanto Fletcher si siano rifatti a una canzone popolare in voga ai loro tempi.
Il testo è stato musicato da diversi autori. Il primo in ordine cronologico fu John Wilson (1595 - 1674), il quale nel 1614 succedette a Robert Johnson quale primo compositore dei King’s Men, la compagnia teatrale cui apparteneva Shakespeare. Ascoltiamo il suo lavoro in… versione shake­speariana (ossia limitata alla sola prima strofa) interpretata da Alfred Deller (voce) e Desmond Dupré (liuto); e poi nella versione integrale cantata dal soprano Anna Dennis, accompagnata da Hanneke van Proosdij al clavicembalo, Elisabeth Reed alla viola da gamba e David Tayler all’arciliuto.

The first stanza is featured in Shakespeare’s play Measure for Measure (act 4, scene 1), first represented in 1604; we do not know to what tune it was sung. Both the stanzas feature in the play Rollo Duke of Normandy, or The Bloody Brother, co-written by John Fletcher, Philip Massinger, Ben Jonson and George Chapman and performed at an unspecified date (though not earlier than 1612). It is not known whether the second stanza is an addition by Fletcher or whether both Shakespeare and Fletcher drew on a popular song in vogue in their time.
These verses have been set to music by various composers. The first in chronological order was John Wilson (1595 - 1674), who in 1614 succeeded Robert Johnson as principal composer for the King’s Men, the theater company to which Shakespeare belonged. Let’s listen to his work in… a Shakespearean version (i.e. the first stanza only) performed by Alfred Deller (voice) and Desmond Dupré (lute); and then in the complete version sung by soprano Anna Dennis, accompanied by Hanneke van Proosdij on harpsichord, Elisabeth Reed on viola da gamba and David Tayler on archlute.



John Weldon (1676 - 1736): Take, O take those lips away per voce e continuo (c1707). Emma Kirkby, soprano; Anthony Rooley, liuto.


Robert Lucas de Pearsall (1795 - 1856), Take, O take those lips away per coro a 5 voci a cappella op. 6 (1830). Cantores Musicæ Antiquæ, dir. Jeffery Kite-Powell.


Mrs H. H. A. Beach (Amy Marcy Cheney Beach, 1867 - 1944): Take, O take those lips away per voce e pianoforte, n. 2 dei Three Shakespeare Songs op. 37 (1897). Virginia Mims, soprano.


Peter Warlock (pseudonimo di Philip Heseltine, 1894 - 1930): Take, O take those lips away per voce e pianoforte (1916-17). Benjamin Luxon, baritono; David Willison, pianoforte.


Roger Quilter (1877 - 1953): Take, O take those lips away per voce e pianoforte, n. 4 dei Five Shakespeare Songs op. 23 (1921). Philippe Sly, basso-baritono; Michael McMahon, pianoforte.


Madeleine Dring (1923 - 1977): Take, O take those lips away per voce e pianoforte (c1950). Michael Hancock-Child, tenore; Ro Hancock-Child, pianoforte.


Emma Lou Diemer (1927): Take, O take those lips away, da Three Madrigals per coro e pianoforte (1960). The Colorado Chorale, dir. Frank Eychaner.

Une Châtelaine en sa tour

Gabriel Fauré (12 maggio 1845 - 1924): Une Châtelaine en sa tour per arpa op. 110 (1918). Anneleen Lenaerts.
Il titolo è un verso di Verlaine:

Une Sainte en son auréole,
Une Châtelaine en sa tour,
Tout ce que contient la parole
Humaine de grâce et d’amour.

La note d’or que fait entendre
Un cor dans le lointain des bois,
Mariée à la fierté tendre
Des nobles Dames d’autrefois.

Avec cela le charme insigne
D’un frais sourire triomphant
Éclos dans des candeurs de cygne
Et des rougeurs de femme-enfant.

Des aspects nacrés, blancs et roses,
Un doux accord patricien.
Je vois, j’entends toutes ces choses
Dans son nom Carlovingien.

(la Bonne chanson VIII)

Amor scortese

Hugo de Lantins (attivo tra il 1420 e il 1430): Plaindre m’estuet de ma damme jolye, rondeau a 3 voci. Le Miroir de Musique, dir. Baptiste Romain.

P laindre m’estuet de ma damme jolye
V ers tous amans qui par sa courtosie
T out m’a failly sa foy qu’avoit promis
A ultre de moy, tant que seroye vis,
J amais changier ne devoit en sa vie.
N e scay comment elle a fait départie
D e moy. Certes ne le cuidesse mye
E n tel deffault trouver, ce m’est [a]vis.
M ais je scay bien que ja merancolie
E [n] moy n’ara pour yceste follye.
R enouveler volray malgré son vis
D ’aultre damme dont mon cuer est souspris
E t renuncer de tout sa compaignye.