Ah! vous dirai-je, Igudesman

Aleksej Igudesman e Alexandra Tirsu alle prese con alcune bizzarre variazioni sul tema di una famosa canzoncina infantile (Ah! vous dirai-je, maman ossia Quand trois poules vont au champ, nota ai bambini di lingua inglese come Twinkle, Twinkle, Little Star ovvero Baa, Baa, Black Sheep), rivelando a un tratto una sua insospettabile relazione con il cinquecentesco Ballo di Mantova altrimenti detto Fuggi fuggi fuggi dal mondo bugiardo.

Oggi è il compleanno di Aleksej: auguri!

Ah

Goldberg per archi

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750): Goldberg-Variationen BWV 988 (1741-45), tra­scri­zione per archi di Dmitrij Sitkoveckij. New European Strings Chamber Orchestra diretta dal trascrittore.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Le Variazioni Goldberg rivelate: il genio di Bach nella tras­fi­gu­razione per archi

Le Variazioni Goldberg rappresentano non solo un vertice della letteratura per tastiera, ma un’opera di tale profondità e ingegnosità da trascendere il suo strumento d’origine, prestandosi magnificamente a trascrizioni come quella per ensemble d’archi. Sebbene la storia del conte Keyserlingk e del giovane clavicembalista Johann Gottlieb Goldberg (allievo sia di Johann Sebastian Bach che di suo figlio Wilhelm Friedemann) sia affascinante e riportata dal primo biografo di Bach, Forkel, alcuni studiosi moderni la ritengono parzialmente romanzata. Goldberg, all’epoca della pubblicazione (1741/42), avrebbe avuto solo 14 anni, un’età giovane per padroneggiare un’opera di tale difficoltà. Tuttavia, l’opera fu pubblicata come Clavier Übung / bestehend / in einer ARIA / mit verschiedenen Veraenderungen / vors Clavicimbal / mit 2 Manualen. / Denen Liebhabern zur Gemüths- / Ergetzung verfertiget von / Johann Sebastian Bach (“Esercizio per tastiera, consistente in un’ARIA con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali. Composto per gli amatori, per il ristoro del loro spirito, da Johann Sebastian Bach”). Questo titolo suggerisce un pubblico più ampio di "amatori" (intesi come conoscitori e praticanti esperti) e uno scopo che va oltre la semplice cura dell’insonnia, puntando al "ristoro dello spirito" attraverso la bellezza e la complessità musicale. Le Variazioni Goldberg costituiscono la quarta e ultima parte della Clavier-Übung di Bach, una serie di pubblicazioni che miravano a mostrare l’ampiezza delle sue capacità compositive per strumenti a tastiera, spaziando dalle Partite (I), al Concerto Italiano e Ouverture Francese (II), fino a preludi corali e fughe per organo (III). Le Goldberg sono, in questo senso, un culmine e una summa.

L’aria iniziale non è un tema melodico nel senso tradizionale, ma una sarabanda elegante e ornata, il cui vero "DNA" per le variazioni risiede nella sua linea di basso di 32 battute (divisa in due sezioni da 16, ciascuna ripetuta). Questa linea di basso, con la sua progressione armonica implicita, è il vero filo conduttore dell’intera opera. Le variazioni, invece, sono raggruppate in dieci cicli di tre. Ogni ciclo solitamente contiene una variazione di carattere (spesso danze stilizzate, arabeschi, invenzioni), una variazione brillante e virtuosistica, spesso per due manuali (nella trascrizione per archi si traduce in un dialogo serrato e incroci di linee tra gli strumenti) e un canone. Ogni terza variazione (3, 6, 9, 12, 15, 18, 21, 24, 27) è un canone a un intervallo progressivamente crescente: dalla variazione 3 (canone all’unisono) alla variazione 27 (canone alla nona). La linea di basso originale di solito accompagna liberamente i canoni. Bach esplora un vero e proprio "catalogo" di forme e stili:

  • Danze stilizzate: Giga (Var. 7), Sarabanda (l’Aria stessa, e Var. 13 e 25 che ne riecheggiano il carattere meditativo), Ouverture francese (Var. 16);

  • Fughetta: (Var. 10);

  • Invenzioni a due o tre voci: molte variazioni libere;

  • Toccata/Studi virtuosistici: variazioni come la 5, 14, 20, 23, 26, 29, che sul clavicembalo richiedono incroci di mani e grande agilità, trovano negli archi una nuova forma di virtuosismo, con passaggi rapidi, ampi salti e articolazioni precise distribuite tra i musicisti;

  • Variazioni di carattere lirico e cantabile: come la Var. 13 (Sarabanda) o la Var. 25 (spesso definita la "perla nera" per la sua intensità cromatica e patetismo);

  • La Variazione 30: Quodlibet: invece di un canone alla decima, Bach conclude la serie di variazioni con un "Quodlibet", una composizione che intreccia melodie popolari dell’epoca (Kraut und Rüben haben mich vertrieben: Cavoli e rape mi hanno scacciato via, e Ich bin so lang nicht bei dir g’west: È tanto tempo che non sono stato con te). Questo introduce un elemento di umorismo e umanità prima del ritorno all’aria.

  • Aria da capo: la ripresa finale dell’Aria iniziale, immutata, chiude il cerchio. Dopo il viaggio attraverso trenta trasformazioni, il ritorno all’origine assume un signi­fi­cato nuovo, di quiete contemplativa e completezza.

Oltre ai canoni, l’intera opera è un saggio di maestria contrappuntistica. Bach utilizza imitazioni, contrappunto invertibile, dialogo tra le voci in un tessuto polifonico sempre denso ma trasparente. L’arrangiamento per archi permette di assegnare singole linee melodiche a strumenti distinti, rendendo la tessitura ancora più chiara e godibile. Bach non si limita a decorare una melodia. Egli trasforma il materiale di base (il basso e le armonie implicite) attraverso:

  • Figurazione melodica: creazione di nuove linee melodiche sopra l’armonia;

  • Alterazione ritmica: modifica dei pattern ritmici;

  • Ricontestualizzazione armonica: sfumature armoniche, modulazioni a tonalità vicine;

  • Cambiamenti di tessitura: da poche voci a trame più dense;

  • Cambiamenti di carattere e tempo: da lento e meditativo a veloce e brillante.

Sebbene ancorato alla tonalità di sol maggiore, Bach esplora con audacia cromatismi e modulazioni, specialmente nelle variazioni in modo minore (15, 21, 25), che raggiungono una profonda intensità espressiva. Gli archi, con la loro capacità di intonazione precisa e di creare "colori" armonici attraverso il vibrato e la dinamica, sottolineano queste sottigliezze. Originariamente concepiti per i due manuali del clavicembalo (che permettevano incroci di mani senza che queste si scontrassero), questi passaggi richiedono grande agilità. Nella versione per archi, il virtuosismo si manifesta nella velocità dei passaggi, nella precisione dell’intonazione in posizioni elevate, negli staccati, nei balzi e nell’interazione sincronizzata dell’ensemble. La Var. 20, con i suoi rapidi arpeggi e scale, o la Var. 26 con i suoi ritmi sincopati e incroci, diventano sfide esaltanti per un ensemble d’archi.

Le Variazioni Goldberg sono un perfetto equilibrio tra rigore intellettuale e profonda espressività emotiva. La complessità strutturale e contrappuntistica non è mai fine a sé stessa, ma serve a creare un universo sonoro di straordinaria ricchezza e varietà. L’ascolto delle Goldberg è spesso descritto come un viaggio, un percorso che parte dalla serena contemplazione dell’Aria, attraversa un caleidoscopio di umori, tecniche e caratteri, per poi ritornare, arricchito, al punto di partenza. Nonostante la loro origine barocca, le Variazioni Goldberg parlano un linguaggio universale, capace di toccare ascoltatori di ogni epoca e cultura. La loro perfezione formale e la loro profondità emotiva le rendono un’esperienza trascendente.

Gli archi offrono un sustain naturale delle note che il clavicembalo (strumento a corde pizzicate) non possiede. Questo permette di esaltare le linee melodiche lunghe e cantabili, conferendo loro maggiore calore e fluidità. Un ensemble d’archi (trio, quartetto, piccola orchestra da camera) offre una tavolozza timbrica più variegata rispetto al clavicembalo. Il dialogo tra violini, viola e violoncello (e contrabbasso, se presente) crea un gioco di colori e registri affascinante. In più, gli archi hanno una gamma dinamica molto più ampia e flessibile del clavicembalo, consentendo interpretazioni con maggiori sfumature, crescendo e diminuendo che possono sottolineare la struttura formale e l’espressione emotiva. Paradossalmente, sebbene il clavicembalo a due manuali sia eccellente per la chiarezza contrappuntistica, l’assegnazione di singole voci a strumenti ad arco distinti rende la trama polifonica ancora più trasparente e analiticamente percepibile, potendo "vedere" e sentire il dialogo tra gli strumenti.

Dmitrij Sitkoveckij

Variations chromatiques

Georges Bizet (1838 - 3 giugno 1875): Variations chromatiques de concert per pianoforte op. 3 (1868). Riccardo Zadra.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Bizet, Variations chromatiques de concert: analisi

Le Variations chromatiques de concert, composte nel 1868 e dedicate a Stephen Heller, constano di un tema, 14 variazioni e una coda elaborata. Il brano si colloca saldamente nella tradizione romantica della variazione virtuosistica, ma con una distintiva enfasi sul potenziale espressivo del cromatismo, che pervade il tema e le sue trasformazioni.
Il tema principale (Moderato maestoso), nella tonalità di do minore e nel metro di 9/8, si articola in sedici misure, divisibili in due sezioni ripetute (aa′bb′). La prima sezione s’inizia pianissimo con una melodia discendente nella mano destra caratterizzata da un’inflessione cromatica. La mano sinistra fornisce un accompagnamento accordale con un certo movimento contrappuntistico. La frase modula e si conclude sulla dominante (sol maggiore). Successivamente, si riprende il materiale precedente, ma si conclude sulla tonica (do minore). La seconda sezione, invece, s’inizia fortissimo, introducendo un contrasto dinamico e tessiturale. La melodia diventa più assertiva e la scrittura più piena. Anche questa frase si conclude sulla dominante. Similmente a prima, si ha una ripresa del materiale tematico ritornando alla tonica e concludendo il tema in pianissimo con l’indicazione molto diminuendo. Il tema è nobile, espressivo e leggermente malinconico, con il cromatismo che aggiunge un colore intenso e una tensione intrinseca. L’indicazione maestoso è ben rappresentata dalla scrittura accordale e dal ritmo composto. L’uso del pedale è indicato per sostenere l’armonia.
La prima variazione, segnata Un pochissimo più allegretto e pianissimo leggiero, con eleganza, è nel metro di 4/4. La melodia del tema è frammentata e trasformata in un disegno leggero e staccato di crome e semicrome nella mano destra. La mano sinistra accompagna con accordi spezzati. L’essenza cromatica del tema è preservata. L’eleganza richiesta è ottenuta attraverso la leggerezza del tocco e la chiarezza della figurazione.
La seconda variazione, contrassegnata a tempo rubato, s’inizia in piano e mantiene il metro precedente. Essa è dominata da terzine di crome e la melodia del tema, leggermente ornata, è affidata alla mano destra, mentre la sinistra esegue accordi spezzati. Il carattere è più lirico ed espressivo, con il rubato che permette flessibilità agogica. Il cromatismo tematico è ancora chiaramente avvertibile.
La terza variazione, indicata a tempo risoluto, ha inizio in fortissimo e in metro 4/4. Si tratta di un’esplosione di virtuosismo, caratterizzata da scale cromatiche ascendenti e discendenti e da rapidi arpeggi che attraversano l’estensione della tastiera. Il profilo melodico del tema è quasi sommerso dalla brillantezza della figurazione. L’elemento cromatico diventa qui una tessitura pervasiva. Indicazioni di accento (^) sottolineano la natura “risoluta”.
La quarta, segnata con fuoco, s’inizia in fortissimo très rhythmé et martelé. La potenza aumenta. La variazione è costruita su accordi pieni spesso in ottava e figure ritmiche incisive e martellate. La melodia del tema è presente, ma trasformata in gesti accordali energici. Il pedale è usato per dare risonanza e peso. Il cromatismo è integrato nelle armonie dense e negli spostamenti accordali.
La quinta, indicata come le tremolo très serré e le chant bien marqué, presenta dinamiche sommesse e costituisce un contrasto drammatico con la precedente. Un tremolo rapidissimo e leggerissimo in entrambe le mani crea un’atmosfera eterea e misteriosa. La melodia del tema emerge sommessamente, spesso all’interno della figurazione tremolante della mano destra o come voce interna. Il cromatismo è sottilmente presente nel canto.
La sesta variazione, Agitato ed espressivo, s’inizia in pianissimo e si caratterizza per le figure arpeggiate rapidissime (quartine di semicrome) nella mano sinistra che creano un moto perpetuo agitato. La linea melodica è spesso affidata alla mano sinistra o a note tenute all’interno della figurazione della destra. Il carattere è inquieto e urgente.
La settima non presenta una indicazione di tempo specifica e si pone di sviluppare ulteriormente l’idea della variazione precedente, ma con una tessitura più densa e un’escursione dinamica più ampia (da ppp a fff). Le figurazioni cromatiche spezzate e gli accordi ribattuti accrescono la tensione e il virtuosismo. Il cromatismo è evidente nelle veloci successioni di note.
L’ottava, marcata con espressione e leggiero l’accompagnamento, ha inizio con dinamiche sommesse e ritorna al lirismo. La melodia del tema è presentata in modo cantabile e espressivo dalla mano destra. La sinistra fornisce un accompagnamento delicato e arpeggiato e il cromatismo del tema è qui esposto con particolare chiarezza e sensibilità.
La nona, Un peu plus vite, s’inizia in pianissimo e si caratterizza per la sua estrema leggerezza e velocità. La mano destra esegue continue figurazioni di semicrome, spesso scalari o arpeggiate, che delineano l’armonia del tema. La sinistra ha accordi staccati e leggeri. Il carattere è scherzoso e volatile.
La decima, contrassegnata Alla polacca, ha inizio in piano e introduce il ritmo caratteristico della polacca (croma – due semicrome). L’articolazione è prevalentemente staccata. La melodia del tema è adattata al nuovo metro e ritmo, mantenendo il suo nucleo cromatico. Il carattere è danzante, nobile ma energico.
L’undicesima variazione è contrassegnata Andante, espressivo assai ed è profondamente lirica e introspettiva. La melodia del tema è ornata con fioriture espressive (sestine di semicrome) e armonie ricche. Indicazioni come smorzando e aussi pp que possible sottolineano il carattere intimo. Il cromatismo discendente è molto presente.
La dodicesima, marcata Plus animé, s’inizia in pianissimo e con articolazione legatissimo. Un flusso continuo di terzine di crome in entrambe le mani crea una tessitura legatissima e omogenea. Il tema è intessuto in questo flusso, a volte emergendo come voce interna o diviso tra le mani. L’effetto è scorrevole e ondulato.
La tredicesima, indicata Mouvement des premières Variations, ha inizio con dinamiche sommesse e richiama il carattere delle prime variazioni, in particolare della prima. La mano sinistra presenta figure arpeggiate simili, mentre la destra esegue una versione più sostenuta ed espressiva del tema. È una sorta di sguardo retrospettivo e riflessivo.
L’ultima variazione, Appassionato, s’inizia in mezzoforte espressivo assai e costruisce un climax di intensità. Il tema è presentato con accordi più pieni, arpeggi passionali, figurazioni virtuosistiche e forti contrasti dinamici.
La coda s’inizia semplice in pianissimo e si sviluppa in varie sezioni con indicazioni contrastanti. Dapprima, la tessitura ricorda le variazioni più agitate (come la 6ª o la 7ª) con rapide semicrome, per poi passare a una sezione in ottave che riafferma con forza il nucleo cromatico discendente del tema. Un passaggio Un peu plus lent, melanconico offre un momento di quiete e riflessione, mentre il susseguente Quasi recitativo introduce brevi frasi declamatorie e libere ritmicamente. La sezione A tempo ha inizio con un crescendo di tremoli e arpeggi che portano alla ripresa del 1er tempo. L’opera si conclude con una riaffermazione potente (fff tutta forza) del materiale tematico iniziale, con un slargando finale su accordi di do minore.
L’elemento cromatico, specificamente la linea discendente del tema, è il filo conduttore dell’intera opera. Bizet lo esplora in innumerevoli modi: melodicamente, armonicamente, come figurazione, come colore. Il compositore dimostra una grande abilità nel variare il carattere di ogni sezione, passando da momenti di estrema delicatezza e lirismo a esplosioni di energia e drammaticità. Nonostante la varietà, l’opera mantiene una forte coesione grazie alla persistenza del materiale tematico (anche se trasformato) e al filo conduttore cromatico. La progressione delle variazioni crea un arco narrativo che culmina nella coda riassuntiva. Nel complesso, le Variations chromatiques sono un esempio significativo della scrittura pianistica di Bizet, che, sebbene più noto per le sue opere teatrali, ha lasciato pagine pianistiche di grande valore, caratterizzate da inventiva melodica, ricchezza armonica e brillantezza strumentale.

Del tutto dimenticate, le Variations chromatiques furono riscoperte da Glenn Gould, che le incise nel 1971; Gould considerava questa composizione di Bizet «uno dei pochissimi capolavori del repertorio per pianoforte emersi nel terzo quarto del diciannovesimo secolo».

Elogio della follia – IV

Antonio Salieri (1750 - 7 maggio 1825): 26 Variazioni sull’aria detta La Follia di Spagna per violino e orchestra (1815). Mirijam Contzen, violino; WDR Sinfonieorchester, dir. Reinhard Goebel.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Antonio Salieri: ascesa, successi e la leggenda nera di un maestro viennese

Origini e formazione (1750-1766)
Salieri nacque a Legnago nella famiglia del commerciante Antonio Salieri e della sua seconda moglie Anna Maria Scacchi. Il giovane mostrò un talento musicale precoce e fu istruito dal fratello maggiore Francesco (allievo di Tartini) e dall’organista del duomo Giuseppe Simoni. La famiglia subì un tracollo finanziario dal 1757, aggravato dalla morte della madre (1763) e del padre (1764). Salieri si trasferì prima a Padova presso il fratello Pietro e poi nel 1766 a Venezia sotto la protezione del nobile Giovanni Mocenigo. Qui studiò con Giovanni Battista Pescetti (basso figurato) e con Ferdinando Pasini (canto). Nello stesso anno, il compositore Florian Leopold Gaßmann, colpito dalle sue doti, lo portò con sé a Vienna.

Gli esordi viennesi e l’affermazione (1766-1777)
A Vienna, Salieri intraprese studi letterari e musicali, fu presentato all’imperatore Giuseppe II e frequentò Metastasio e Gluck. Il suo debutto operistico avvenne con Le donne letterate (1770). Egli stesso descrisse il suo metodo compositivo rapido, focalizzato sulla definizione delle tonalità e sulla pianificazione dei pezzi d’insieme, specialmente i finali d’atto, ai quali contribuì in modo significativo. Seguirono altre opere comiche su libretto di Boccherini (L’amore innocente, 1770; Don Chisciotte alle nozze di Gamace, 1771). Grazie ai contatti con Gluck, collaborò con Marco Coltellini per il dramma “riformato” Armida (1771) che ebbe successo ma non ebbe seguito immediato data la scarsa propensione per le opere serie da parte del pubblico viennese. Un’altra opera seria innovativa, Daliso e Delmita (1776), andò in scena con poca fortuna. Salieri ebbe invece grande successo nel genere comico con opere su libretti di vari autori (Petrosellini, Poggi, Goldoni, De Gamerra) tra il 1772 e il 1775, come La fiera di Venezia (1772) e La locandiera (1773), oltre al dramma eroicomico La secchia rapita (1772). La sua fama crebbe così tanto da permettergli di rifiutare un’offerta da Stoccolma. Alla morte di Gaßmann, due anni più tardi, gli succedette come direttore dell’opera italiana e compositore di camera, grazie all’appoggio imperiale. In questi anni compose anche la maggior parte della sua musica strumentale (concerti per pianoforte, organo, una sinfonia). Nel 1776 entrò nella Tonkünstler-Societät e l’anno successivo compose l’oratorio La passione di Gesù Cristo su testo di Metastasio, molto apprezzato dal poeta stesso.

Viaggi in Italia e nuove commissioni (1778-1783)
Con la chiusura temporanea della compagnia d’opera italiana a Vienna (1776), Salieri ottenne un lungo congedo per recarsi in Italia tra il 1778 e il 1780. A Milano, la sua opera Europa riconosciuta inaugurò il Teatro alla Scala il 3 agosto 1778, impressionando per la grandiosità scenica e la varietà musicale (come testimoniato da Pietro Verri). A Venezia presentò La scola de’ gelosi al Teatro San Moisè (Carnevale 1779). Compose il primo atto dell’opera Il talismano per la Canobbiana di Milano (agosto 1779). Fu a Roma per due stagioni (Carnevale 1779 e 1780) con due intermezzi e raggiunse Napoli con un invito per il San Carlo, ma dovette rinunciare per la scadenza del congedo. Tornato a Vienna, contribuì al teatro nazionale tedesco con Der Rauchfangkehrer (1781) e compose Semiramide per Monaco (Carnevale 1782).

Il periodo d’Oro Viennese: collaborazioni con Da Ponte e Casti (1783-1788)
Nel 1783, con la riapertura dell’opera italiana a Vienna voluta da Giuseppe II, Salieri riprese pienamente la propria attività. Collaborò con il nuovo poeta imperiale Lorenzo Da Ponte per Il ricco d’un giorno (1784), un dramma giocoso con elementi quasi tragici che però cadde, forse per la sua originalità. Salieri si rivolse allora a Giambattista Casti che scrisse per lui La grotta di Trofonio (1785), opera comica basata sulla magia e l’incantesimo, la cui prima fu ritardata da un’indisposizione del soprano Nancy Storace. Per celebrare la guarigione della cantante, Salieri, Mozart e Cornet musicarono un’ode di Da Ponte (Per la ricuperata salute di Ofelia K 477a, riscoperta nel 2015). Con Casti collaborò ancora per Prima la musica e poi le parole (dato insieme a Der Schauspieldirektor di Mozart, 1786) e per Cublai gran kan de’ Tartari (musicata tra 1786-88), opera satirica contro la corte russa che non fu mai rappresentata per ragioni diplomatiche.

Le commissioni parigine e il successo internazionale (1784-1787)
Parallelamente all’attività viennese, Salieri ricevette tre commissioni da Parigi. Les Danaïdes (1784) fu presentata inizialmente come una collaborazione con Gluck e la paternità esclusiva di Salieri fu rivelata solo dopo il grande successo. Les Horaces (1786) ebbe invece esito sfavorevole. Il riscatto arrivò con il trionfo di Tarare (1787). Quest’opera innovativa fondeva tragedia e commedia in un drame philosophique orientaleggiante ed egualitario, con musica strettamente legata alla parola, abolendo quasi i pezzi chiusi.

Ritorno a Vienna, Axur e fine della collaborazione con Da Ponte (1788-1790)
Giuseppe II volle Tarare a Vienna: Da Ponte ne curò la versione italiana, Axur, re d’Ormus (1788), attenuandone i contenuti ideologici e arricchendola di pezzi chiusi melodici. L’enorme successo di Axur riavvicinò Salieri e Da Ponte, collaborando per altre tre opere: Il talismano (rielaborazione, 1788), Il pastor fido (1789) e La cifra (1789). Salieri iniziò anche a musicare La scola degli amanti, ma abbandonò il progetto (divenne il Così fan tutte di Mozart) per ragioni ignote. La morte di Giuseppe II nel 1790 segnò la fine del favore sia per Salieri che per Da Ponte e pose termine alla loro collaborazione, non senza polemiche da parte del poeta.

Gli ultimi anni operistici, l’attività didattica e la musica sacra (1788-1804)
Dopo la morte dell’imperatore, Salieri si dimise da direttore dell’opera italiana ma mantenne la prestigiosa carica di maestro di cappella di corte (ottenuta nel 1788). Dopo un periodo difficile (il fallito tentativo di mettere in scena Catilina di Casti nel 1792), recuperò terreno grazie ai buoni rapporti con l’impresario Peter von Braun. Compose diverse opere tra il 1795 e il 1800, tra cui Palmira, regina di Persia (1795), Falstaff ossia Le tre burle (1799) e Angiolina (1800). La sua carriera teatrale si concluse sostanzialmente con Annibale in Capua per Trieste (1801) e il Singspiel Die Neger per Vienna (1804). Parallelamente, si dedicò alla musica sacra (messe, Te Deum) richiesta dalla sua carica e a composizioni celebrative per la monarchia asburgica. Intensificò l’attività didattica, avendo circa 70 allievi di canto e composizione, tra cui Beethoven, Schubert e, brevemente, Liszt.

Declino, la “leggenda nera” su Mozart e morte (1820-1825)
Intorno al 1820 iniziarono i segni del declino fisico, accentuatisi nel 1823 con disturbi mentali che portarono al ricovero. Durante questo periodo, si diffusero voci (riportate da Moscheles dopo una visita) che Salieri avesse confessato di aver avvelenato Mozart. Nonostante non vi fossero testimonianze dirette e nonostante le smentite, l’accusa ebbe eco sulla stampa europea. Puškin ne venne a conoscenza (forse tramite giornali parigini o la «Allgemeine musikalische Zeitung») e la utilizzò nel suo microdramma Mozart e Salieri (1831), poi musicato da Rimskij-Korsakov (1898), contribuendo a creare l’immagine, storicamente infondata, di un Salieri invidioso e assassino. Questa immagine fu ripresa nella biografia di Mozart di Ulybyšev (1843, pur senza l’accusa di avvelenamento) e rilanciata in tempi moderni dal dramma Amadeus di Peter Shaffer (1979) e dall’omonimo film di Miloš Forman (1984), fissandola nell’immaginario collettivo.

Analisi delle Variazioni sulla Follia
Le sue 26 Variazioni sull’aria detta La Follia di Spagna rappresentano un affascinante esempio di come un compositore del tardo Classicismo viennese si confrontasse con una delle più celebri e antiche basi armoniche e melodiche della musica europea. La Follia — di origini iberiche (probabilmente portoghesi) e diffusasi ampiamente sin dal Rinascimento — divenne un banco di prova prediletto per i compositori barocchi e continuò a ispirare anche in epoche successive. Salieri, noto principalmente come operista e figura centrale della vita musicale viennese, accoglie questa sfida con maestria orchestrale tipica della sua epoca, creando un lavoro ricco di contrasti timbrici e figurazioni brillanti.
Salieri presenta il tema della Follia in modo chiaro e maestoso, ma senza eccessiva pesantezza. L’incipit è affidato principalmente agli archi che espongono la melodia e la sequenza armonica fondamentale in re minore con un andamento moderato e un carattere quasi solenne, rispettando la tradizionale metrica ternaria. L’orchestrazione è trasparente, permettendo di percepire distintamente la progressione armonica, mentre la melodia, semplice e riconoscibile, è trattata con sobrietà, fungendo da chiara base per le successive trasformazioni. L’atmosfera è quella tipica del tema -– nobile e leggermente malinconica — ma con una intrinseca potenzialità drammatica che le variazioni esploreranno. Subito dopo l’esposizione del tema, Salieri avvia il ciclo di variazioni senza soluzione di continuità, lanciandosi immediatamente in un cambio di carattere.
Le prime quattro variazioni accelerano decisamente il tempo e introducono un’energia ritmica propulsiva. La struttura armonica della Follia rimane salda, ma la melodia tematica viene frammentata e incorporata in brillanti figurazioni degli archi, in particolare dei violini. Scale rapide, arpeggi e passaggi agili dominano la scrittura, mostrando la destrezza tecnica richiesta all’orchestra. La trama è prevalentemente omoritmica, con l’intera sezione degli archi impegnata a creare un tessuto sonoro denso e vivace.
A partire dalla variazione n. 5, Salieri inizia a sfruttare le risorse timbriche dell’orchestra classica in modo più differenziato. I fiati (legni) emergono dal tessuto orchestrale, proponendo proprie elaborazioni del materiale tematico o dialogando con gli archi.
Intorno alla variazione n. 14, il tempo rallenta significativamente e l’atmosfera si fa più intima e lirica. La melodia, pur elaborata, riacquista un carattere cantabile, spesso affidata a strumenti solisti (come l’oboe o il flauto) o alla sezione degli archi con un trattamento espressivo e legato. L’armonia della Follia, dilatata nel tempo, assume una profondità emotiva maggiore. Questa variazione lenta funge da centro espressivo del ciclo, offrendo un respiro contemplativo prima della ripresa dell’energia.
Dopo l’oasi lirica, le variazioni riprendono gradualmente velocità e complessità. La scrittura torna ad essere più virtuosistica, coinvolgendo nuovamente tutta l’orchestra. Salieri esplora diverse combinazioni strumentali, alternando passaggi brillanti degli archi a interventi incisivi dei fiati.
Le ultime variazioni (dalla 22 circa alla 25) sembrano costruire un climax progressivo. Il virtuosismo orchestrale è spinto ulteriormente, con passaggi rapidissimi, con un uso più marcato dei registri estremi e dinamiche più forti. L’interazione tra le diverse sezioni dell’orchestra diventa più serrata, creando un senso di accumulo energetico in preparazione della conclusione. La variazione n. 25 sembra avere un carattere particolarmente grandioso e affermativo.
L’ultima variazione offre una conclusione brillante e affermativa. L’intera orchestra è impiegata, con archi scintillanti e fiati incisivi. Non sembra esserci un ritorno esplicito al tema nella sua forma originale lenta, ma piuttosto una perorazione finale basata sulla struttura armonica della Follia, trattata in modo virtuosistico e conclusivo. La cadenza finale è forte e decisa in re minore, sigillando il ciclo con un senso di compimento formale ed energetico tipico dello stile classico.
Nel complesso, Salieri dimostra in queste Variazioni una notevole padronanza della scrittura orchestrale classica. La sua Follia è meno contrappuntistica rispetto ad alcuni modelli barocchi, concentrandosi maggiormente sulla varietà timbrica, sulle figurazioni brillanti e sui contrasti di carattere. L’armonia rimane sostanzialmente fedele alla tradizione, fungendo da solida impalcatura per l’invenzione melodica e ritmica.

25 aprile

Non lontano dalla mia abitazione, a Torino, c’è una via intitolata a Luigi Capriolo.
Luigi Capriolo? Carneade: chi era costui?
Bene, dovete sapere che la famiglia di mio padre è originaria di Cinzano, un paesino di campagna sito sulla collina torinese “esterna”, cioè al di fuori di quella che una volta era detta la cinta daziaria di Torino, a un’altitudine di circa 500 metri sul livello del mare e a poco meno di 20 chilometri dal capoluogo. Cinzano – che non ha niente a che vedere con il luogo in cui vengono prodotti i famosi vermouth omonimi – è noto per un castello, che in tempi recenti è stato trasformato in un condominio, e per poco altro: in sostanza, nei rari casi in cui se ne parla è perché è uno dei punti più elevati della collina torinese, esclusa ovviamente Superga.
Nel cimitero di Cinzano, poco lontano dalla tomba di mio padre, si trova un cippo che ricorda appunto Luigi Capriolo (1902 - 1944), un cugino entrato nella storia (locale) in quanto martire dell’antifascismo. Che cosa gli capitò?
Ebbene, Luigi Capriolo, che aveva subito aderito al Partito Comunista d’Italia (PCdI), fu ufficiale di collegamento fra le formazioni partigiane della Val di Lanzo e quelle della Val di Susa, nonché ispettore di comando delle brigate Garibaldi nella zona di Cuneo. Nel 1944 fu catturato dalle SS, che gli trovarono addosso i documenti di Pietro Sulis, garibaldino della Val di Lanzo: fu dunque scambiato per Sulis e torturato atrocemente per tre giorni, ma non si lasciò sfuggire una sillaba. E così fu poi impiccato, sempre scambiato per Sulis, il 3 agosto 1944 a Villafranca d’Asti.
Vabbe’, era un Capriolo, non poteva capitargli niente di meno astruso.

Alla memoria di Luigi Capriolo e di Pietro Sulis vorrei dedicare queste simpatiche variazioni per flauto solo sul tema di Bella ciao, opera di Umberto Galante, abilmente eseguite da Davide Giove.
Viva la libertà.

Elogio della Follia – III

La folía. Atrium Musicae de Madrid, dir. Gregório Paniagua.

  1. Fons vitae
    Dementia praecox angelorum
    Supra solfamirevt

  2. Extravagans
    Laurea minima
    In vitro

  3. Oratio pro-folia
    Fama volat
    Citrus – Hesperides

  4. Principalis . Fermescens
    Indica exacta
    Adverso flumine

  5. Parsimonia aristocraciae

  6. Subtilis
    De profundis – Extra muros

  7. Vulgaris – Sine populi notione
    Vagula et blandula

  8. Nordica et desolata
    Aurea mediocritas

  9. Nobilissima
    Degradans et corruptae

  10. De pastoribus
    Mathematica dies irae
    Crepuscularis
    Sine nomine
    Tristis est anima mea
    Equites fortis armaturae
    Audaces fortuna juvat
    Sine praeputium
    Ecclesiastica

  11. Theatralis et hipocritae
    Ruralis
    Alter indica perfecta

  12. De tolerentia aetherea
    Fuga ficta et carrus triumphalis

« I compositori che nel corso dei secoli diedero una propria interpretazione del tema della Folía non sempre si resero conto di quello che stavano facendo. Maturano come l’albero che non conosce la fretta, assorbono tutta la linfa vitale e accolgono con gioia i primi ardori della primavera, senza farsi sfiorare dal pensiero che potrebbero anche non vedere quella dell’anno successivo. Con l’arrivo della primavera sopraggiunge un dolce languore, come se davanti a loro si estendesse tutta l’eternità. A quel punto possono amare la loro Folía e la loro solitudine, rivestendo queste sensazioni di musica di rara bellezza » (Gregório Paniagua).

Un pensiero affettuoso per Luisa Zambrotta, che mi ha suggerito l’idea di creare questa pagina pubblicando una propria poesia dedicata al Cane di Goya.

Tema angloise & Variations

Karol Kurpiński (6 marzo 1785 –  1857): VI variations per pianoforte (1814). Tomasz Lupa.

  1. Introduction: Maestoso
  2. Tema Angloise [0:16]
  3. Variation 1 [0:57]
  4. Variation 2 [1:34]
  5. Variation 3 [2:15]
  6. Variation 4 [2:56]
  7. Variation 5: Minore, Un poco più lento [3:57]
  8. Variation 6: Alla polacca [5:14]
  9. Episode [6:15]
  10. Tempo I [7:33]

…et des châtaignes aussi

Anonimo: Mort et convoi de l’invincible Malbrough, ovvero Malbrough s’en va-t-en guerre. Le Poème Harmonique, dir. Vincent Dumestre.

Malbrough s’en va-t-en guerre,
    mironton, mironton, mirontaine,
Malbrough s’en va-t-en guerre,
Ne sait quand reviendra.

Il reviendra-z-à Pâques,
ou à la Trinité.

La Trinité se passe,
Malbrough ne revient pas.

Madame à sa tour monte
si haut qu’elle peut monter.

Elle voit venir son page,
tout de noir habillé.

Beau page, ah!, mon beau page,
quell’ nouvell’ apportez?

Aux nouvelles que j’apporte,
vos beaux yeux vont pleurer!

[Quittez vos habits roses,
et vos satins brodés!

Prenez la robe noire
et les souliers cirés.
]

Monsieur Malbrough est mort,
est mort et enterré.

L’ai vu porter en terre,
par quatre-z-officiers.

L’un portait sa cuirasse
l’autre son bouclier.

L’autre portait son grand sabre,
et l’autre ne portait rien.

A l’entour de sa tombe,
romarins l’on planta.

[Sur la plus haute branche
un rossignol chantait.
]

On vit voler son âme
au travers des lauriers.

Chacun mit ventre à terre
et puis se releva

pour chanter les victoires
que Malbrough remporta.

La cérémonie faite,
chacun s’en fut coucher.

Les uns avec leurs femmes,
et les autres tout seuls!

Ce n’est pas qu’il en manque,
car j’en connais beaucoup

des blondes et des brunes
et des châtaignes aussi.

J’ n’en dis pas davantage,
car en voilà-z-assez.


Fernando Sor (13 febbraio 1778 - 1839): Introduction et variations sur l’air Malbroug op. 28 (1827). Anders Miolin, chitarra.

Idillio e variazioni

Frank Bridge (1879 - 10 gennaio 1941): Allegretto poco lento, n. 2 dei Three Idylls per quartetto d’archi H 67 (1906). Maggini Quartet.


Benjamin Britten (1913 - 1976): Variations on a theme of Frank Bridge per orchestra d’archi op. 10 (1937). A Far Cry.

  1. Introduction [0:07]
  2. Theme [0:56]
  3. Variation 1: Adagio [1:58]
  4. Variation 2: March [4:18]
  5. Variation 3: Romance [5:28]
  6. Variation 4: Aria italiana [6:52]
  7. Variation 5: Bourrée classique [8:17]
  8. Variation 6: Wiener Walzer [9:37]
  9. Variation 7: Moto perpetuo [12:39]
  10. Variation 8: Funeral March [13:52]
  11. Variation 9: Chant [17:44]
  12. Variation 10: Fugue and Finale [19:20]

Bridge & Britten

The woods so wild

John Dowland (1563 - 1626): Can she excuse my wrongs, ayre, dal First Booke of Songes or Ayres (1597). Emma Kirkby, soprano; Anthony Rooley, liuto.

Can she excuse my wrongs with Virtue’s cloak?
Shall I call her good when she proves unkind?
Are those clear fires which vanish into smoke?
Must I praise the leaves where no fruit I find?
 No, no; where shadows do for bodies stand,
 That may’st be abus’d if thy sight be dim.
 Cold love is like to words written on sand,
 Or to bubbles which on the water swim.
Wilt thou be thus abused still,
Seeing that she will right thee never?
If thou canst not o’ercome her will,
Thy love will be thus fruitless ever.

Was I so base, that I might not aspire
Unto those high joys which she holds from me?
As they are high, so high is my desire,
If she this deny, what can granted be?
 If she will yield to that which reason is,
 It is reason’s will that love should be just.
 Dear, make me happy still by granting this,
 Or cut off delays if that I die must.
Better a thousand times to die
Than for to live thus still tormented:
Dear, but remember it was I
Who for thy sake did die contented.

Il testo – adattato a un tema di gagliarda: in qualche fonte, la versione strumentale del brano (qui) reca il titolo The Earl of Essexhis ] Galliard – fa forse riferimento alle vicende di Robert Devereux, 2° conte di Essex (1566-1601), che potrebbe essere l’autore dei versi. È probabile che sia da collegarsi a Robert Devereux la citazione della melodia tradizionale The woods so wild, da Dowland inserita nel terzo periodo, affidata a una voce intermedia (tenore; testo: Wilt thou be thus abused still ecc.): farebbe riferimento al fatto che il conte di Essex soleva ritirarsi in una casa di sua proprietà, sita nei boschi a nord-est di Londra.
The woods so wild è un ballad assai diffuso in epoca Tudor: pare che fosse par­ti­co­lar­mente caro a Enrico VIII. Variazioni sulla melodia si devono a William Byrd (riportate dal Fitzwilliam Virginal Book e dal My Lady Nevell’s Book) e a Orlando Gibbons.


William Byrd (c1540 - 1623): The Woods so Wilde, variazioni. Michael Maxwell Steer, clavicembalo.


Orlando Gibbons (1583 - 1625): The Woods so Wild, variazioni. Michael Maxwell Steer, clavicembalo.


Un’altra interpretazione del brano di Dowland, ove la parte che comprende la citazione della melodia tradizionale è eseguita con un flauto dolce. Karin Gyllenhammar, soprano; Mirjam-Luise Münzel, flauto; David Leeuwarden, liuto; Alina Rotaru, clavicembalo.

Dowland - Can she

Woodycock

Anonimo (XVII secolo): Woodycock, tratto dalla raccolta The English Dancing Master (1651, n. 15) di John Playford. Folger Consort.


Anonimo (XVII secolo): Divisions (variazioni) on Woodycock. Latitude 37 (Julia Fre­ders­dorff, violino barocco; Laura Vaughan, viol; Donald Nicolson, clavicembalo) e Genevieve Lacey, flauto dolce.


Giles Farnaby (c1563 - 1640): Wooddy-Cock (variazioni), dal Fitzwilliam Virginal Book (n. [CXLI]). Zsuzsa Pertis, clavicembalo.

Passus duriusculus

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750): Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen, cantata BWV 12 su testo di Salomo Franck (forse) e Samuel Rodigast (n. 7); eseguita per la prima volta a Weimar il 22 aprile 1714. Paul Esswood, contraltista; Kurt Equiluz, tenore; Max van Egmond, basso; Tölzer Knaben­chor, dir. Gerhard Schmidt-Gaden; King’s College Choir Cambridge, dir. David Willcocks; Leon­hardt-Consort, dir. Gustav Leonhardt.

  1. Sinfonia: Adagio assai
  2. Coro: Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen [2:20]
  3. Récitativo: Wir müssen durch viel Trübsal [8:21]
  4. Aria: Kreuz und Krone sind verbunden [9:19]
  5. Aria: Ich folge Christo nach [15:45]
  6. Aria: Sei getreu, alle Pein [18:33]
  7. Corale: Was Gott tut, das ist wohlgetan [22:50]

Il basso ostinato del coro (n. 2) della cantata bachiana è costituito da una successione cromatica discendente di quattro note (passus duriusculus : secondo le convenzioni della retorica musicale, i cromatismi ascendenti o discendenti esprimono dolore). Su questo basso ostinato Franz Liszt compose un Präludium per pianoforte (R 23, 1859; dedicato a Anton Grigor’evič Rubinštejn) che qui possiamo ascoltare nell’interpretazione di Vladimir Horowitz:


In seguito, Liszt scrisse una serie di Variationen über den Basso continuo von J. S. Bachs Kantate «Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen» (R 24, anch’esse dedicate a A. G. Rubinštejn), composte sotto l’impressione della morte di Blandine Ollivier, la figlia che il musicista ungherese aveva avuto da Catherine-Adelaide Méran e che era defunta a Saint-Tropez l’11 settembre 1862. L’esecuzione che vi propongo è di Artur Aksenov:


Liszt rielaborò poi le variazioni in una versione organistica (R 382, dedicata a Alexander Wilhelm Gottschalg, organista e Kantor di Tiefurt), qui eseguita da Thibaut Duret all’organo Michel-Merklin-Kuyhn di Saint Louis de la Guillotière, a Lione:


Sette giorni con il granduca – mercoledì

Jan Pieterszoon Sweelinck (1562 - 1621): Ballo del granduca, variazioni SwWV 319 per strumento a tastiera, alcune delle quali sono forse di Samuel Scheidt (1587 - 1654), allievo di Sweelinck. Esegue Ton Koopman all’«organo Compenius» del Castello di Frederiks­borg.

Variazioni di bravura

Niccolò Paganini (1782 - 1840): Variazioni di bravura per violino e chitarra sul Capriccio in la minore per violino solo op. 1 n. 24. Scott St. John, violino; Simon Wynberg, chitarra.


Witold Lutosławski (1913 - 7 febbraio 1994): Wariacje na temat Paganiniego (Variazioni sopra un tema di Paganini) per pianoforte e orchestra (1977-78). Bernd Glemser, pianoforte; Narodowa Orkiestra Symfoniczna Polskiego Radia w Katowicach, dir. Antoni Wit.