Ouverture francese

Anthony Ritchie (18 settembre 1960): French Overture op. 138 (2009). New Zealand Symphony Orchestra, dir. Tecwyn Evans.

Il brano è stato ispirato da un soggiorno parigino del compositore neozelandese. Il titolo fa riferimento dunque, in primo luogo, a Parigi, ma allude anche alla forma musicale tipicamente barocca detta appunto «ouverture francese», così chiamata perché affermatasi nell’ambito della musica transalpina della seconda metà del Seicento, con le ouvertures dei balletti di Lully, e per distinguerla dalla coeva «ouverture italiana», che ha struttura differente: l’ouverture francese consta di due sezioni, la prima di andamento lento, la seconda vivace; l’italiana è tripartita, rapide la prima e l’ultima sezione, lenta quella centrale.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Anthony Ritchie: un maestro neozelandese tra accademia e innovazione

Anthony Damian Ritchie è un eminente compositore e accademico neozelandese, la cui prolifica carriera include oltre 200 opere che spaziano da sinfonie e opere liriche a concerti, lavori corali, musica da camera e pezzi solisti.

Primi anni e formazione musicale
Nato a Christchurch, Anthony Ritchie ha ereditato il talento musicale dai genitori: suo padre, John Ritchie, era professore di composizione e orchestrazione all’Università di Canterbury, mentre sua madre era una solista soprano. Anthony ha iniziato a studiare il pianoforte all’età di nove anni, mostrando subito una notevole predisposizione per l’improvvisazione. La sua educazione musicale è proseguita presso il St Bede’s College a Christchurch, dove ha iniziato a comporre, per poi conseguire il Bachelor of Music con lode all’Università di Canterbury nel 1981. Un’esperienza significativa per la sua formazione è stata la permanenza in Ungheria nel 1983, dove ha studiato l’influenza della musica popolare in alcune opere di Béla Bartók e ha approfondito la composizione con Attila Bozay e Zsolt Serei. Ha infine completato il dottorato di ricerca sulla musica di Bartók nel 1987.

Carriera iniziale e commissioni rilevanti
Nello stesso anno, il compositore ha ricoperto il ruolo di Composer-in-Schools a Christchurch; tra il 1988 e il 1989 è stato Mozart Fellow presso l’Università di Otago. Successivamente, ha intrapreso la carriera di compositore freelance, accettando una serie di prestigiose commissioni. Tra queste figurano Theme and Variations – the search, presentata in anteprima a Dunedin nel giugno 1998; From the Southern Marches, commissionata da George Griffiths di Otago Heritage Books e presentata nel marzo 1998; Revelation commissionata e eseguita dalla New Zealand Symphony Orchestra a Christchurch e Wellington nel 1998; un Concerto per chitarra commissionato dalla Auckland Philharmonia ed eseguito dal chitarrista Matthew Marshall, e le danze Shoal Dance e Leaf. Ha composto per numerosi altri artisti di spicco, tra cui Michael Houstoun e Wilma Smith.

Collaborazioni e opere liriche
Ritchie ha collaborato con diversi scrittori e librettisti di talento. Con Stuart Hoar ha creato un primo lavoro teatrale, Star Fire (1995), un’opera futuristica con un tema fantascientifico e richiami ambientali e maori, commissionata dalla Class Act Opera di Auckland per essere rappresentata nelle scuole. Un’altra collaborazione con Hoar ha dato vita a Quartet (2004), un’operetta comica che esplora la vita dei musicisti classici in tournée in Nuova Zelanda, con un quartetto d’archi in scena. Ha anche lavorato con la romanziera Keri Hulme per l’opera Ahua (2000), una storia sull’antenato Ngāi Tahu Moki, commissionata dal Christchurch City Choir. Nel 2004, ha collaborato con Jeremy Commons per The God Boy, un’opera basata sul romanzo di Ian Cross, rappresentata da Opera Otago per l’Otago Festival of the Arts. Ha infine musicato poesie della poetessa di Dunedin Elena Poletti, creando Lullabies (2015), originariamente commissionate ed eseguite dalla Auckland Choral Society.

Sperimentazione e influenze musicali
Pur non essendo un suonatore di gamelan, Ritchie è stato affascinato dalle sonorità di questo ensemble strumentale e ha adottato le caratteristiche scale della musica gamelan nella sinfonia Boum (1993) e nei 24 Preludi per pianoforte (2002). Questi ultimi rivelano una vasta gamma di influenze musicali, spaziando da compositori neoromantici a diverse firme ritmiche, stili contrappuntistici e armonici, tecniche di clavicembalo e organo, nonché sonorità di celesta. Qui Ritchie ha anche sperimentato l’uso del concetto matematico del quadrato magico, già impiegato da compositori come Peter Maxwell Davies e Gillian Whitehead.

Opere riconosciute e ritorno all’accademia
Una delle sue opere più significative è l’oratorio Gallipoli to the Somme, che ha commemorato il centenario della battaglia della Somme. L’oratorio è basato sull’omonimo libro di Alexander Aitken, un soldato del battaglione di Otago e successivamente professore di matematica all’Università di Edimburgo. L’opera è stata presentata in anteprima a Dunedin nel 2016 e ha avuto la sua prima rappresentazione europea, con Anna Leese come solista, allo Sheldonian Theatre di Oxford nel giugno 2018. Nel 2020 è stata votata l’opera di musica classica più popolare della Nuova Zelanda nel sondaggio Settling the Score di RNZ Concert. Nel 2018, dopo diciotto anni di insegnamento della composizione, Ritchie è diventato professore di composizione presso il Dipartimento di musica, teatro e arti performative dell’Università di Otago. Nel 2020, ha infine assunto il ruolo di capo della School of Performing Arts, una posizione della durata di tre anni. In riconoscimento dei suoi significativi successi nel campo della composizione, il compositore ha ricevuto un premio dal Trust Fund della Composers Association of New Zealand nel 1998.

La French Overture op. 138
La composizione si apre con un’introduzione lenta e maestosa, un tratto distintivo del genere. Fin da subito, l’orchestra, dominata da ottoni e percussioni, stabilisce un’atmosfera grandiosa e quasi cerimoniale. Le trombe e i tromboni pronunciano incisivi ritmi puntati, conferendo al brano un senso di peso e solennità. Gli archi, con lunghe note sostenute, creano un tappeto sonoro denso che supporta la potenza degli ottoni. L’armonia, ricca e stratificata, presenta momenti di tensione che si risolvono in accordi pieni e risonanti, suggerendo un’imminente narrazione musicale. La dinamica iniziale è un forte incisivo, che sottolinea il carattere dichiarativo di questa prima sezione.
Dopo l’affermazione iniziale, la musica si trasforma bruscamente in una sezione allegra e dinamica: il tempo si accelera, introducendo un carattere più leggero e virtuosistico. I violini prendono il comando, presentando un tema veloce e caratterizzato da figurazioni rapide, scale e arpeggi, tipiche di una scrittura fugata. Le entrate successive degli altri archi e poi dei legni tessono una trama contrappuntistica complessa e fitta, creando un senso di continuo sviluppo e movimento. L’orchestrazione si arricchisce progressivamente, con gli ottoni che si uniscono per aggiungere brillantezza e potenza alla crescente energia del brano. Questa sezione è un esempio di come Ritchie mantenga la struttura classica dell’ouverture francese, rielaborando il tradizionale fugato con una sonorità orchestrale moderna e un impeto ritmico incalzante.
La composizione poi introduce nuovi elementi tematici, variando il paesaggio sonoro. Emerge un tema più ritmico e diretto, con un carattere quasi marziale o di fanfara, spesso affidato agli ottoni e accompagnato da timpani che scandiscono un’andatura decisa. Questa sezione offre un contrasto stilistico con la precedente complessità contrappuntistica, presentando una tessitura più omoritmica. Tuttavia, Ritchie introduce anche passaggi di grande lirismo, affidando a strumenti come l’oboe e il flauto melodie cantabili e più delicate. Questi momenti creano un dialogo affascinante tra la forza perentoria delle fanfare e la morbidezza espressiva dei legni, dimostrando la capacità del compositore di gestire ampi spettri emotivi. La tensione si accumula gradualmente, portando a un climax intermedio di grande impatto, che coinvolge l’intera orchestra in un’esplosione di suono e ritmo, prima di un’improvvisa decelerazione.
Segue un breve ma intenso interludio, dove il tempo rallenta nuovamente e l’atmosfera si fa più riflessiva. Sebbene non sia una riproposizione esatta dell’introduzione, questa sezione ne evoca il carattere maestoso attraverso ritmi puntati e sonorità più pacate. I corni e gli archi sostenuti dominano la scena, creando una sonorità calda e pensosa. È un momento di pausa, quasi una meditazione prima della ripresa del movimento, che offre all’ascoltatore un respiro emotivo e una preparazione per la successiva fase dinamica.
La sezione finale riprende con rinnovata energia il carattere allegro, fondendo e rielaborando i temi precedentemente introdotti. Elementi fugati e frammenti delle fanfare si intrecciano in una tessitura orchestrale densa e complessa, che dimostra la maestria del compositore nel gestire il materiale tematico. Il dialogo tra le diverse sezioni dell’orchestra diventa più serrato e virtuosistico, con un’accelerazione progressiva e un aumento della dinamica. La musica costruisce una serie di crescendo potenti, guidando l’ascoltatore verso un climax finale di straordinaria grandezza. L’intera orchestra si unisce in un’esplosione sonora che è sia energica che profondamente affermativa, culminando in una serie di accordi finali risonanti e decisi che chiudono il pezzo con un senso di completezza e trionfo.

In sintesi, la French Overture è un’opera affascinante che onora le sue radici barocche pur esplorando nuove direzioni. Attraverso una sapiente orchestrazione, un’abile gestione dei contrasti dinamici e una chiara progressione tematica, Ritchie crea un brano coinvolgente che bilancia potenza, virtuosismo e momenti di riflessione, lasciando un’impressione indelebile di grandezza e forza espressiva.

Grave maestoso energico

Barone Herman Severin Løvenskiold (30 luglio 1815 - 1870): Ouverture del balletto Sylfiden (La Sylphide; 1836). Det Kongelige Kapel, dir. David Garforth.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Herman Severin Løvenskiold, il compositore norvegese che conquistò la Danimarca

Løvenskiold è una figura emblematica della musica romantica scandinava, compositore di origine norvegese la cui carriera e fama sono indissolubilmente legate alla Danimarca. La sua opera più celebre, la partitura per il balletto Sylfiden, non solo lo ha consacrato nella storia della musica, ma è diventata un pilastro della cultura danese.

La nascita tra i fiordi e il trasferimento in Danimarca
Nato in Norvegia presso la ferriera di Holden Jernværk, Herman Severin era figlio di Eggert Løvenskiold, il direttore dell’impianto. La sua vita prese una svolta decisiva nel 1829, quando la famiglia si trasferì in Danimarca. Fin da bambino, Herman mostrò un talento musicale così eccezionale da convincere il padre ad abbandonare il progetto di avviarlo alla carriera militare. Il giovane Løvenskiold poté così dedicarsi alla sua vera passione, formandosi sotto la guida del compositore Peter Casper Krossing.

La consacrazione: il successo imperituro di Sylfiden
Il suo debutto fu tanto precoce quanto trionfale: nel 1836, a soli 21 anni, compose la musica per la storica versione di August Bournonville del balletto Sylfiden per il Balletto reale danese. Il lavoro ottenne un successo immediato e duraturo, tanto da rimanere un punto fermo nel repertorio del Teatro reale di Copenaghen fino ai giorni nostri. La sua fama ha varcato i confini nazionali e il balletto è stato inserito nel Canone culturale danese, a testimonianza della sua importanza per le arti sceniche del Paese.

Il perfezionamento in Europa e la maturità artistica
Incoraggiato da questo successo, il compositore intraprese un viaggio di perfezionamento in Europa. Studiò a Vienna con Ignaz von Seyfried e trascorse un periodo a Lipsia, dove le sue composizioni ottennero l’attenzione e il plauso di Robert Schumann. Il suo tour formativo lo portò anche in Italia e a San Pietroburgo, avendo così modo di arricchire ulteriormente il proprio bagaglio culturale e musicale. Tornato in Danimarca, produsse una notevole quantità di opere per il Teatro reale. Tra queste spiccano i balletti Hulen i Kullafjeld (1841) e Den ny Penelope (1847), e l’opera Turandot (1854). La sua produzione non si limitò al teatro, ma incluse anche ouverture da concerto, musica da camera e numerosi brani per pianoforte, come i celebri Impromptus op. 8.
A coronamento della carriera, dal 1851 fino alla morte Løvenskiold ricoprì la prestigiosa carica di organista presso la Chiesa del Castello (Slotskirken) di Copenaghen.
Lo stile musicale di Løvenskiold è caratterizzato da una fresca inventiva e da uno spiccato slancio poetico. Tuttavia, la sua produzione è a volte diseguale, alternando lavori di pregio a composizioni meno ispirate.

L’ouverture del balletto Sylfiden
Notevole esempio di ouverture romantica in stile pot-pourri, il brano anticipa i temi musicali e le atmosfere emotive dell’opera che seguirà. Più che un’elaborazione sinfonica complessa, essa agisce come un prologo sonoro, guidando l’ascoltatore attraverso i contrastanti mondi del balletto: quello etereo e magico delle silfidi e quello terreno e passionale degli esseri umani.

La composizione si apre in un’atmosfera di cupo mistero: le note gravi e sostenute dei violoncelli, dei contrabbassi e dei corni creano un’ambientazione notturna e presaga, mentre la tonalità minore e il movimento lento evocano l’ambientazione scozzese, forse una nebbiosa alba o il sonno inquieto del protagonista, James. Improvvisamente, questa quiete viene squarciata da un potente e drammatico accordo fortissimo dell’intera orchestra: questo non è un semplice accento, ma un vero e proprio colpo di scena sonoro, un presagio del conflitto e del destino tragico che incombe sulla storia.
La musica ritorna alla calma, ma con una nuova sfumatura: un dialogo malinconico e sognante si sviluppa tra il fagotto e i violoncelli, suggerendo un sentimento di desiderio e nostalgia. Brevi interventi leggeri e quasi trasparenti dei legni (flauto e oboe) su un pizzicato degli archi sembrano rappresentare la prima, fugace apparizione della silfide, eterea e inafferrabile. Il tema iniziale viene ripreso dai violini, guadagnando gradualmente intensità. L’orchestrazione si infittisce in un grande crescendo che culmina in un secondo, maestoso tutti orchestrale. Questo passaggio finale dell’introduzione serve a creare una tensione crescente, preparando il terreno per la sezione successiva e chiudendo il sipario sul mondo onirico e misterioso.
Senza alcuna pausa, l’ouverture si lancia in un Allegro agitato che rappresenta il cuore drammatico della vicenda. Gli archi eseguono un moto perpetuo rapido e pulsante, creando una base di tensione inarrestabile. Su questa trama ritmica, l’orchestra espone un tema vigoroso e passionale, pieno di slancio e urgenza. Questo tema incarna perfettamente il conflitto interiore di James, diviso tra il mondo reale (la fidanzata Effie) e l’attrazione soprannaturale per la silfide. La sezione si sviluppa con un’energia crescente, utilizzando brevi frammenti tematici che si rincorrono tra le diverse sezioni dell’orchestra. I colpi dei timpani e gli accenti degli ottoni rafforzano il carattere tempestoso e drammatico del passaggio, che si conclude con una cadenza decisa, quasi a simboleggiare una scelta fatale.
Dopo la tempesta emotiva, Løvenskiold introduce un netto cambio di atmosfera, trasportandoci in un quadro sonoro idilliaco e pastorale. L’oboe intona una melodia dolce e semplice, dal chiaro sapore popolare scozzese. Accompagnato da un ondeggiante tappeto d’archi, questo tema evoca la serenità della campagna e l’innocenza dell’amore terreno di Effie. La melodia viene poi ripresa e variata dal flauto, che le conferisce una qualità ancora più leggera e sognante. L’intero corpo degli archi si appropria del tema, sviluppandolo con maggiore calore e pienezza espressiva: questo episodio rappresenta il mondo rassicurante e familiare che James è destinato a lasciare, un’oasi di pace prima del ritorno del dramma.
La scena si sposta ora verso un momento di celebrazione collettiva: l’orchestra attacca un valzer brillante e festoso, caratterizzato da un ritmo trascinante e da una melodia elegante e gioiosa. Questo è chiaramente un tema associato a una danza o a una festa di nozze, un momento di gioia comunitaria che contrasta nettamente con la dimensione intima e soprannaturale della silfide. La strumentazione è piena e ricca, con gli ottoni che aggiungono un tocco di solennità e pompa alla celebrazione.
L’ouverture si conclude con una coda che riassume l’energia dell’opera e la proietta verso un finale mozzafiato. Il tempo accelera in un Presto incalzante e l’orchestra riprende frammenti dei temi precedenti, in particolare quello drammatico dell’Allegro, in un crescendo di intensità ed eccitazione. Il ritmo si fa sempre più serrato e la dinamica cresce costantemente, creando un senso di corsa irrefrenabile verso il finale. La sezione finale è un’esplosione di energia orchestrale: il tema principale viene affermato in modo trionfale, con squilli di ottoni, rulli di timpani e vorticosi passaggi degli archi. Løvenskiold chiude l’ouverture con una serie di accordi potenti e perentori, lasciando il pubblico con il fiato sospeso e un forte senso di attesa per l’inizio del balletto.

I due cacciatori e la lattaia

Egidio Romualdo Duni (1708 - 11 giugno 1775): Ouverture dell’opéra-comique Les deux Chasseurs et la Laitière (1763). Accademia dell’Arcadia, dir. Roberto Balconi.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Egidio Romualdo Duni: un viaggio musicale tra Italia e Francia, pioniere dell’opéra-comique

Origini e formazione avvolte nel mistero
Nato a Matera e battezzato l’11 febbraio 1708, Duni ricevette la sua prima educazione musicale dal padre, Francesco, maestro di cappella della cattedrale cittadina. La tradizione vuole che a nove anni sia entrato nel conservatorio di S. Maria di Loreto a Napoli, per poi passare a quello della Pietà dei Turchini, dove sarebbe stato allievo di Francesco Durante e avrebbe ottenuto il titolo di maestro di cappella. Tuttavia, K. M. Smith ha sollevato dubbi significativi su questa versione, sostenendo che incongruenze cronologiche rendono improbabile che Duni sia stato allievo di Durante, almeno all’interno del conservatorio.

Il debutto nell’opera seria e le prime incertezze
La prima attestazione certa dell’attività compositiva di Duni risale al maggio 1735, con la rappresentazione a Roma dell’opera seria Nerone. Secondo i Mémoires di Grétry, l’opera ottenne un discreto successo, nonostante fosse la seconda della stagione dopo l’acclamata Olimpiade di Pergolesi. Questa affermazione è però contraddetta dal Diario di Valesio, che riporta un’accoglienza tiepida («poco plauso»). Ciononostante, Duni proseguì la propria attività, presentando Adriano in Siria a Roma nel dicembre 1735 e La tirannide debellata a Milano nel 1736. Un presunto viaggio a Vienna in missione segreta per un «cardinal C.», menzionato da una fonte poco attendibile, non trova conferme documentali.

Peregrinazioni europee: tra palcoscenici e incontri destinanti
Nel maggio 1737 fu rappresentato a Londra il suo Demofoonte, ed è plausibile che il compositore fosse presente. Successivamente si recò in Olanda, immatricolandosi all’Università di Leida il 22 ottobre 1738. Proprio a Leida, in un periodo precedente, Duni fu costretto a consultare il celebre medico Herman Boerhaave a causa di «vapori ipocondriaci», come narrato da Carlo Goldoni nelle sue Memorie. La cura prescritta da Boerhaave – «montare a cavallo, di divertirsi, di far la sua vita consueta e di guardarsi bene da qualsiasi specie di medicamento» – colpì molto Goldoni quando Duni gliela descrisse durante il loro incontro alla corte di Parma nel 1756. L’aneddoto e la figura del medico ispirarono Goldoni per la sua commedia Il medico olandese.

Ritorno in patria e l’incarico a Bari
Nel gennaio 1739, Duni era a Milano per la rappresentazione di una sua opera, seguita da altre messe in scena a Firenze tra il 1740 e il 1744. Episodi come un presunto assalto da parte di ladri vicino a Milano, un ritorno a Matera o un viaggio a Venezia, spesso citati nelle biografie, mancano di solide conferme documentali. È invece certa la sua nomina a maestro di cappella nella Basilica di S. Nicola a Bari, attestata il 16 dicembre 1743, dove venne definito «professore di molta perizia e di ottima indole». Per dimostrare tale perizia compose l’oratorio Giuseppe riconosciuto su libretto di Metastasio. Di altri due oratori attribuitigli, Il sacrificio d’Isacco e Atalia, non è rimasta traccia.

La svolta di Parma: l’incontro con Goldoni e l’abbraccio della Francia
Nel 1746 fu rappresentato a Napoli il Catone in Utica (già eseguito a Firenze). Il successo ottenuto a Genova nel 1748 con Ipermestra e Ciro riconosciuto attirò probabilmente l’attenzione della corte di Parma. Infatti, nel 1749 Duni entrò al servizio di Filippo di Borbone, duca di Parma, con il titolo di maestro di cappella di corte e maestro di musica della figlia del duca, Isabella. A Parma compose ancora l’opera seria Olimpiade (1755). Tuttavia, l’atmosfera filo-francese e innovatrice della corte, influenzata da figure come G. L. du Tillot, e soprattutto l’incontro con Carlo Goldoni nel 1756, segnarono una svolta decisiva, orientando Duni verso il teatro francese. Rimane incerto se abbia musicato testi di Favart come La chercheuse d’esprit, sebbene esista un libretto italiano (La semplice curiosa, Firenze 1751) basato su quest’ultima.

La conquista di Parigi: nascita e trionfo dell’opéra-comique
Nel 1756, Duni musicò La buona figliola, il primo dei tre libretti per opera buffa commissionati a Goldoni dalla corte di Parma. L’opera, pur avendo successo, fu «più fortunata nelle mani del Piccinni», secondo lo stesso Goldoni. Incoraggiato, Duni mirò a Parigi. Su richiesta della corte di Parma, Jean Monnet, direttore dell’Opéra-Comique, fornì un libretto francese, dando vita a Le peintre amoureux de son modèle (1757) su testo di Louis Anseaume. L’opera ottenne un successo brillante e duraturo. Duni antepose alla partitura un avertissement in cui, confutando le tesi di Rousseau sulla presunta inadeguatezza della lingua francese alla musica, rendeva omaggio all’idioma transalpino. Questa posizione filo-francese valse a Duni l’inimicizia di Rousseau ma l’amicizia e l’apprezzamento di Diderot.

Apice parigino, successi e prime critiche. L’ultima fase creativa, il ritiro e la scomparsa
Forte del successo, Duni lasciò Parma (ottenendo un vitalizio) e si stabilì a Parigi, dove sposò l’attrice Catherine-Elisabeth Superville, da cui ebbe il figlio Jean-Pierre nel 1759. La sua fama crebbe con opere come L’isle des foux (1760, da Goldoni), in cui perfezionò la fusione tra elementi italiani e francesi, sviluppando uno stile descrittivo e pittoresco. Nel 1761 divenne direttore musicale della Comédie-Italienne. Nonostante successi come La fée Urgèle (1765) e La clochette (1766), gli ultimi anni di attività (fino al ritiro nel 1770) furono segnati da fallimenti (La plaideuse, La nouvelle Italie, entrambe 1762) e tensioni con critici e librettisti. Già nel 1761 Grimm giudicava il suo stile «un po’ sorpassato» e le idee «mancanti».
Un presunto viaggio in Italia tra il 1766 e il 1768 non sembra aver rinvigorito la sua vena creativa. Nonostante il buon successo di Les moissoneurs e Les sabots (1768), Grimm ribadì che Duni avrebbe fatto meglio a ritirarsi, cosa che avvenne nel 1770 dopo l’ultima opera, Thémire. Ottenuta una pensione dalla Comédie-Italienne, continuò a dare lezioni fino alla morte, sopraggiunta a Parigi l’11 giugno 1775.

L’eredità di Duni: innovatore dell’opéra-comique tra melodia italiana e gusto francese
Delle opere italiane di Duni non ci sono pervenute partiture complete, ma gli stralci esistenti rivelano un compositore aderente agli schemi del suo tempo, dotato di ricca inventiva melodica. La sua fama è però indissolubilmente legata alle opere francesi e al suo ruolo cruciale nella creazione dell’opéra-comique. In questo genere, caratterizzato dall’alternanza di parti cantate e parlate, i librettisti come Favart, Anseaume e Sedaine ebbero un’importanza fondamentale nel plasmare uno spettacolo che unisse la naturalezza italiana alla sensibilità francese. Duni seppe assecondare questa evoluzione, adattando brillantemente lo stile dell’opera buffa italiana alle esigenze della declamazione francese e alle aspettative del pubblico. Il suo stile si caratterizzò per un’inventiva melodica autentica ma di breve respiro, una duttilità ritmica e un gusto per il descrittivo (L’isle des foux). Se L’école de la jeunesse (1765) è un tentativo di perseguire una maggiore drammaticità, le opere successive rappresentarono un ritorno a stilemi precedenti. Fu criticato per la debolezza dell’orchestrazione e la scarsa originalità armonica, un attaccamento alla convenzione che, secondo K. M. Smith, lo portò a rifiutare di adattare l’Orfeo di Gluck per Parigi. Il suo declino coincise con quello del gusto pastorale e sentimentale dell’opéra-comique, soppiantato dai nuovi fermenti preromantici portati avanti da successori come Monsigny, Philidor e Grétry.

Les deux Chasseurs et la Laitière: analisi dell’Ouverture
Il brano ci introduce immediatamente nel mondo vivace e leggero dell’opéra-comique settecentesca, svolgendo perfettamente il ruolo di preludio teatrale, stabilendo l’atmosfera e anticipando, con i suoi contrasti, la natura della commedia che seguirà. Essa si articola in un unico movimento, ma presenta al suo interno diverse sezioni ben distinte per carattere, tempo e strumentazione, seguendo uno schema tipico delle ouverture italiane e francesi del periodo.
Si apre con una fanfara introduttiva di carattere maestoso e celebrativo. Le prime battute sono dominate dagli archi che eseguono arpeggi ascendenti e accordi pieni. A questi si uniscono subito i fiati che conferiscono al passo un tono carattere marziale. L’armonia è solida, basata su accordi di tonica e dominante, con un effetto di grandezza. Questa introduzione serve a catturare l’attenzione del pubblico e a evocare l’elemento della "caccia" presente nel titolo.
Senza soluzione di continuità, l’atmosfera cambia radicalmente e il tempo accelera in un Allegro brillante e vivace. Gli archi (principalmente i violini) introducono il primo tema, una melodia leggera, saltellante e giocosa, caratterizzata da agili figurazioni scalari e arpeggiate. La melodia è orecchiabile e tipicamente galante. I fiati intervengono raddoppiando o contrappuntando la melodia degli archi, aggiungendo colore e pienezza, mentre il basso continuo fornisce un solido supporto armonico e ritmico. L’armonia rimane prevalentemente diatonica, con chiare progressioni che confermano la tonalità d’impianto. La scrittura è trasparente, con una tessitura prevalentemente omofonica ma animata da un costante movimento.
Successivamente, la musica entra in una fase di transizione e breve sviluppo. C’è un’idea leggermente più cantabile e meno virtuosistica che porta a una sezione con passaggi più scalari e brillanti negli archi, quasi un breve ponte modulante verso la dominante o tonalità vicine. L’interazione tra archi e fiati si fa più serrata e si nota un uso di dinamiche contrastanti, con passaggi più sonori alternati a momenti più delicati. La sezione si conclude con una cadenza più marcata che sembra chiudere questa prima grande parte dell’Allegro, utilizzando materiale che richiama per enfasi la fanfara iniziale, ma in tempo allegro.
Emerge ora una nuova sezione tematica, più lirica e cantabile; il carattere è più dolce e pastorale. I fiati, in particolare gli oboi, assumono un ruolo melodico preminente con gli archi che forniscono un accompagnamento più discreto, spesso in note tenute o con figurazioni leggere. Questa melodia è più distesa e meno virtuosistica della precedente, con un andamento più aggraziato e sentimentale, rappresentando un riferimento all’elemento amoroso o idilliaco della trama. L’armonia si arricchisce di sfumature più delicate, pur rimanendo all’interno del linguaggio tonale
dell’epoca.
Si assiste a una ripresa del materiale della fanfara iniziale, anche se in forma più concisa e integrata nel flusso dell’Allegro. Questo crea un forte effetto di ritorno e di simmetria formale. Questa ricomparsa della fanfara funge da ponte verso la ripresa del primo tema dell’Allegro che appare qui in una veste leggermente variata o abbreviata. Successivamente, la musica entra nella sua fase conclusiva. Non si tratta di una ripresa letterale, ma piuttosto di un ulteriore sviluppo e variazione del materiale tematico precedentemente esposto, in particolare quello più brillante e ritmico dell’Allegro. C’è un vivace dialogo tra le sezioni orchestrali, con rapidi scambi di motivi e un crescendo di energia. La scrittura degli archi si fa particolarmente brillante. Segue la coda, alla quale partecipa l’orchestra al completo, conferendo a questa parte un carattere trionfale e affermativo. Le armonie diventano più cadenzali e assertive, consolidando la tonalità d’impianto (re maggiore). L’ouvertue si conclude con una serie di accordi forti e decisi, lasciando un’impressione di allegria ed energia, preparando perfettamente l’ingresso in scena.
Lo stile è pienamente galante, caratterizzato da melodie chiare e cantabili, armonie diatoniche funzionali, ritmi vivaci e una scrittura orchestrale elegante e trasparente. C’è un senso di immediatezza e piacevolezza tipico dell’opéra-comique, che mirava a divertire un pubblico ampio. L’ouverture riesce a condensare in pochi minuti gli elementi chiave che si potrebbero trovare nell’opera: l’energia e la nobiltà della caccia (fanfara), la leggerezza e la comicità (primo tema allegro) e il sentimentalismo pastorale (secondo tema lirico). È un eccellente esempio di come la musica strumentale potesse già all’epoca preparare il terreno emotivo e tematico per l’azione scenica.
Nel complesso, l’ouverture è un brano ben costruito e ricco di inventiva melodica. Duni dimostra una grande padronanza della forma e dell’orchestrazione, creando un lavoro che non solo introduce efficacemente l’opera, ma è anche godibile come brano strumentale autonomo, rappresentativo del gusto musicale europeo della metà del XVIII secolo.

Popolare Kabalevskij

Dmitrij Kabalevskij (30 dicembre 1904 - 1987): Suite dall’opera in 3 atti Colas Breugnon op. 24 (1938), composta su libretto tratto dall’omonimo romanzo di Romain Rolland. Orchestra filarmonica armena, dir. Loris Čknavorjan.

  1. Ouverture
  2. Festa popolare [4:52]
  3. Calamità popolare (La peste) [11:17]
  4. Insurrezione popolare [17:08]

Big Brother Productions

Lorin Maazel (1930 - 13 luglio 2014): Ouverture per l’opera 1984 (2005). Coro e orchestra del Royal Opera House diretti dall’autore.
1984 di Maazel è un’opera in due atti il cui libretto (di J.D. McClatchy e Thomas Meehan) prende spunto dall’omonimo romanzo di George Orwell; fu rappresentata per la prima volta a Londra, Royal Opera House, il 3 maggio 2005.

LM

Elogio della Follia – II

Arcangelo Corelli (1653 - 1713): Sonata per violino e basso in re minore op. 5 n. 12, La Follia (1700). Fabio Paggioro, violino; Massimiliano Ferrati, pianoforte.


Marin Marais (1656 - 1728): Couplets de folies per viola da gamba e basso (1701). La Spagna: Alejandro Marías, viola da gamba solista; Pablo Garrido, viola da gamba per il basso continuo; Juan Carlos de Mulder, tiorba; Ramiro Morales, chitarra barocca; Jorge López-Escribano, clavicembalo.


Reinhard Keiser (9 gennaio 1674 - 1739): Ouverture per il Singspiel Der lächerliche Prinz Jodelet (1726). Das Lausitzer Barockensemble.


E ora, una lectio magistralis di Francesco Di Fortunato:


Jubel-Ouvertüre: Dio salvi il re

Carl Maria von Weber (18 novembre 1786 - 1826): Jubel-Ouvertüre per orchestra op. 59 (1818). Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks, dir. Rafael Kubelík.

Composta fra il 2 e l’11 settembre 1818, la Jubel-Ouvertüre fu eseguita il 20 dello stesso mese al Teatro dell’Opera di Dresda nell’ambito di un concerto organizzato per cele­brare il cinquantesimo anniversario dell’insediamento di Federico Augusto di Sassonia. La parte conclusiva dell’ouverture [7:01] consiste in una elaborata orchestrazione di God Save the King — o, meglio, di Heil dir im Siegerkranz, uno dei numerosi inni cui, nel corso dei secoli, il loyal song britannico ha prestato la propria melodia.

Una passeggiata a Vienna

Franz von Suppé (1819 - 1895): Dichter und Bauer, ouverture (1846). Wiener Staatsopern­orchester, dir. Hans Swarowsky.


Josef Strauß (1827 - 1870): Transactionen, valzer op. 184 (1865). Wiener Philharmoniker, dir. Christian Thielemann.

Ci sono melodie che viaggiano nel tempo e nello spazio.
Certo, direte voi: oggi, con i mezzi di comunicazione di cui disponiamo oggi, viaggi di questo genere si compiono in men che non si dica e con estrema facilità. Ma, nei « viaggi » cui mi riferisco, partenza e arrivo hanno luogo all’interno di composizioni musicali di autori diversi, a volte diversissimi fra loro, vissuti in Paesi diversi e in differenti epoche.

La trasmigrazione che vi propongo oggi è assai breve, anche se per portarla a termine ci sono voluti 19 anni: in effetti, più che di un viaggio si tratta di una bella passeggiata attraverso la città di Vienna. Nel corso di questa passeggiata, una melodia nervosa, sincopata, in ritmo binario (nell’ouverture di Suppé al minuto 4:58) trova il modo di trasformarsi in un languido e appassionato tema di valzer (nella composizione di Josef Strauß a 1:20).

Se questa sorta di viaggi suscita il vostro interesse, cercate la rubrica melodie itineranti nel presente blog. Signori, in carrozza!


Dall’Aragona alla Boemia

Michail Ivanovič Glinka (1804 - 1857): Capriccio brillante sopra la «jota aragonesa», ouverture spagnola n. 1 (1845). Orchestra Sinfonica di Stato dell’URSS, dir. Evgenij Fëdorovič Svetlanov (registrazione del 1969).


Franz Liszt (1811 - 1886): Rhapsodie espagnole S.254 (1858). Stephen Hough, pianoforte.


Ferruccio Busoni (1866 - 1924): trascrizione per pianoforte e orchestra della Rhapsodie espagnole di Liszt (1893). Joshua Pierce, pianoforte; Orchestra Filarmonica di Stato di Mosca, dir. Paul Freeman.


Fate attenzione al tema che si presenta al minuto 2:52 nella composizione di Glinka, all’8:14 in quella di Liszt e all’8:40 della trascrizione di Busoni.

In un testo del 1910 [1], così Busoni descrive la composizione di Liszt:

Questa Rapsodia spagnola consta di due parti che portano un nome (Folie d’EspagneJota aragonesa), cui fanno seguito un terzo tempo senza titolo e un finale.
Prima di tutto troviamo una cadenza a mo’ di preludio e delle variazioni su un tema lento di danza, tema che, a quanto pare, è di Corelli (…). Questa prima parte è in do diesis minore. La seconda parte, in re maggiore, presenta pure delle variazioni, questa volta su una vivace danzetta di otto battute, in ritmo di 3/8. (Anche Glinka l’ha usata in un pezzo per orchestra.)
Una nuova cadenza, che anticipa il tema, porta al terzo tempo, che è costruito sul tema che segue:
jota-posthorn(Incontriamo questo tema nella Terza Sinfonia di Mahler – come vi è arrivato?)

Buona domanda: come vi è arrivato? La melodia dovette compiere un lungo viaggio, dalla valle dell’Ebro alle foreste di Boemia, forse a bordo di una diligenza, insieme con un postiglione che, giunto al termine del percorso, la suonò con la sua cornetta per far danzare gli animali del bosco. I quali poi raccontarono ogni cosa a Gustav Mahler…


[1] Inserito nel programma di sala di un concerto diretto da Arthur Nikisch; ora, con il titolo Valore della trascrizione, in F. Busoni, Scritti e pensieri sulla musica, a cura di Luigi Dallapiccola e Guido Maggiorino Gatti, Milano, Ricordi 1954, pp. 27-30.

Il «Mahler africano»

Samuel Coleridge-Taylor (15 agosto 1875 - 1912): Ouverture per The Song of Hiawatha, trilogia corale op. 30 (1901) su testi di Henry Wadsworth Longfellow. RTÉ Concert Orchestra, dir. Adrian Leaper.

Agli interessati YouTube offre la possibilità di ascoltare l’intera trilogia. Nato a Holborn, Londra, da padre creolo originario della Sierra Leone e madre inglese, Samuel Coleridge-Taylor fu così chiamato in onore del poeta Samuel Taylor Coleridge. Affermatosi quale compositore e direttore d’orchestra, nei primi anni del ‘900 si recò in tournée negli Stati Uniti, ottenendo un grandissimo successo; l’appellativo di «Mahler africano» gli fu assegnato dai membri (bianchi) di un’orchestra newyorkese da lui diretta nel 1910. Morì a 37 anni di polmonite.

Shakespeariana – XXXIV

Mendelssohn’s Dream

Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847): Ein Sommernachtstraum, ouverture op. 21 (1826) and incidental music op. 61 (1842) for William Shakespeare’s play A Midsummer Night’s Dream. Edith Mathis and Ursula Boese, sopranos; Chor des Bayerischen Rundfunks and Symphonieorchester des Bayerischen Rund­funks conducted by Rafael Kubelík.

(In published scores, Overture and Finale are usually not numbered.)
     Ouvertüre: Allegro vivace

  1. Scherzo: Allegro molto vivace [11:48]
  2. L’istesso tempo [16:33]
  3. Bunte Schlangen (Lied mit Chor): Allegro non troppo [17:49]

    ERSTER ELFE

    Bunte Schlangen, zweigezüngt!
    Igel, Molche, fort von hier!
    Dass ihr euren Gift nicht bringt
    In der Königin Revier!
    Fort von hier!

    ERSTER ELFE, ZWEITER ELFE UND CHOR

    Nachtigall, mit Melodei
    Sing in unser Eya popey!
    Eya popey! Eya popey!
    Dass kein Spruch,
    Kein Zauberfluch,
    Der holden Herrin schädlich sei.
    Nun gute Nacht mit Eya popey!

    ZWEITER ELFE

    Schwarze Käfer,
    Uns umgebt nicht mit Summen,
    Macht euch fort!
    Spinnen die ihr künstlich webt,
    Webt an einem andern Ort!

    ERSTER ELFE

    Alles gut! Nun auf und fort!
    Einer halte Wache dort!

  4. Intermezzo: Allegro appassionato [21:03]
  5. Notturno: Con moto tranquillo [24:26]
  6. Hochzeitmarsch (Wedding March): Allegro vivace [30:02]
  7. Marcia funebre (Funeral March): Allegro commodo [34:45]
  8. Ein Tanz von Rüpeln (A dance of clowns): Allegro molto [35:37]

    Finale mit Chor: Allegro vivace [37:15]

    CHOR DER ELFEN

    Bei des Feuers mattem Flimmern,
    Geister, Elfen, stellt euch ein!
    Tanzet in den bunten Zimmern
    Manchen leichten Ringelreihn!
    Singt nach seiner Lieder Weise!
    Singet! hüpfet lose, leise!

    ERSTER ELFE (Solo)

    Wirbelt mir mit zarter Kunst
    Eine Not auf jedes Wort,
    Hand in Hand, mit Feeengunst,
    Singt und segnet diesen Ort!

    CHOR DER ELFEN

    Bei des Feuers mattem Flimmern,
    Geister, Elfen, stellt euch ein!
    Tanzet in den bunten Zimmern
    Manchen leichten Ringelreihn!
    Singt nach seiner Lieder Weise!
    Singet! hüpfet lose, leise!
    Nun genung,
    Fort im Sprung,
    Trefft ihn in der Dämmerung!

Unsuk Chin

Unsuk Chin (14 luglio 1961): Allegro ma non troppo per percussionista e nastro magnetico (1994-98). Solista Ying-Hsueh Chen.


Unsuk Chin: Toccata (Studio per pianoforte n. 5, 2003). Mei Yi Foo, pianoforte.


Unsuk Chin: Mad Tea-Party Ouverture dall’opera Alice in Wonderland (libretto di David Henry Hwang, da Lewis Carroll; 2007). Orchestra Filarmonica di Seul, dir. Myung-Whun Chung.

Shakespeariana – XX

Symphonic Hamlet

Franz Liszt (1811 - 1886): Hamlet, symphonic poem no. 10 (1858). London Philharmonic Orchestra; conductor: Bernard Haitink.


Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840 - 1893): Hamlet, ouverture op. 67a (1889). London Symphony Orchestra; conductor: Valerij Gergiev.


Heinz Tiessen (1887 - 1971): Hamlet-Suite op.30 (1922). Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin; conductor: Israel Yinon.

  1. Vorspiel
  2. Ophelias Tod [7:12]
  3. Totenmarsch [11:34]

Delacroix, Hamlet Eugène Delacroix: Hamlet et Horatio au cimetière (1839), Paris, Louvre

Ouvertures spagnole

Michail Ivanovič Glinka (1° giugno 1804 - 1857): Capriccio brillante sopra la «jota aragonesa», ouverture spagnola n. 1 (1845). Orchestra Sinfonica di Stato dell’URSS, dir. Evgenij Svetlanov.


Glinka: Souvenir d’une nuit d’été à Madrid, ouverture spagnola n. 2 (1851). Stessi interpreti.

Shakespeariana – V

In Windsor

Otto Nicolai (1810 - 1849): Ouverture per Die lustigen Weiber von Windsor, Singspiel in 3 atti (1849) su libretto di Hermann Salomon Mosenthal desunto dalla commedia The Merry Wives of Windsor di William Shakespeare. Wiener Philharmoniker, dir. Carlos Kleiber.