Per far tranquillo ogni turbato core

Claudio Monteverdi (1567 - 1643): sezioni strumentali dell’Orfeo (1607). English Baroque Soloists, dir. John Eliot Gardiner.

  1. Prologo: Toccata
  2. Prologo: Ritornello [1:33]
  3. Atto I: Ritornello [2:17]
  4. Atto I: Ritornello [2:43]
  5. Atto II: Sinfonia [3:24]
  6. Atto III: Sinfonia a 7 [4:35]
  7. Atto III: Sinfonia [6:05]
  8. Atto III: Ritornello [6:39]
  9. Atto III: Sinfonia a 7 [7:32]
  10. Atto IV: Sinfonia a 7 [8:18]
  11. Atto V: Sinfonia [9:02]
  12. Atto V: Moresca [9:34]

Io la Musica son, ch’ai dolci accenti
So far tranquillo ogni turbato core,
Et hor di nobil ira, et hor d’Amore
Poss’infiammar le più gelate menti.
(L’Orfeo, Prologo)

Monteverdi

L’empia ch’adoro

Claudio Monteverdi (9 maggio 1567 - 1643): Si dolce è’l tormento (dal Quarto scherzo delle ariose vaghezze, 1624) su testo di Carlo Milanuzzi. Renata Fusco, soprano; Lorenzo Micheli, tiorba; Matteo Mela, chitarra barocca; Massimo Lonardi, liuto.

Si dolce è’l tormento
Ch’in seno mi sta,
Ch’io vivo contento
Per cruda beltà.
Nel ciel di bellezza
S’accreschi fierezza
Et manchi pietà:
Ché sempre qual scoglio
All’onda d’orgoglio
Mia fede sarà.

[La speme fallace
Rivolgam’ il pie’.
Diletto ne pace
Non scendano a me.
E l’empia ch’adoro
Mi nieghi ristoro
Di buona mercè:
Tra doglia infinita,
Tra speme tradita
Vivrà la mia fè.]

Per foco e per gelo
riposo non ho.
Nel porto del cielo
riposo averò.
Se colpo mortale
con rigido strale
Il cor m’impiagò,
cangiando mia sorte
Col dardo di morte
il cor sanerò.

Se fiamma d’amore
Già mai non sentì
Quel rigido core
Ch’il cor mi rapì,
Se nega pietate
La cruda beltate
Che l’alma invaghì:
Ben fia che dolente,
Pentita e languente
Sospirimi un dì.

Lamento della Ninfa

Claudio Monteverdi (1567 - 1643): Lamento della Ninfa, da Madrigali guerrieri et amorosi (VIII Libro di madrigali, 1638, n. 22), su testo di Ottavio Rinuccini. Emma Kirkby, soprano; Paul Agnew e Andrew King, tenori; Alan Ewing, basso; The Consort of Musicke, dir. Anthony Rooley.
Lo stesso testo messo in musica da Antonio Brunelli, ma Monteverdi ne dà un’interpretazione completamente diversa.

Non havea Febo ancora
recato al mondo il dì,
che del suo albergo fuora
una donzella uscì.

  Miserella, ah più no, no,
  tanto gel soffrir non può.

Sul pallidetto volto
scorgeasi il suo dolor,
spesso gli venia sciolto
un gran sospir dal cor.

Si calpestando i fiori
errava hor qua, hor là,
e i suoi perduti amori
così piangendo va.

Amor, dicea, e il pie’
mirando il ciel fermò,
dove, dov’ è la fe’
che ‘l traditor giurò?

Se il ciglio ha più sereno
colei che ‘l mio non è,
già non gli alberga in seno
amor si nobil fè.

Fa’ ch’ei ritorni mio
Amor com’ei pur fu,
o tu m’ancidi, ch’io
non mi tormenti più.

Né mai più dolci baci
da quella bocca havrà,
né più soavi, ah taci,
taci, che troppo il sa.

Poiché di lui mi struggo,
dove stima non fa,
che sì, che sì ch’io ‘l fuggo
ch’ancor mi pregherà?

Sì tra sdegnosi pianti
sfogava il suo dolor;
sì dei gentili amanti
misto è col gelo amor.

Monteverdi

Il Ballo delle Ingrate

Claudio Monteverdi (1567 - 1643): Il Ballo delle Ingrate, balletto in stile recitativo su testo di Ottavio Rinuccini; commissionato da Vincenzo I Gonzaga e andato in scena a Mantova il 4 giugno 1608 in occasione dei festeggiamenti per le nozze (celebrate il 20 febbraio 1608) di Francesco IV Gonzaga con Margherita di Savoia.
Si compone di alcune azioni coreografiche precedute da una sinfonia ad libitum e tenute insieme da interventi cantati, secondo la struttura del ballet de cour francese; l’organico prevede soprano (Amore), mezzosoprano (Venere), contralto, tenori e baritono (quattro ombre degli Inferi) e basso (Plutone), più otto danzatrici (le anime delle Ingrate), mentre la parte strumentale è costituita da «cinque viole da brazzo, clavicembano e chitarone, li quali istrumenti si raddoppiano secondo il bisogno della grandezza del loco in cui devesi rapresentare».
Amore: Antonella Gianese; Venere: Mirella Golinelli; Plutone: Salvo Vitale; Una dell’Ingrate: Lavinia Bertotti. Ensemble Concerto, dir. Roberto Gini.

  1. Sinfonia: Grave (di Salamone Rossi)
  2. Dialogo: Amore, Venere e Plutone [2:12]
  3. Duetto «Ecco, ecco ver noi» (Amore e Venere) [16:36]
  4. Entrata e Ballo [18:47]
  5. Aria «Dal tenebroso orror» (Plutone) [24:24]
  6. Lamento «Ahi troppo» (Una dell’Ingrate) [32:34]

AMORE:

De l’implacabil Dio
Eccone giunt’al Regno,
Seconda, O bella Madre, il pregar mio.

VENERE:

Non tacerà mia voce
Dolci lusinghe e prieghi
Fin che l’alma feroce
Del Re severo al tuo voler non pieghi.

AMORE:

Ferma, Madre, il bel piè, non por le piante
Nel tenebroso impero,
Che l’aer tutto nero
Non macchiass’il candor del bel sembiante:
Io sol n’andrò nella magion oscura,
E pregand’il gran Re trarrotti avante.

VENERE:

Va’ pur come t’aggrada. Io qui t’aspetto,
Discreto pargoletto.

Udite, Donne, udite! I saggi detti
Di celeste parlar nel cor servate:
Chi, nemica d’amor, nei crudi affetti
Armerà il cor nella fiorita etate,

Sentirà come poscia arde a saetti
Quando più non avrà grazia e beltate,
E in vano risonerà, tardi pentita,
Di lisce e d’acque alla fallace aita.

PLUTONE:

Bella madre d’Amor, che col bel ciglio
Splender l’Inferno fai sereno e puro,
Qual destin, qual consiglio
Dal ciel t’ha scorto in quest’abisso oscuro?

VENERE:

O de la morte innumerabil gente
Tremendo Re, dal luminoso cielo
Traggemi a quest’orror materno zelo:
Sappi che a mano a mano
L’unico figlio mio di strali e d’arco
Arma, sprezzato arcier, gli omer e l’ali.

PLUTONE:

Chi spogliò di valore l’auree saette
Che tante volte e tante
Giunsero al cor de l’immortal Tonnante?

VENERE:

Donne, che di beltate e di valore
Tolgono alle più degne il nome altero,
Là, nel Germano Impero,
Di cotanto rigor sen van armate,
Che di quadrell’aurate
E di sua face il foco
Recansi a scherzo e gioco.

PLUTONE:

Mal si sprezza d’Amor la face e’l telo.
Sallo la terra e’l mar, l’inferno e’l cielo.

VENERE:

Non de’ più fidi amanti
Odon le voci e i pianti.
Amor, Costanza, Fede
Non pur ombra trovar può di mercede.
Questa gli altrui martiri
Narra ridendo. E quella
Sol gode d’esser bella
Quando tragge d’un cor pianti e sospiri.
Invan gentil guerriero
Move in campo d’honor, leggiadro e fiero.
Indarno ingegno altero
Freggia d’eterni carmi
Beltà che non l’ascolta e non l’aprezza.
Oh barbara fierezza!
Oh cor di tigre e d’angue!
Mirar senza dolore
Fido amante versar lagrime e sangue!
E per sua gloria, e per altrui vendetta
Ritrovi in sua faretra Amor saetta!

PLUTONE :

S’invan su l’arco tendi
I poderosi strali,
Amor che speri, e che soccorso attendi?

AMORE:

Fuor de l’atra caverna
Ove piangono invan, di Speme ignude,
Scorgi, Signor, quell’empie e crude!
Vegga, vegga sull’Istro
Ogni anima superba
A qual martir cruda beltà si serba!

PLUTONE:

Deh! Chi ricerchi, Amor!
Amor, non sai che dal carcer profondo
Cale non è che ne rimeni al mondo?

AMORE:

So che dal bass’Inferno
Per far ritorno al ciel serrato è il varco.
Ma chi contrasta col tuo poter eterno?

PLUTONE:

Saggio signor se di sua possa è parco.

VENERE:

Dunque non ti rammenti
Che Proserpina bella a coglier fiori
Guidai sul monte degli eterni ardori?
Deh! Per quegli almi contenti,
Deh! Per quei dolci amori,
Fa nel mondo veder l’ombre dolenti!

PLUTONE:

Troppo, troppo possenti
Bella madre d’Amore,
Giungon del tuo pregar gli strali al cuore!
Udite! Udite! Udite!
O dell’infernal corte
Fere ministre, udite!

OMBRE D’INFERNO:

Che vuoi? Ch’imperi?

PLUTONE:

Aprite aprite aprite
Le tenebrose porte
De la prigion caliginosa e nera!
E de l’Anime Ingrate
Trahete qui la condannata schiera!

VENERE:

Non senz’altro diletto
Di magnanimi Regi
Il piè porrai ne l’ammirabil tetto!
Ivi, di fabri egregi
Incredibil lavoro,
O quanto ammirerai marmorii fregi!
D’ostro lucent’ e d’oro
Splendon pompose le superbe mura!
E per Dedalea cura,
Sorger potrai tra l’indorate travi,
Palme e trionfi d’innumerabil Avi.
Ne minor meraviglia
Ti graverà le ciglia,
Folti Theatri rimirando e scene,
Scorno del Tebro e de la dotta Atene!
Qui incominciano apparire le Donne Ingrate,
et Amore e Venere così dicono:

AMORE e VENERE:

Ecco ver noi l’adolorate squadre
Di quell’alme infelici. Oh miserelle!
Ahi vista troppo oscura!
Felici voi se vi vedeva il fato
Men crude e fere, o men leggiadre e belle!
Plutone rivolto verso Amore e Venere così dice:

PLUTONE:

Tornate al bel seren, celesti Numi!
Rivolto poi all’Ingrate, così segue:

PLUTONE:

Movete meco, voi d’Amor ribelle!
Con gesti lamentevoli, le Ingrate a due a due
incominciano a passi gravi a danzare la presente entrata,
stando Plutone nel mezzo, camminando a passi naturali e gravi.
Giunte tutte al posto determinato,
incominciano il ballo come segue.
Danzano il ballo sino a mezzo;
Plutone si pone in nobil postura,
rivolto verso la Principessa e Damme, così dice:

PLUTONE:

Dal tenebroso orror del mio gran Regno
Fugga, Donna, il timor dal molle seno!
Arso di nova fiamma al ciel sereno
Donna o Donzella per rapir non vegno.
E quando pur de vostri rai nel petto
Languisce immortalmente il cor ferito,
Non fora disturbar Plutone ardito
Di cotanta Regina il lieto aspetto.
Donna al cui nobil crin non bassi fregi
Sol pon del Cielo ordir gli eterni lumi,
Di cui l’alma virtù, gli aurei costumi
Farsi speglio dovrian Monarchi e Regi.
Scese pur dianzi Amor nel Regno oscuro.
Preghi mi fè ch’io vi scorgessi avanti
Queste infelici, ch’in perpetui pianti
Dolgonsi invan che non ben sagge furo.
Antro è la giù, di luce e d’aer privo,
Ove torbido fumo ogni hor s’aggira:
Ivi del folle ardir tardi sospira
Alma ch’ingrata hebbe ogni amante a schivo.
Indi le traggo e ve l’addito e mostro,
Pallido il volto e lagrimoso il ciglio,
Per che cangiando homai voglie e consiglio
Non piangete ancor voi nel negro chiostro.
Vaglia timor di sempiterni affanni,
Se forza in voi non han sospiri e prieghi!
Ma qual cieca ragion vol che si nieghi
Qual che malgrado alfin vi tolgon gli anni?
Frutto non è di riserbarsi al fino.
Trovi fede al mio dir mortal beltate.
Poi rivolto al Anime Ingrate, così dice:
Ma qui star non più lice, Anime Ingrate.
Tornate al lagrimar nel Regno Inferno!
Qui ripigliano le Anime Ingrate la seconda parte
del Ballo al suono come prima,
la qual finita Plutone così gli parla:
Tornate al negro chiostro,
Anime sventurate,
Tornate ove vi sforza il fallir vostro!
Qui tornano al Inferno al suono della prima entrata,
nel modo con gesti e passi come prima,
restandone una in scena, nella fine facendo il lamento
come segue; e poi entra nell’Inferno:

UNA delle INGRATE:

Ahi troppo è duro!
Crudel sentenza, e vie più crude pene!
Tornar a lagrimar nell’antro oscuro!
Aer sereno e puro,
Addio per sempre! Addio per sempre,
O cielo, o sole! Addio lucide stelle!
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!

QUATTRO INGRATE insieme:

Apprendete pietà, Donne e Donzelle!

Segue UNA delle INGRATE:

Al fumo, a gridi, a pianti,
A sempiterno affanno!
Ahi! Dove son le pompe, ove gli amanti!
Dove, dove sen vanno
Donne che si pregiate al mondo furo?
Aer sereno e puro,
Addio per sempre! Addio per sempre,
O cielo, o sole! Addio lucide stelle!
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!

Monteverdi: il Quarto Libro dei madrigali a 5 voci

 
Claudio Monteverdi (9 maggio 1567 - 1643): Il quarto libro dei madrigali a 5 voci (1603). Concerto Italiano, dir. Rinaldo Alessandrini.


1. Ah, dolente partita (Battista Guarini)

Ah, dolente partita,
ah, fin de la mia vita!
Da te part’e non moro?
E pur i’ provo la pena de la morte,
e sento nel partire
un vivace morire
che dà vita al dolore,
per far che moia immortalment’il core.

2. Cor mio, mentre vi miro (Battista Guarini) [3:35]

Cor mio, mentre vi miro,
visibilmente mi trasform’in voi.
E, trasformato poi,
in un solo sospir l’anima spiro.
O bellezza mortale,
o bellezza vitale,
poi che sì tosto un core
per te rinasce e per te nato more.

3. Cor mio, non mori? [5:53]

Cor mio, non mori? e mori!
L’idolo tuo, ch’è tolto
a te, fia tosto in altrui braccia accolto.
Deh, spezzati mio core,
lascia, lascia con l’aura anco l’ardore,
ch’esser non può che ti riserbi in vita
senza speme ed aita.
Su, mio cor mori. Io moro, io vado a Dio,
dolcissimo ben mio.

4. Sfogava con le stelle (Ottavio Rinuccini) [8:41]

Sfogava con le stelle
un infermo d’amore
sotto notturno ciel il suo dolore.
E dicea fisso in loro:
«O imagini belle
de l’idol mio ch’adoro,
sì com’a me mostrate
mentre così splendete
la sua rara beltate,
così mostraste a lei
i vivi ardori miei:
la fareste col vostr’aureo sembiante
pietosa sì come me fate amante».

5. Volgea l’anima mia soavemente (Battista Guarini) [12:12]

Volgea l’anima mia soavemente
quel suo caro e lucente
sguardo, tutto beltà, tutto desire,
verso me scintillando e parea dire:
«Dam’il tuo cor, ché non altrond’i’ vivo».
E mentr’il cor sen vola ove l’invita
quella beltà infinita,
sospirando gridai: «Misero e privo
del cor, chi mi dà vita?»
Mi rispos’ella in un sospir d’amore:
«Io, che son il tuo core».

6. Anima mia, perdona (Battista Guarini)
1a parte [16:02]

Anima mia, perdona
a chi t’è cruda sol dove pietosa
esser non può, perdona a questa,
nei detti e nel sembiante
rigida tua nemica, ma nel core
pietosissima amante.
E se pur hai desio di vendicarti,
deh, qual vendetta aver puoi tu maggiore
del tuo proprio dolore?

2a parte [18:57]

Che se tu se’ il cor mio,
come se’ pur malgrado
del ciel e de la terra,
qualor piangi e sospiri,
quelle lagrime tue son il mio sangue,
quei sospir il mio spirto
e quelle pen’e quel dolor che senti
son miei, non tuoi tormenti.

7. Luci serene e chiare (Ridolfo Arlotti) [22:19]

Luci serene e chiare,
voi m’incendete, voi, ma prov’il core
nell’incendio diletto, non dolore.
Dolci parole e care,
voi mi ferite, voi, ma prova il petto
non dolor ne la piaga, ma diletto.
O miracol d’Amore,
alma ch’è tutta foco e tutta sangue
si strugg’e non si duol, muor e non langue.

8. La piaga c’ho nel core (Aurelio Gatti) [25:50]

La piaga c’ho nel core,
donna, onde lieta sei,
colpo è degli occhi tuoi, colpa dei miei:
gli occhi miei ti miraro,
gli occhi tuoi mi piagaro:
ma come avien che sia
comune il fallo e sol la pena mia?

9. Voi pur da me partite (Battista Guarini) [28:19]

Voi pur da me partite, anima dura,
né vi duol il partire:
ohimè, quest’è un morire
crudele, e voi gioite?
Quest’è vicino aver l’ora suprema,
e voi non la sentite?
Oh meraviglia di durezza estrema:
esser alma d’un core
e separarsi e non sentir dolore!

10. A un giro sol de’ belli occhi lucenti (Battista Guarini) [32:30]

A un giro sol de’ belli occhi lucenti
ride l’aria d’intorno,
e ’l mar s’acqueta e i venti,
e si fa il ciel d’un altro lume adorno.
Sol io le luci ho lagrimose e meste:
certo quando nasceste,
così crudel e ria,
nacque la morte mia.

11. Ohimè, se tanto amate (Battista Guarini) [34:47]

Ohimè, se tanto amate
di sentir dir ohimè, deh, perché fate
chi dice ohimè morire?
S’io moro, un sol potrete
languido e doloroso ohimè sentire,
ma se, cor mio, volete
che vita abbia da voi, e voi da me,
avrete mill’e mille dolci ohimè.

12. Io mi son giovinetta (Giovanni Boccaccio) [37:46]

«Io mi son giovinetta,
e rido e canto alla stagion novella»,
cantava la mia dolce pastorella,
quando subitamente
a quel canto il cor mio
cantò, quasi augellin vago e ridente:
«Son giovinetto anch’io,
e rido e canto alla gentil e bella
primavera d’Amore
che ne’ begli occhi tuoi fiorisce». Ed ella:
«Fuggi, se saggio sei (disse) l’ardore,
fuggi, ch’in questi rai
primavera per te non sarà mai».

13. Quell’augellin che canta (Battista Guarini, Il pastor fido I/1) [40:05]

Quell’augellin che canta
sì dolcemente e lascivetto vola
or da l’abete al faggio
ed or dal faggio al mirto,
s’avesse umano spirto,
direbb’ardo d’amor, ardo d’amore,
ma ben arde nel core
e chiam’il suo desio,
che li rispond’ardo d’amor anch’io.
Che sii tu benedetto,
amoroso, gentil, vago augelletto.

14. Non più guerra, pietate (Battista Guarini) [42:00]

Non più guerra, pietate,
pietate, occhi miei belli,
trionfanti, a che v’armate
contr’un cor ch’è già pres’e vi si rende?
Ancidete i rubelli,
ancidete chi s’arma e si difende,
non chi, vinto, v’adora.
Volete voi ch’io mora?
Morrò pur vostro e del morir l’affanno
sentirò sì, ma sarà vostr’il danno.

15. Sì, ch’io vorrei morire (Maurizio Moro) [44:40]

Sì, ch’io vorrei morire
ora ch’io bacio, Amore,
la bella bocca del mio amato core.
Ahi, cara e dolce lingua,
datemi tanto umore
che di dolcezza in questo sen m’estingua.
Ahi, vita mia, a questo bianco seno
deh, stringetemi fin ch’io venga meno.
Ahi bocca, ahi baci, ahi lingua, i’ torn’a dire
sì, ch’io vorrei morire.

16. Anima dolorosa, che vivendo [48:52]

Anima dolorosa, che vivendo
tanto peni e tormenti
quant’odi e parli e pensi e miri e senti,
ancor spiri? che speri? Ancor dimori
in questa viva morte? in quest’inferno
de le tue pene eterno?
mori, misera, mori,
ché tardi più, che fai?
Perché, mort’al piacer, vivi al martire?
perché vivi al morire?
Consuma il duol che ti consuma omai,
di questa morte che par vita uscendo:
mori, meschina, al tuo morir morendo.

17. Anima del cor mio [52:05]

Anima del cor mio,
poi che da me, misera me, ti parti,
s’ami confort’alcun a’ miei martiri,
non isdegnar ch’almen ti segu’anch’io
solo co’ miei sospiri
e sol per rimembrarti
ch’in tante pen’e in così fiero scempio
vivrò d’amor di vera fede esempio.

18. Longe da te, cor mio [54:27]

Longe da te, cor mio,
struggomi di dolore,
di dolcezza e d’amore.
Ma torna omai, deh, torna: e se ’l destino
strugger vorammi ancor a te vicino,
sfavilli e splenda il tuo bel lume amato,
ch’io n’arda e mora, e morirò beato.

19. Piagn’ e sospira (Torquato Tasso, Gerusalemme conquistata VIII/6) [57:16]

Piagn’ e sospira: e quand’i caldi raggi
fuggon le greggi a la dolce ombr’assise,
ne la scorza de’ pini o pur de’ faggi
segnò l’amato nome in mille guise,
e de la sua fortuna i gravi oltraggi
E in rileggendo poi le proprie note
spargea di pianto le vermiglie gote.

 
MonteverdiClaudio Monteverdi

21 marzo, Giornata europea della musica antica

Claudio Monteverdi (1567 - 1643): Sì dolce è ‘l tormento, aria per voce e basso continuo SV 332 (1624); Carlo Vistoli, controtenore; ensemble Sezione Aurea, dir. Filippo Pantieri.

Sì dolce è ‘l tormento che in seno mi sta,
Ch’io vivo contento per cruda beltà.
Nel ciel di bellezza
S’accreschi fierezza
Et manchi pietà,
Che sempre qual scoglio
All’onda d’orgoglio
Mia fede sarà.

La speme fallace rivolgami il piè
Diletto né pace non scendano a me:
E l’empia ch’adoro
Mi nieghi ristoro
Di buona mercé:
Tra doglia infinita
Tra speme tradita
Vivrà la mia fé.

Per foco e per gelo riposo non ho,
Nel porto del Cielo riposo haverò.
Se colpo mortale
Con rigido strale
Il cor m’impiagò,
Cangiando mia sorte
Col dardo di morte
Il cor sanerò.

Se fiamma d’amore giammai non sentì
Quel rigido core che ‘l cor mi rapì.
Se niega pietate
La cruda beltate che l’alma invaghì.
Ben fia che dolente,
Pentita e languente
Sospirimi un dì.

Carlo Vistoli è Early Music Day Ambassador per il 2022.

Damigella tutta bella

Claudio Monteverdi (1567 - 1643): Damigella tutta bella, madrigale a 3 voci e strumenti (pubblicato in Scherzi musicali a 3 voci, 1607, n. 6); testo di Gabriello Chiabrera. Philippe Jaroussky e Nuria Rial, voci; ensemble l’Arpeggiata, dir. Christina Pluhar.


Vincenzo Calestani (10 marzo 1589 - p1617): Damigella tutta bella, aria per 1 voce e basso continuo (pubblicata in Madrigali et arie per sonare et cantare nel chitarrone leuto o clavicembalo a una, e due voci, 1617). Zachary Wilder e Emiliano Gonzalez Toro, tenori; ensemble I Gemelli, dir. Emiliano Gonzalez Toro.

Damigella
tutta bella
versa, versa quel bel vino,
fa’ che cada
la rugiada
distillata di rubino.

Ho nel seno
rio veneno
che vi sparse Amor profondo,
ma gittarlo
e lasciarlo
vo’ sommerso in questo fondo.

Damigella
tutta bella
di quel vin tu non mi sazi,
fa’ che cada
la rugiada
distillata di topazi.

Ah, che, spento,
io non sento
il furor de gl’ardor miei,
men cocenti,
meno ardenti
sono, ohimè, gli incendi etnei.

Nova fiamma
più m’infiamma,
arde il cor foco novello,
se mia vita
non s’aita,
ah, ch’io vengo un Mongibello.

Ma più fresca
ogn’ hor cresca
dentro me sì fatta arsura,
consumarmi
e disfarmi
per tal modo ho per ventura.