Concerto triplo – III

Donald Martino (1931 - 8 dicembre 2005): Con­cer­to per clarinetto, clarinetto basso, clarinetto contrabbasso e piccola orchestra (1977). Anand Devendra, clarinetto; Dennis Smylie, clarinetto basso; Leslie Thimming, clarinetto contrabbasso; The Group for Contemporary Music, dir. Harvey Sollberger.

  1. Tempo libero
  2. Larghetto [13:06]
  3. Agitato [20:43]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Pulitzer e dodecafonia: la storia del compositore Donald Martino

Vita e formazione
Donald James Martino è stato un compositore americano, vincitore del Premio Pulitzer. Originario di Plainfield, New Jersey, iniziò la sua carriera come clarinettista, dedicandosi al jazz sia per diletto che professionalmente. I suoi studi di composizione iniziarono alla Syracuse University con Ernst Bacon e proseguirono alla Princeton University, dove lavorò con i compositori Roger Sessions e Milton Babbitt. Martino completò la sua formazione studiando con Luigi Dallapiccola in Italia come borsista Fulbright.

Carriera accademica e riconoscimenti
Martino fu anche un influente docente, insegnando in prestigiose istituzioni come la Yale University, la Brandeis University, la Harvard University e il New England Conservatory of Music, dove ricoprì il ruolo di capo del dipartimento di composizione. Il culmine della sua carriera arrivò nel 1974, quando vinse il Premio Pulitzer per la musica grazie alla sua opera da camera intitolata Notturno.

Stile musicale e opere notevoli
La maggior parte della produzione matura di Martino, inclusi pezzi con elementi pseudo-tonali, fu composta utilizzando il metodo dodecafonico. Nonostante avesse studiato con Babbitt, il suo stile sonoro era più vicino al lirismo espressivo del suo maestro italiano, Dallapiccola.
Tra le sue composizioni più famose e difficili c’è la sonata Pianississimo, commissionata dal pianista Easley Blackwood con l’esplicita richiesta di renderla una delle pagine più ardue mai scritte. Sebbene l’opera sia di difficoltà “epica” (ed è stata registrata più volte), Blackwood si rifiutò di eseguirla.
Martino espresse anche la sua ammirazione per il suo mentore, Milton Babbitt, dedicandogli due omaggi musicali in occasione dei suoi compleanni: B,a,b,b,i,t,t e il Concerto triplo.

Eredità
Nel 1991, la rivista «Perspectives of New Music» dedicò un ampio tributo di 292 pagine a Martino; in suo onore, il New England Conservatory organizzò un concerto commemorativo nel 2007, la cui registrazione fu successivamente pubblicata nel 2009.

Il Concerto triplo
Si tratta di una composizione che, pur muovendosi nel solco della tradizione dodecafonica, ne esplora i confini con un virtuosismo strumentale e una ricchezza timbrica eccezionali. L’opera è strutturata in tre movimenti distinti che mettono in risalto l’interazione unica tra i tre clarinetti solisti e l’orchestra da camera.
Il primo movimento, Tempo libero, si apre con una brusca, quasi violenta, esplosione del pieno organico, subito seguita dall’entrata del clarinetto contrabbasso. Questo attacco stabilisce immediatamente il clima di tensione e l’elemento ritmico e percussivo che caratterizzeranno il movimento.
I tre clarinetti solisti (clarinetto soprano, clarinetto basso, clarinetto contrabbasso) esordiscono con un materiale melodico e ritmico estremamente frammentato e serrato. La natura non tonale della musica, gestita con la tecnica dodecafonica, si manifesta in rapidi scambi di note puntiformi, micro-intervalli e ampi salti, sfruttando l’intera gamma dinamica e timbrica di ciascuno strumento. In particolare, il clarinetto contrabbasso viene impiegato per esplorare le regioni più gravi e scure dell’organico, creando una base timbrica complessa.
La sezione centrale del movimento è dominata da una continua ricerca di interazione virtuosistica tra i tre solisti e l’orchestra. Si susseguono momenti di grande tensione, dove le linee melodiche dei clarinetti si intrecciano in un dialogo frenetico, spesso interrotto da risposte secche e percussive del resto dell’ensemble. L’atmosfera è tesa, a tratti giocosa, ma sempre altamente tecnica e frammentata. Verso la conclusione del movimento, la densità strumentale si riduce, ma solo per un breve respiro, prima di riprendere con un’ulteriore accelerazione e un climax ritmico che porta a un brusco arresto.
Il secondo movimento, Larghetto, offre un netto contrasto, agendo da momento di intensa introspezione e lirismo, seppur all’interno di un linguaggio moderno.
L’inizio è affidato principalmente al clarinetto basso e all’orchestra in una tessitura più rarefatta e cameristica. Il carattere della musica è malinconico, meditativo e si concentra sull’esplorazione di dinamiche sommesse e colori più tenui. Il solismo in questo movimento è meno aggressivo e più orientato all’espressione della linea melodica. La parte centrale è scandita da interventi lirici, quasi lamentosi, affidati in particolare al clarinetto soprano, che emerge dalla trama orchestrale con un tono quasi elegiaco, evidenziando il lato espressivo e cantabile dello strumento, che fu in origine la prima vocazione di Martino.
L’interazione tra i solisti si sviluppa qui attraverso passaggi di linee diatonico-cromatiche distese, con un’esposizione più chiara del materiale seriale, che in questo contesto acquisisce una qualità di “pseudo-tonalità” tipica di alcune opere di Martino influenzate da Dallapiccola. Nonostante la complessità armonica, il movimento mantiene un senso di sospensione emotiva e una raffinata chiarezza timbrica, culminando in un delicato dissolvimento sonoro che prepara l’ascoltatore per il movimento finale.
Il finale, Agitato, riporta l’ascoltatore a un dinamismo e a una tensione ritmica estremi, riprendendo il clima virtuosistico e frammentato del primo movimento.
L’attacco è immediato e perentorio, con i clarinetti che si lanciano in un turbine di figure ritmiche serrate e veloci, spesso caratterizzate da rapidi staccati e un uso incisivo della percussione. La sfida tecnica dei solisti è qui al suo apice, con passaggi rapidissimi e tecnicamente impegnativi che si rincorrono e si stratificano. Il clarinetto contrabbasso, in particolare, riafferma il suo ruolo di “macchina ritmica” con interventi di grande peso sonoro.
Il movimento è un mosaico di frasi brevi e nervose, interrotte da silenzi e riprese esplosive. L’agitazione che dà il titolo al movimento non è solo di natura espressiva, ma si riflette nella scrittura implacabile e nella continua richiesta di virtuosismo a tutti gli esecutori. Il finale è segnato da una progressione di intensità, dove tutti gli elementi orchestrali e solistici convergono in un’ultima, densa e complessa affermazione del materiale tematico, concludendosi con un ultimo e definitivo scatto dinamico e ritmico che sigilla l’intera opera in un gesto di forza e chiarezza strutturale.

Petite Symphonie

Charles Gounod (1818 - 18 ottobre 1893): Petite Symphonie per flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni e 2 fagotti (1885). The Saint Paul Chamber Orchestra, dir. Christopher Hogwood.

  1. Adagio – Allegretto
  2. Andante cantabile
  3. Scherzo: Allegro moderato
  4. Finale: Allegretto


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Charles Gounod: il maestro dalle molte anime, tra melodia sacra e trionfi lirici

Charles-François Gounod, figura eminente della musica francese del XIX secolo, ha lasciato un’impronta indelebile con un’opera vasta e variegata, che spazia dal sacro al profano, dall’opera al coro. La sua vita fu un percorso intenso di formazione, esplorazione spirituale e successi clamorosi, non senza aspre critiche.

Le origini e la formazione musicale (1818-42)
Nato a Parigi, fu il secondogenito del pittore François-Louis Gounod e di Victoire Lemachois. Rimasto orfano di padre all’età di cinque anni, fu la madre, insegnante di pianoforte, a impartirgli le prime lezioni, rivelando precocemente il suo talento. Dopo gli studi al Lycée Saint-Louis, Gounod si immerse nello studio musicale, perfezionando l’armonia con Antoine Reicha e poi, al Conservatorio di Parigi, con Jacques Fromental Halévy, e la composizione con Jean-François Lesueur. Il suo talento fu presto riconosciuto: nel 1839 vinse il prestigioso Grand Prix de Rome con la cantata Fernand. Il soggiorno a Villa Medici gli permise di approfondire la musica religiosa, in particolare quella di Palestrina. Nel 1842, a Vienna, ebbe l’opportunità di assistere a una rappresentazione del Flauto magico di Mozart, esperienza che lo segnò profondamente, e di far eseguire la sua seconda messa con orchestra.

Tra vocazione sacerdotale e debutto compositivo (1843-1860)
Tornato a Parigi nel 1843, Gounod assunse il ruolo di organista e maestro di cappella presso la Chiesa delle Missioni estere. Questo periodo fu caratterizzato da una profonda riflessione spirituale: nel 1847 ottenne il permesso di indossare l’abito ecclesiastico, frequentò corsi di teologia a Saint-Sulpice e ascoltò i sermoni di Lacordaire. Tuttavia, le giornate rivoluzionarie del 1848 lo portarono a rinunciare alla vocazione sacerdotale e a lasciare l’incarico. L’anno successivo, grazie all’appoggio della celebre Pauline Viardot, Gounod ottenne il libretto di Sapho da Émile Augier, la sua prima opera, che debuttò all’Opéra il 16 aprile 1851, senza riscuotere un grande successo. Nel 1852 sposò Anna Zimmerman. Parallelamente, presiedette gli Orphéons della Città di Parigi dal 1852 al 1860, componendo numerosi cori come Le Vin des Gaulois. Nel 1860, la sua dedizione alla musica sacra lo portò a partecipare al Congresso per la restaurazione del canto gregoriano.

L’apice dell’opera e le sfide della critica (1858-67)
Gli anni ’50 e ’60 segnarono l’apice della sua carriera operistica. Nel 1858, in occasione dell’anniversario della nascita di Molière, fu rappresentato con successo l’opéra-comique Le Médecin malgré lui, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, con cui avrebbe spesso collaborato. Ma fu il 1859 a consacrarlo: la sua opera Faust, basata sull’opera di Goethe, debuttò al Théâtre-Lyrique riscuotendo un successo clamoroso, con 70 repliche solo nel primo anno. Seguirono nel 1860 gli opéra-comiques Philémon et Baucis e La Colombe. Nonostante il trionfo di Faust, Gounod affrontò anche critiche feroci. La Reine de Saba, creata nel 1862, si fermò dopo sole quindici rappresentazioni e fu stroncata da Paul Scudo, critico della “Revue des deux Mondes”, che lo accusò di emulare i «cattivi musicisti della Germania moderna» come Liszt e Wagner, avvertendolo di essere «irrimediabilmente perduto» se avesse persistito. Nel marzo 1863, Gounod incontrò Frédéric Mistral, dal cui poema Mirèio (Mireille) avrebbe tratto un libretto. Si trasferì a Saint-Rémy-de-Provence, dove la musica si impregnò dell’atmosfera del Midi, un periodo di pace e ispirazione. L’opera Mireille fu creata a Parigi nel marzo 1864, ottenendo però un successo solo moderato. Il riscatto arrivò nel 1867, quando Roméo et Juliette, durante l’Esposizione universale, fu accolta con un successo entusiastico.

Gli anni britannici, il ritorno e il crepuscolo sacro (1870-93)
Nel 1870, fuggendo l’invasione tedesca della Francia, Gounod si trasferì in Inghilterra, dove instaurò una liaison di quattro anni con la cantante Georgina Weldon. Durante questo periodo, vide l’insuccesso di Les deux Reines de France (1872) e il successo patriottico di Jeanne d’Arc, un dramma storico che ravvivò lo spirito nazionale francese. Nel 1874 Gounod lasciò la Gran Bretagna e tornò in Francia, dove si stabilì a Parigi nel 1878 e vi rimase fino alla morte. Nella parte finale della sua vita, Gounod si dedicò prevalentemente alla musica religiosa, componendo un gran numero di messe e due oratori maggiori: La Rédemption (1882) e Mors et vita (1885). Morì il 18 ottobre 1893 a Saint-Cloud, appena dopo aver completato il Requiem in do maggiore, considerato il suo canto del cigno. I funerali, dieci giorni dopo, furono nazionali e si tennero nell’imponente Chiesa della Madeleine, con l’intervento di figure come Camille Saint-Saëns e Théodore Dubois all’organo, e Gabriel Fauré alla direzione della maîtrise che, secondo il desiderio di Gounod, eseguì la Messa gregoriana dei defunti.

L’impronta musicale: un catalogo vario e persistente
Gounod ha lasciato un patrimonio di circa 500 opere musicali, la cui influenza si estende ancora oggi. È celebre soprattutto per le sue opere liriche: Faust, la sua opera più iconica, con il grandioso valzer che conclude il I atto e con arie celebri come «Le Veau d’or» di Mefistofele, l’“aria dei gioielli di Marguerite” «Ah! je ris», il coro dei soldati «Gloire immortelle de nos aïeux», la musica di balletto della Notte di Valpurga e il coro finale degli angeli «Sauvée, Christ est ressuscité»; Roméo et Juliette: un altro grande successo, con la celebre valse di Giulietta «Je veux vivre» e l’aria del tenore «Ah! lève-toi, soleil!»; Mireille: basata sul poema provenzale di Frédéric Mistral; Cinq-Mars: un’opera storica, rielaborata più volte, che presenta arie come «Nuit resplendissante» e «Ô chère et vivante image».
Il catlogo delle opere di Gounod include anche altri lavori significativi: due sinfonie (1855) e una Petite Symphonie per nove strumenti a fiato (1885); cinque quartetti per archi; la celebre Ave Maria, basata sul primo preludio del Clavicembalo ben temperato di Bach (originariamente non destinato all’esecuzione liturgica), e il Requiem in do maggiore; composizioni strumentali quali la Marche funèbre d’une marionnette (1872), che divenne famosa globalmente come sigla del programma televisivo Alfred Hitchcock presenta, e la Marche pontificale (1869) che fu adottata nel 1949 come inno nazionale del Vaticano; e numerose e delicate mélodies, su testi di poeti quali Alfred de Musset, Alphonse de Lamartine, Théophile Gautier e Jean Racine, oltre a testi di sua stessa mano.

La Petite Symphonie
Dedicata alla Société de musique de chambre pour instruments à vent fondata da Paul Taffanel nel 1879, rappresenta un magnifico esempio della capacità del compositore francese di coniugare l’eleganza classica con la ricchezza melodica romantica, creando un’opera che è al contempo intima e virtuosistica. L’opera, eseguita per la prima volta il 30 aprile 1885 alla Salle Pleyel con Taffanel stesso al flauto, e pubblicata solo diciannove anni dopo, è una celebrazione delle sonorità e delle capacità espressive degli strumenti a fiato, offrendo un dialogo continuo e brillante tra le diverse voci.
La scelta di una formazione così specifica – flauto, due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti – permette a Gounod di esplorare una tavolozza timbrica ricca ma trasparente. L’attributo petite del titolo non si riferisce a una mancanza di sostanza musicale, ma piuttosto alla natura cameristica e all’eleganza leggera che pervade l’intera opera, lontana dalle massicce sonorità orchestrali di una sinfonia tradizionale.

Il primo movimento si apre con un Adagio, dove i due corni introducono un’atmosfera solenne e avvolgente con accordi sostenuti e caldi. Seguono le altre sezioni di fiati, aggiungendo strati armonici che costruiscono una breve ma intensa introduzione. Le dinamiche sono contenute, suggerendo un tono riflessivo e quasi contemplativo, che evoca l’aspetto più sacro della produzione di Gounod. L’espressività è palpabile, anche nella brevità di questa sezione.
Senza soluzione di continuità, il movimento si anima bruscamente con l’Allegretto. Il flauto emerge con una melodia agile, brillante e gioiosa, caratterizzata da rapide figurazioni e un piglio vivace. Subito dopo, gli oboi riprendono ed elaborano il tema, creando un dialogo serrato e spensierato. I clarinetti e i fagotti forniscono un accompagnamento ritmico e armonico dinamico, spesso con arpeggi gorgoglianti o passaggi saltellanti che aggiungono leggerezza. Il movimento è un vero e proprio tour de force di scrittura per fiati, con passaggi virtuosistici che si alternano a momenti di maggiore lirismo, ma sempre mantenendo un’energia contagiosa. L’interazione tra gli strumenti è costante: il tema passa agilmente da un flauto brillante a oboi cantabili, clarinetti arguti e fagotti giocosi. Le sezioni tutti sono incisive e dinamiche, contrastando con le tessiture più trasparenti dei passaggi solistici. Il movimento procede con una chiara forma sonata, con una ripresa espositiva evidente e uno sviluppo che esplora frammenti tematici e armonie più audaci, prima di tornare alla ricapitolazione che porta a una coda effervescente.
Il secondo movimento offre un netto contrasto, immergendosi in un’atmosfera di profonda liricità e dolcezza. Il carattere cantabile è immediatamente percepibile, con una melodia espressiva e distesa. In questa esecuzione, si nota chiaramente come gli oboi prendano il comando della melodia principale, con il flauto che spesso si unisce o raddoppia, aggiungendo brillantezza. I corni forniscono una base armonica stabile e calda, mentre clarinetti e fagotti tessono controcanti fluidi o un delicato accompagnamento. La musica si sviluppa con grazia, alternando momenti di melodia sostenuta a brevi fioriture che adornano le frasi. Le dinamiche sono attentamente calibrate, con crescendi e diminuendi che esaltano l’espressività intrinseca del movimento. Il movimento si conclude con una riproposizione del tema principale, sfumando dolcemente e lasciando un’impressione di serena bellezza.
Lo Scherzo irrompe con un’energia e un ritmo contagiosi, fedele al suo nome che suggerisce un carattere giocoso e vivace. Il tempo è veloce e il tema principale è frammentato, caratterizzato da staccati e passaggi rapidi che si scambiano tra flauto e clarinetti. I fagotti aggiungono un tocco di umorismo e leggerezza con i loro interventi puntuali. La sezione centrale, il trio, porta un cambiamento di umore, introducendo un tema più ampio e cantabile, con un sapore quasi rustico e una strumentazione più piena. Qui i corni e i fagotti sono particolarmente prominenti, creando un contrasto efficace con l’agilità dello scherzo. Dopo il trio, lo Scherzo torna nella sua forma iniziale, riprendendo il suo slancio ritmico e la sua tessitura vivace. La coda finale è un’accelerazione mozzafiato, che conduce il movimento a una conclusione scattante ed esaltante.
Il Finale si apre con un gesto grandioso e imponente, dove l’intero nonetto esegue un’affermazione forte e dichiarativa, stabilendo un carattere trionfale. Il tema principale, rapido e accattivante, è subito introdotto e presenta un’alternanza di scale veloci e arpeggi distribuiti tra i fiati. Si alternano momenti di tutti energici a sezioni più liriche o riflessive, che servono a costruire la tensione prima di nuove esplosioni di energia. Le modulazioni armoniche sono sapientemente gestite, ampliando la portata espressiva del pezzo. Verso la conclusione, il movimento si intensifica progressivamente, accumulando sonorità e virtuosismi fino a un finale enfatico e celebrativo.

Nel complesso, l’opera è molto più di un semplice esercizio di scrittura per fiati e dimostra la maestria del compositore nell’orchestrazione, la sua vena melodica inesauribile e la sua capacità di creare un’atmosfera coerente attraverso quattro movimenti distinti. Si tratta di una composizione che, pur mantenendo un respiro “piccolo” nel senso cameristico, offre una grande ricchezza musicale e un piacere d’ascolto duraturo, confermando il genio di Gounod ben oltre le sue opere liriche più celebri.

Gounod, Petite Symphonie

Quintetto con clarinetto – IV

Carl Maria von Weber (18 novembre 1786 – 1826): Quintetto in si bemolle maggiore per clarinetto e archi op. 34 (J 182). Venancio Rius, clarinet; Enrique Palomares e Albert Skuratov, violini; Santiago Cantó, viola; David Barona, violoncello.

  1. Allegro
  2. Fantasia: Adagio ma non troppo [11:42]
  3. Menuetto: Capriccio presto [18:02]
  4. Rondò: Allegro giocoso [23:38]

Weber op. 34

Un omaggio di Rimskij-Korsakov a Beethoven

Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov (1844 - 21 giugno 1908): Quintetto in si bemolle maggiore per flauto, clarinetto, fagotto, corno e pianoforte (1876). Les Vents Français: Emmanuel Pahud, flauto; Paul Meyer, clarinetto; Gilbert Audin, fagotto; Radovan Vlatković, corno; Eric Le Sage, pianoforte.

  1. Allegro con brio
  2. Andante
  3. Rondò: Allegretto

Nel repertorio di composizioni da camera per strumenti a fiato ho trovato diverse cose preziose, come l’Ottetto op. 103 di Beethoven, la Serenata op. 44 di Dvořák, quella op. 7 di Richard Strauss e molto altro. Il Quintetto di Rimskij-Korsakov non sarà forse un capolavoro, ma a me è par­ti­co­lar­mente caro. L’autore affermò di aver composto il I movimento «nello stile classico di Beethoven»; in realtà l’omaggio al Maestro di Bonn non si limita all’imitazione dello stile beethoveniano né alla mera adozione di uno schema strutturale. Ascoltate con attenzione i due temi, adeguatamente contrastanti l’uno con l’altro, e scoprirete che sono direttamente ispirati dalla Nona Sinfonia: l’uno scaturisce da un motivo del primo tema del I movimento, l’altro è una sorta di parafrasi dell’inno Alla Gioia.

Contrasti

Béla Bartók (25 marzo 1881 - 1945): Contrasts per violino, clarinetto e pianoforte Sz. 111, BB 116 (1938); composti per e dedicati a József Szigeti e Benny Goodman. Eseguito da dedicatari e compositore — registrazione del 13 maggio 1940.

  1. Verbunkos (Recruiting Dance)
  2. Pihenö (Relaxation) [5:27]
  3. Sebes (Fast Dance) [10:00]

Contrasts

Bozzetti

Antonio Scontrino (1850 - 7 gennaio 1922): Sei Bozzetti per clarinetto e pianoforte (1909). Sergio Bosi, clarinetto; Riccardo Bartoli, pianoforte.

  1. Adelaide : Andantino
  2. Didone : Lentamente – Andante – Tempo I [1:57]
  3. Walzer : Tempo di Walzer, vivo e brillante [4:10]
  4. Gondoliera : Allegretto mosso – Andantino – Tempo I [5:23]
  5. Speranza : Andantino [7:20]
  6. Letizia : Allegro brillante [10:33]

Vino vecchio in bottiglie nuove

Gordon Jacob (5 luglio 1895 - 1984): Old Wine in New Bottles per 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni e 2 trombe (1959). US Air Force Air Combat Command Heritage of America Band, dir. Lowell E. Graham.

  1. The Wraggle Taggle Gipsies
  2. The Three Ravens
  3. Begone, Dull Care
  4. Early One Morning

Shakespeariana – XXII

Musick to heare

Igor Stravinsky (Igor’ Fëdorovič Stravinskij; 1882 - 1971): Three Songs from William Shakespeare for mezzo-soprano, flute, clarinet and viola (1953). Anna Molnár, mezzo-soprano; Annamária Bán, flute; Csaba Pálfi, clarinet; Péter Tornyai, viola.

  1. Musick to heare (Sonnet 8)

    Musick to heare, why hear’st thou musick sadly?
    Sweets with sweets warre not, ioy delights in ioy:
    Why lou’st thou that which thou receaust not gladly,
    Or else receau’st with pleasure thine annoy?
    If the true concord of well tuned sounds,
    By vnions married, do offend thine eare,
    They do but sweetly chide thee, who confounds
    In singlenesse the parts that thou should’st beare:
    Marke how one string sweet husband to an other,
    Strikes each in each by mutuall ordering;
    Resembling sier, and child, and happy mother,
    Who all in one, one pleasing note do sing:
      Whose speechlesse song being many, seeming one,
      Sings this to thee, thou single wilt proue none.

  2. Full fadom five (Ariel’s song from The Tempest) [3:07]

    Full fadom five thy Father lies,
     Of his bones are Corrall made:
    Those are pearles that were his eies,
     Nothing of him that doth fade,
    But doth suffer a Sea-change
    Into something rich, & strange:
    Sea-Nimphs hourly ring his knell.
      Ding dong ding dong.
    Harke now I heare them; ding dong bell.

  3. Spring (cuckoo’s song from Love’s Labour’s Lost) [4:43]

    When Daisies pied, and Violets blew,
    And Cuckow-buds of yellow hew,
    And Ladie-smockes all silver white,
    Do paint the Medowes with delight,
    The Cuckow then on everie tree
    Mockes married men; for thus sings he,
    Cuckow! Cuckow, Cuckow! O worde of feare,
    Unpleasing to a married eare.

Parallel Lines (Subotnick 90)

Morton Subotnick (14 aprile 1933): Parallel Lines per ottavino solista con “ghost electronics”, oboe, clarinetto/clarinetto basso, tromba, trombone, percussione, arpa, viola e violoncello (1979).

« The “ghost” score is a parallel composition to the piccolo solo. The ghost score amplifies and shifts the frequency of the original non-amplified piccolo sound. The two (“ghost” and original piccolo sounds), like a pair of parallel lines, can never touch, no matter how quickly or intricately they move. The work is divided into three large sections: (1) a perpetual-motion-like movement in which all parts play an equal role; (2) more visceral music, starting with the piccolo alone and leading to a pulsating “crying out”, and (3) a return to the perpetual motion activity, but sweeter » (Morton Subotnick).


Di notte

Eugène Bozza (4 aprile 1905 - 1991): Trois Pièces pour une musique de nuit per flauto, oboe, clarinetto e fagotto (1954). Ensemble Corrélatif: Christian Strube, flauto; Marion Klotz, oboe; Matthias Beltz, clarinetto; Anne Weber-Krüger, fagotto.

  1. Andantino [0:26]
  2. Allegro vivo [2:07]
  3. Moderato [4:25]

Prokof’ev 1953-2023 – IV

Sergej Sergeevič Prokof’ev (1891 - 5 marzo 1953): Ouverture su temi ebraici op. 34, versione originale (1919) per clarinetto, quartetto d’archi e pianoforte. Ermanno Veglianti, clarinetto; Pierluigi Pietroniro e Antonio Cordici, violini; Massimiliano Carlini, viola; Francesco Storino, violoncello; Leandro Piccioni, pianoforte.


Lo stesso brano nella versione per orchestra realizzata da Prokof’ev nel 1934 e poi pubblicata come op. 34bis. The Chamber Orchestra of Europe, dir. Claudio Abbado.

op. 34

Grande Symphonie de salon

Antonín Reicha (26 febbraio 1770 - 1836): Grande Symphonie de salon n. 1 in re minore-maggiore per 9 strumenti solisti (oboe, clarinetto, fagotto, corno, 2 violini, viola, violoncello e contrabbasso; 1825). Le Concert de la Loge, dir. Julien Chauvin.

  1. Adagio – Allegro
  2. Adagio [13:40]
  3. Minuetto: Allegro [20:53]
  4. Finale: Allegro vivace [24:52]

Concertino – XII

Carl Gottlieb Reißiger (31 gennaio 1798 - 1859): Concertino in mi bemolle maggiore per clarinetto e orchestra op. 63 (1830). Dieter Klöcker, clarinetto; Rundfunk-Sinfonie­orchester Berlin, dir. Jesús López Cobos.

  1. Moderato
  2. Andante con espressione [5:06]
  3. Rondò: Allegretto [9:24]

Reißiger, op. 63

Quartetto con clarinetto

Cesare Pugni (1802 - 26 gennaio 1870): Quartetto per clarinetto e archi in si bemolle maggiore op. 4. Italian Classical Consort: Luigi Magistrelli, clari­netto; Giacomo Orlandi, violino; Luca Moretti, viola; Elisabetta Soresina, violoncello.

  1. Allegro
  2. Andantino [9:01]
  3. Minuetto – Trio [12:15]
  4. Allegretto [15:43]