Capriccioso

Camille Saint-Saëns (9 ottobre 1835 - 1921): Introduction et Rondo capriccioso in la minore per violino e orchestra op. 28 (1863). Itzhak Perlman, violino; New York Philharmonic orchestra, dir. Zubin Mehta.


Lo stesso brano nella trascrizione per due pianoforti di Claude Debussy. Jean-François Heisser e Georges Pludermacher.

Saint-SaënsCamille Saint-Saëns

DebussyClaude Debussy



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’Introduction et Rondo capriccioso in la minore per violino e orchestra è un’opera virtuosistica e profondamente espressiva che mette in risalto sia la bellezza melodica che la brillantezza tecnica del violino solista.
Originariamente, fu concepita come movimento finale di un’opera più ampia, ma poi divenne un pezzo autonomo, eseguito in “prima” assoluta a Parigi al Théâtre des Champs-Élysées il 4 aprile 1867. Primo esecutore e dedicatario del brano fu il violinista spagnolo Pablo de Sarasate, a quel tempo ancora agli inizi della sua carriera. Fu proprio a lui che il compositore si ispirò nella composizione del pezzo, inserendo al suo interno delle evidenti allusioni stilistiche spagnoleggianti.
Saint-Saëns aveva conosciuto il famoso compositore spagnolo già nel 1859, rimanendo subito stregato dal suo talento. In quell’anno, Sarasate gli aveva commissionato un concerto per violino, presentandolo al pubblico durante la prima dell’Introduction. Successivamente, il compositore francese dedicò al suo amico anche il Concerto n. 3 per violino e orchestra, il quale divenne uno dei più celebri pezzi del repertorio violinistico.

Il pezzo si articola in due sezioni principali: un’introduzione lenta e malinconica, seguita da un rondò vivace e capriccioso.
L’introduzione si apre con l’indicazione di tempo Andante malinconico e, fin dalle prime note, si percepisce un’atmosfera di profonda introspezione e tristezza.
Il violino solista entra quasi subito dopo il breve accordo d’orchestra, stabilendo la tonalità di impianto. La melodia è frammentata, con note lunghe e sospese, seguite da brevi, struggenti frasi discendenti. L’accompagnamento orchestrale, appena percettibile, è fornito dagli archi con accordi tenuti, creando un sottofondo etereo che non compete mai con la voce del solista.
La melodia si sviluppa con maggiore fluidità, introducendo passaggi con doppie corde che aggiungono densità e risonanza al suono del violino. L’orchestra rimane un tappeto sonoro, tessendo armonie che sostengono la linea melodica principale. Pur mantenendo il carattere malinconico e il tempo lento, iniziano ad apparire figure più complesse e arpeggiate: questi non sono ancora sfoggi di virtuosismo, ma piuttosto ornamentazioni espressive che arricchiscono il discorso musicale.
La musica raggiunge un punto culminante emotivo e la melodia si innalza a registri più acuti, con un aumento dinamico che passa dal piano al mezzoforte e oltre. I passaggi si fanno più densi e appassionati, caratterizzandosi per la presenza di rapide scale e arpeggi ascendenti e discendenti. L’orchestra risponde con maggiore partecipazione, fornendo un supporto armonico più robusto.
Dopo il climax, la musica si placa gradualmente. Il violino rallenta, scendendo a figure più sommesse e frammentate. Questo segmento funge da transizione, preparando l’ascoltatore per il contrasto netto che seguirà. La melodia si dissolve quasi in un sospiro, creando un’aspettativa risolutiva per l’ingresso del Rondò.
Quest’ultimo è caratterizzato dall’indicazione Allegro ma non troppo e segna un cambiamento radicale di atmosfera, con un’esplosione di energia e vivacità, spesso associata a ritmi spagnoleggianti.
Con un’entrata improvvisa e brillante, il violino attacca il tema principale, un motivo ritmico, incisivo e altamente virtuosistico in la minore. Il carattere “capriccioso” del titolo è immediatamente evidente e l’orchestra fornisce un accompagnamento staccato e ritmicamente propulsivo, supportando il violino senza mai offuscarlo. La dinamica è vivace, quasi ininterrottamente forte.
Segue un momento di leggero contrasto, sebbene l’energia generale rimanga alta. La melodia si fa più cantabile e si alternano scale rapide e frasi più ampie ed espressive, spesso con doppie corde e arpeggi veloci. La tonalità tende a spostarsi verso il maggiore, donando un carattere più brillante rispetto al tema principale.
Questo riappare, ancora più brillante e virtuosistico, seguito da un secondo episodio di marcato contrasto. Il tempo rallenta e la tonalità si sposta definitivamente verso il maggiore. La melodia è lirica e sentimentalmente romantica, quasi una serenata spagnola. L’orchestra crea un sottofondo caldo e armonioso.
Un breve passaggio ripristina l’energia e la tensione, con figure ascendenti e discendenti che conducono al ritorno del tema principale, il quale si ripresenta con rinnovato vigore, ulteriormente elaborato e più complesso. Segue il terzo episodio, una sezione di estremo virtuosismo che porta il solista al limite delle sue capacità. Si assiste a un moto perpetuo di scale rapidissime, arpeggi spezzati, salti di corda e picchettati volanti. Questa sezione è un vero tour de force per il violinista e l’orchestra accompagna con brevi e potenti staccati che sottolineano il ritmo frenetico.
Il tema principale del Rondò fa la sua ultima apparizione, più esaltante e trionfale che mai. Il ritmo accelera ulteriormente e la dinamica aumenta, portando la musica a una conclusione grandiosa. Seguono brevi e intense sezioni virtuosistiche, concludendo con una coda che rappresenta la celebrazione finale del virtuosismo e dell’energia. Il violino solista e l’orchestra si uniscono in una serie di passaggi brillanti, scale ascendenti e accordi potenti. Perlman conclude con una serie di note acute e fortissimo, terminando il pezzo con una sferzante e definitiva cadenza finale.

Nel complesso, la composizione non è solo un brano virtuosistico, ma anche un’opera di grande profondità emotiva e ricchezza melodica. La sua struttura contrastante, con un’apertura quasi meditativa che lascia il posto a una danza spagnola travolgente, lo rende un pezzo affascinante e un pilastro del repertorio violinistico.

L’ineludibile do

Percy Grainger (8 luglio 1882 - 1961): The Immovable Do per armonio (1941). Artis Whodehouse.


Il medesimo brano in un adattamento per banda di Joseph Kreines. Philharmonic Winds, dir. Robert Casteels.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Il suono della libertà: genio e sregolatezza di Percy Grainger

Grainger fu un compositore e pianista australiano la cui carriera fu segnata da un talento prodigioso, un’incessante spinta all’innovazione e una personalità profondamente eccentrica e controversa. Dalla sua infanzia in Australia, segnata dall’influenza di una madre possessiva, fino al successo internazionale e agli esperimenti radicali della maturità, la sua è la storia di un artista che ha cercato per tutta la vita di liberare la musica dalle sue convenzioni.

Un’infanzia australiana tra talento e inquietudine
Percy Grainger nacque a Melbourne in una famiglia complessa: il padre John era un architetto inglese di talento, celebre per aver progettato il Princes Bridge di Melbourne, ma anche un alcolista e un donnaiolo che contagiò la moglie Rose con la sifilide. Questa situazione portò alla separazione, lasciando Percy sotto la completa e dominante influenza della madre. Ella era un’autodidatta che curò personalmente l’educazione del figlio, evitandogli la scuola formale (che frequentò per soli tre mesi a 12 anni, venendo bullizzato e ridicolizzato) e impartendogli una solida formazione. Fin da bambino, Percy mostrò un talento precoce sia per l’arte – tanto che i suoi tutori pensarono che il suo futuro potesse essere nella pittura – sia per la musica. La sua prima composizione nota, A Birthday Gift to Mother, risale al 1893. Sviluppò inoltre un profondo interesse per la cultura nordica, definendo la Saga di Grettir il Forte «la singola influenza artistica più forte della mia vita». Le sue prime esibizioni pubbliche a Melbourne furono un trionfo, tanto che la critica lo definì «il fenomeno dai capelli di lino che suona come un maestro». Questo successo, unito al consiglio del direttore del Conservatorio di Melbourne, convinse Rose a finanziare, tramite concerti di beneficenza, il trasferimento in Europa.

La formazione a Francoforte e la nascita di uno stile
Nel 1895 madre e figlio si trasferirono a Francoforte. Rose si dedicò all’insegnamento della lingua inglese, mentre Percy si iscrisse al prestigioso Conservatorio del Dr Hoch. Sotto la guida del pianista James Kwast divenne rapidamente un virtuoso, ma ebbe un rapporto difficile con il suo professore di composizione, Iwan Knorr. Preferì perciò studiare privatamente con Karl Klimsch, un compositore dilettante appassionato di musica folk, che Grainger onorò come «il mio unico insegnante di composizione». Fondamentale fu l’incontro con un gruppo di studenti britannici (Roger Quilter, Cyril Scott, Balfour Gardiner), con cui formò il «Gruppo di Francoforte», volto a emancipare la musica anglosassone dall’influenza tedesca. Scoprì la poesia di Rudyard Kipling, musicandola con una tale sintonia che Cyril Scott commentò: «Nessun poeta e compositore sono stati così adeguatamente uniti dai tempi di Heine e Schumann». Durante questi anni emersero anche aspetti più oscuri della sua personalità: sviluppò un’ossessione per il sesso e iniziò a praticare il sadomasochismo, tendenze che il biografo collega alla rigida disciplina impartitagli dalla madre. La permanenza di Grainger a Francoforte si concluse quando la madre ebbe un crollo nervoso, costringendo Percy a diventare l’unico sostentamento della famiglia e a trasferirsi a Londra per avviare la carriera di concertista.

Gli anni di Londra: affermazione come pianista e compositore
Trasferitosi nella capitale inglese nel 1901, Grainger divenne rapidamente un pianista acclamato. Fu introdotto nei salotti dell’alta società dalla sua mecenate Lillith Lowrey, con la quale ebbe una relazione sessuale che lui definì un «lavoro d’amore-servizio». Il suo debutto con l’orchestra avvenne nel 1902, quando suonò il Primo Concerto per pianoforte di Čajkovskij. Ebbe un rapporto controverso con Ferruccio Busoni, che gli offrì lezioni gratuite ma si aspettava «uno schiavo disposto e un discepolo adorante», ruolo che Grainger rifiutò. Due incontri furono decisivi: il primo fu quello con Frederick Delius, con il quale strinse un’amicizia profonda, al punto da cedergli il suo arrangiamento del canto popolare Brigg Fair, che Delius trasformò nella sua celebre rapsodia orchestrale, dedicandola a Grainger; il secondo, con Edvard Grieg, fu folgorante: il compositore norvegese, sentendolo suonare le sue Danze contadine norvegesi, esclamò: «Arriva questo australiano che le suona come dovrebbero essere suonate! È un genio». La loro breve ma intensa collaborazione a Troldhaugen, la casa di Grieg in Norvegia, fu interrotta dalla morte del maestro, ma Grainger divenne il più grande promotore della musica dell’amico scomparso. Parallelamente, si dedicò alla raccolta di canti popolari, diventando uno dei primi a usare il fonografo Edison per registrare oltre 200 cilindri. Da questo materiale nacquero lavori come Mock Morris e Shepherd’s Hey. Il successo di Grainger come compositore culminò nei concerti del 1912, dove una sua opera per «Fathers and Daughters» fu eseguita da una stravagante orchestra di trenta chitarre e mandolini.

La svolta americana: apice, fama e tragedia
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Grainger si trasferì in America, una decisione che gli alienò molte amicizie in Gran Bretagna, dove il critico Robin Legge lo accusò di codardia. Sebbene la ragione ufficiale fosse la salute della madre, in seguito Grainger ammise di aver voluto affermarsi come il primo grande compositore australiano, un obiettivo che la morte in guerra avrebbe reso irraggiungibile. Negli Stati Uniti si arruolò come sassofonista nella banda dell’esercito e, durante questo periodo, il suo arrangiamento per pianoforte di Country Gardens gli procurò un grandissimo successo, anche se poi Grainger finì per detestarlo.
La sua carriera raggiunse l’apice: rifiutò la direzione della Saint Louis Symphony Orchestra e si esibì persino nei cinema davanti a un pubblico vastissimo. Questo trionfo fu però segnato dalla tragedia: il 30 aprile 1922, la madre, afflitta da deliri e tormentata da un’accusa diretta di incesto da parte di un’amica, si suicidò gettandosi dal 18° piano dell’Aeolian Building a New York. La sua lettera d’addio, che s’iniziava con «Sono fuori di testa e non riesco a pensare correttamente», lasciò in Percy una ferita insanabile.

Tra le due guerre: eccentricità, matrimonio e nuove idee
Dopo la morte della madre, Grainger continuò a viaggiare, mostrando un’eccentricità crescente: correva sul palco in tenuta da ginnastica e saltava sopra il pianoforte. Sviluppò il blue-eyed English, un idioma “purificato” da influenze latine (es. blend-band per orchestra), e manifestò in privato rozze convinzioni sulla superiorità razziale nordica. Nel 1928 sposò l’artista svedese Ella Ström con una cerimonia pubblica all’Hollywood Bowl, durante la quale fu eseguita la sua composizione To a Nordic Princess. In questo periodo si dedicò all’insegnamento, tenendo alla New York University un ciclo di lezioni dal titolo Uno studio generale della natura molteplice della musica, durante il quale invitò Duke Ellington e la sua band per dimostrare le affinità armoniche con Delius.

L’innovatore radicale: musica libera e il Museo Grainger
L’ossessione degli ultimi decenni di Grainger fu la “musica libera” (Free Music). Convinto che le regole tradizionali fossero un «assurdo passo dell’oca», sognava una musica senza battute, con glissandi e curve tonali continue. «Mi sembra assurdo vivere nell’era del volo e non essere in grado di eseguire planate e curve tonali», scrisse. Ritenendo che quella musica non potesse essere eseguita da esseri umani, dedicò anni a costruire macchine sperimentali con il fisico Burnett Cross, utilizzando anche il theremin. Parallelamente, iniziò a finanziare il Grainger Museum a Melbourne: un archivio totale e spietatamente onesto della sua vita, concepito per contenere tutto, dalle partiture alle lettere, fino agli oggetti più privati come fruste e fotografie legate alla sua vita sessuale. Il museo, però, non aprì al pubblico durante la sua vita.

Il lungo declino e gli ultimi sforzi
Nel dopoguerra, Grainger sentiva un profondo senso di fallimento, scrivendo di sentirsi «schiacciato dalla sconfitta in ogni ramo della musica che ho tentato». La sua salute peggiorò a causa di un cancro addominale. Nonostante ciò, continuò a esibirsi, apparendo ai Proms di Londra nel 1948, dove suonò la sua musica e poi stette in piedi tra il pubblico per ascoltare Brigg Fair del suo amico Delius. La sua ultima visita in Australia nel 1955 fu amara: rifiutò l’istituzione di un festival a lui intitolato perché si sentiva respinto dalla patria, e depositò in una banca un pacco sulla sua vita sessuale da non aprirsi prima di 10 anni dalla sua morte. Nel suo testamento lasciò disposto che il suo scheletro fosse esposto nel museo, desiderio che non fu esaudito. Diede il suo ultimo concerto al Dartmouth College nell’aprile 1960, definendo la performance pomeridiana un “fiasco”.

L’eredità musicale: un pioniere inclassificabile
La musica di Grainger è unica e immediatamente riconoscibile: rifiutando le forme classiche, si specializzò in miniature orchestrali e corali. Fu un pioniere nell’orchestrazione (la sua opera The Warriors richiedeva un’orchestra enorme con diciannove pianoforti), nei ritmi irregolari e nell’uso di strumenti non convenzionali. Sviluppò una “partitura elastica” per ensemble di qualsiasi dimensione e, in opere come Random Round, introdusse elementi di casualità decenni prima delle avanguardie. Il direttore John Eliot Gardiner lo ha definito «un vero originale», la cui musica possiede una “trama” unica, che Grainger stesso classificava come «liscia», «granulosa» o «spinosa». Sebbene sia ricordato per melodie orecchiabili come Country Gardens, la sua vera eredità risiede nel suo spirito radicale, che lo rende uno degli innovatori più originali e inclassificabili del XX secolo.

The Immovable Do: analisi
Già il titolo rivela il cuore concettuale e strutturale dell’opera: fin dall’inizio, l’intera composizione è costruita attorno a una singola nota, un do, che rimane costantemente presente, fungendo da perno immutabile. L’interprete non tiene premuto il tasto con un dito, ma vi posiziona sopra un piccolo peso, trasformando l’idea astratta in una realtà fisica e visiva: il do è letteralmente reso “immobile” da un oggetto esterno, liberando le mani dell’esecutore per tessere complesse trame armoniche e melodiche attorno a esso. Questa nota funge da pedale ostinato (un suono tenuto a lungo) che attraversa l’intera composizione: non è semplicemente una nota di basso, ma si trova nel registro medio della tastiera, diventando il centro gravitazionale sonoro. Ogni armonia, ogni melodia, ogni dissonanza deve confrontarsi, fondersi o scontrarsi con la sua presenza ineluttabile.

L’opera ha inizio con il solo do immobile: è un momento di pura stasi, che stabilisce l’atmosfera e introduce l’elemento fondante. Vengono poi introdotti lentamente degli accordi diatonici e consonanti e la musica assume il carattere di un antico corale o di un inno. Le armonie si muovono con calma e solennità attorno alla nota perno, che a volte si integra perfettamente (come tonica) e altre volte crea una leggera tensione (come parte di altri accordi). L’atmosfera è meditativa e serena.
Successivamente la trama si anima con l’introduzione di ritmi più veloci e danzanti, quasi a ricordare una melodia popolare, un elemento caro al compositore. Le armonie si fanno più complesse e cromatiche e il do immutabile ora crea dissonanze pungenti e moderne contro gli accordi che si muovono rapidamente. Questo contrasto è il motore principale della tensione musicale.
La musica raggiunge il suo apice emotivo con un crescendo imponente e la tessitura diventa più densa e ricca, quasi orchestrale. Le armonie sono lussureggianti, di stampo tardo-romantico, ma sempre filtrate attraverso la lente della presenza costante del do, che impedisce alla musica di risolversi in modo convenzionale. Dopo il culmine, la musica inizia a frammentarsi e appaiono scale veloci e arpeggi che salgono e scendono, quasi come se l’energia accumulata si stesse dissipando in rivoli sonori. Le armonie si diradano e diventano più enigmatiche.
Il brano si conclude con un ritorno ciclico all’origine: gli elementi melodici e armonici vengono progressivamente eliminati, la dinamica si affievolisce in un lungo diminuendo. L’ultima sezione ritorna alla semplicità del corale iniziale, ma in modo ancora più scarno. Alla fine, rimane solo il suono solitario e persistente dell’immobile do, che si spegne lentamente fino al silenzio, lasciando l’ascoltatore con un senso di eternità e sospensione.
The Immovable Do si rivela un perfetto esempio dello stile unico di Grainger, fondendo elementi apparentemente contraddittori:
– tonalità e atonalità: il brano è saldamente ancorato a un centro tonale (il do), ma le armonie che vi si muovono contro spesso sfidano la tonalità tradizionale, creando effetti politonali (sovrapposizione di tonalità diverse) e cluster dissonanti;
– arcaismo e modernismo: l’uso di un pedale ostinato e di armonie modali simili a un corale evoca la musica antica dell’epoca rinascimentale e medievale. Allo stesso tempo, le asprezze cromatiche e le complesse tessiture ritmiche proiettano il brano nel pieno modernismo del XX secolo:
– meditazione filosofica: al di là dell’esperimento tecnico, il brano assume una valenza quasi filosofica: il do immutabile può essere interpretato come un simbolo della costanza, dell’eternità o di una verità fondamentale, mentre le complesse e mutevoli armonie rappresentano il caos, la bellezza e la transitorietà della vita che si svolge attorno a quel centro immutabile.

Nel complesso, The Immovable Do si qualifica non come un mero e semplice esercizio, ma come una composizione di profonda originalità e forza espressiva. È una meditazione sonora sulla stasi e sul movimento, sulla consonanza e la dissonanza, trovando nell’armonio il suo veicolo ideale per esprimere una gamma dinamica e timbrica straordinariamente ricca e sfumata.

Grainger

Come l’arpa

Giovanni Pierluigi da Palestrina (c1525 - 1594): Sicut cervus, 2a pars Sitivit anima mea, mottetto a 4 voci (1584); testo desunto dal Salmo XLII (41), versetti 1-3. Coro da camera del Collegium Musicum Almae Matris dell’Università di Bologna, dir. Enrico Lombardi.

Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus.
Sitivit anima mea ad Deum fortem vivum: quando veniam et apparebo ante faciem Dei?
Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie: Ubi est Deus tuus?


Grazie a Luís Henriques e al suo bellissimo sito, ho scoperto una vera chicca: il capolavoro di Palestrina in una versione per due arpe, interpreti Laura Puerto e Manuel Vilas:



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’anelito dell’anima: il Sicut cervus di Palestrina tra fede e musica

Il mottetto Sicut cervus è una delle composizioni più celebri e amate di Giovanni Pierluigi da Palestrina, maestro indiscusso della polifonia rinascimentale. Il testo esprime il profondo anelito dell’anima verso Dio, un tema che Palestrina traduce in musica con straordinaria sensibilità e maestria contrappuntistica.

Siamo nel pieno Rinascimento maturo, e lo stile di Palestrina incarna l’ideale di chiarezza, equilibrio e serena spiritualità promosso dalla Controriforma. La sua musica è caratterizzata da:
– linee melodiche fluide: prevalentemente per gradi congiunti, con salti melodici attentamente preparati e risolti, creando la famosa “curva palestriniana”;
– armonia prevalentemente consonante: le dissonanze sono trattate con estrema cura, principalmente come ritardi, note di passaggio o di volta, sempre preparate e risolte dolcemente;
– chiarezza testuale: nonostante la complessità polifonica, il testo rimane generalmente intelligibile;
– equilibrio tra le voci: nessuna voce predomina in modo eccessivo; tutte contri­bui­scono alla tessitura complessiva;
– tecnica imitativa: l’imitazione tra le voci è uno dei principali procedimenti costruttivi.

Il mottetto ha inizio con un’entrata imitativa. Il tenor intona per primi il motivo ascendente sulle parole “Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum“, un disegno melodico semplice e sereno. A breve distanza di tempo entrano l’altus una 5ª sopra, il cantus (soprano) un’8ª sopra il tenor e infine il bassus un’8ª sotto, ciascuno riprendendo il motivo iniziale in imitazione non rigorosa.
Sulle parole “desiderat ad fon[tes]” la melodia si sviluppa verso l’acuto, sottolineando il senso di anelito. Sulla parola “aquarum” la melodia è invece caratterizzata da un movimento che può evocare il fluire dell’acqua, con melismi delicati e una tessitura che si mantiene trasparente. Le diverse voci si intrecciano mantenendo l’indipendenza lineare, ma concorrendo a un’armonia piena e consonante.
La seconda parte del versetto riprende musicalmente l’idea iniziale, con la frase “ita desiderat anima mea” che riecheggia l’anelito di “Sicut cervus desiderat“. Le parole “anima mea” ricevono spesso un trattamento espressivo, con linee melodiche che diventano più personali e interiori. Il culmine emotivo di questa prima parte si raggiunge su “ad te, Deus“: qui, la polifonia tende a convergere verso momenti di maggiore omoritmia o verso armonie particolarmente piene e affermative, creando un senso di arrivo e devozione. La cadenza che conclude la prima parte è chiara ma non definitiva, preparando l’ascoltatore alla continuazione.

La seconda parte s’inizia con un’energia leggermente diversa, forse più intensa, sulla parola “Sitivit“. Anche qui, le entrate sono imitative. L’espressione di “sete” è palpabile nelle linee melodiche che si protendono. “Ad Deum fortem vivum” è trattato con maggiore vigore; “fortem” e “vivum” sono sottolineate da armonie più robuste e da un ritmo leggermente più marcato. La domanda “quando veniam” introduce un elemento di attesa e interrogazione. Le linee melodiche presentano inflessioni ascendenti o ritardi armonici che riflettono l’incertezza e il desiderio.
Et apparebo ante faciem Dei” rappresenta il culmine del desiderio. Palestrina spesso costruisce un crescendo musicale corrispondente all’accrescersi dell’intensità testuale, utilizzando una scrittura più piena e talvolta più omoritmica per enfatizzare il momento dell’apparizione divina. La tessitura si fa densa e solenne.
Un cambio di atmosfera avviene con “Fuerunt mihi lacrymae meae“: la musica si fa più sommessa, riflessiva, quasi dolente. Le linee melodiche tendono a salire e l’armonia si tinge di sfumature più malinconiche. “Panes die ac nocte” esprime la costanza del dolore.
Su “Dum dicitur mihi quotidie” la musica assume un carattere più narrativo o declamatorio. La ripetizione di “quotidie” (ogni giorno) è sottolineata da motivi ritmici o melodici insistenti. La domanda finale, “Ubi est Deus tuus?” è il punto di massima tensione emotiva del mottetto, e Palestrina la tratta con grande intensità. Spesso le voci si uniscono in un grido polifonico, pieno di pathos e interrogazione. La dinamica cresce nuovamente e l’armonia presenta ritardi più pungenti per esprimere l’angoscia della domanda.
Palestrina spesso ripete le frasi testuali più significative per enfatizzarne il contenuto emotivo. La sezione finale del mottetto vede la ripresa di “Ubi est Deus tuus?” e altre frasi chiave. La conclusione del mottetto è particolarmente toccante e, dopo l’intensità della domanda, la musica si placa gradualmente. Le ultime iterazioni di “Deus tuus” sono spesso trattate con un progressivo diminuendo, con le voci che si diradano e le armonie che si semplificano, lasciando un senso di contemplazione, forse di speranza sommessa o di una domanda che rimane sospesa nell’etere.

Goldberg per archi

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750): Goldberg-Variationen BWV 988 (1741-45), tra­scri­zione per archi di Dmitrij Sitkoveckij. New European Strings Chamber Orchestra diretta dal trascrittore.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Le Variazioni Goldberg rivelate: il genio di Bach nella tras­fi­gu­razione per archi

Le Variazioni Goldberg rappresentano non solo un vertice della letteratura per tastiera, ma un’opera di tale profondità e ingegnosità da trascendere il suo strumento d’origine, prestandosi magnificamente a trascrizioni come quella per ensemble d’archi. Sebbene la storia del conte Keyserlingk e del giovane clavicembalista Johann Gottlieb Goldberg (allievo sia di Johann Sebastian Bach che di suo figlio Wilhelm Friedemann) sia affascinante e riportata dal primo biografo di Bach, Forkel, alcuni studiosi moderni la ritengono parzialmente romanzata. Goldberg, all’epoca della pubblicazione (1741/42), avrebbe avuto solo 14 anni, un’età giovane per padroneggiare un’opera di tale difficoltà. Tuttavia, l’opera fu pubblicata come Clavier Übung / bestehend / in einer ARIA / mit verschiedenen Veraenderungen / vors Clavicimbal / mit 2 Manualen. / Denen Liebhabern zur Gemüths- / Ergetzung verfertiget von / Johann Sebastian Bach (“Esercizio per tastiera, consistente in un’ARIA con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali. Composto per gli amatori, per il ristoro del loro spirito, da Johann Sebastian Bach”). Questo titolo suggerisce un pubblico più ampio di "amatori" (intesi come conoscitori e praticanti esperti) e uno scopo che va oltre la semplice cura dell’insonnia, puntando al "ristoro dello spirito" attraverso la bellezza e la complessità musicale. Le Variazioni Goldberg costituiscono la quarta e ultima parte della Clavier-Übung di Bach, una serie di pubblicazioni che miravano a mostrare l’ampiezza delle sue capacità compositive per strumenti a tastiera, spaziando dalle Partite (I), al Concerto Italiano e Ouverture Francese (II), fino a preludi corali e fughe per organo (III). Le Goldberg sono, in questo senso, un culmine e una summa.

L’aria iniziale non è un tema melodico nel senso tradizionale, ma una sarabanda elegante e ornata, il cui vero "DNA" per le variazioni risiede nella sua linea di basso di 32 battute (divisa in due sezioni da 16, ciascuna ripetuta). Questa linea di basso, con la sua progressione armonica implicita, è il vero filo conduttore dell’intera opera. Le variazioni, invece, sono raggruppate in dieci cicli di tre. Ogni ciclo solitamente contiene una variazione di carattere (spesso danze stilizzate, arabeschi, invenzioni), una variazione brillante e virtuosistica, spesso per due manuali (nella trascrizione per archi si traduce in un dialogo serrato e incroci di linee tra gli strumenti) e un canone. Ogni terza variazione (3, 6, 9, 12, 15, 18, 21, 24, 27) è un canone a un intervallo progressivamente crescente: dalla variazione 3 (canone all’unisono) alla variazione 27 (canone alla nona). La linea di basso originale di solito accompagna liberamente i canoni. Bach esplora un vero e proprio "catalogo" di forme e stili:

  • Danze stilizzate: Giga (Var. 7), Sarabanda (l’Aria stessa, e Var. 13 e 25 che ne riecheggiano il carattere meditativo), Ouverture francese (Var. 16);

  • Fughetta: (Var. 10);

  • Invenzioni a due o tre voci: molte variazioni libere;

  • Toccata/Studi virtuosistici: variazioni come la 5, 14, 20, 23, 26, 29, che sul clavicembalo richiedono incroci di mani e grande agilità, trovano negli archi una nuova forma di virtuosismo, con passaggi rapidi, ampi salti e articolazioni precise distribuite tra i musicisti;

  • Variazioni di carattere lirico e cantabile: come la Var. 13 (Sarabanda) o la Var. 25 (spesso definita la "perla nera" per la sua intensità cromatica e patetismo);

  • La Variazione 30: Quodlibet: invece di un canone alla decima, Bach conclude la serie di variazioni con un "Quodlibet", una composizione che intreccia melodie popolari dell’epoca (Kraut und Rüben haben mich vertrieben: Cavoli e rape mi hanno scacciato via, e Ich bin so lang nicht bei dir g’west: È tanto tempo che non sono stato con te). Questo introduce un elemento di umorismo e umanità prima del ritorno all’aria.

  • Aria da capo: la ripresa finale dell’Aria iniziale, immutata, chiude il cerchio. Dopo il viaggio attraverso trenta trasformazioni, il ritorno all’origine assume un signi­fi­cato nuovo, di quiete contemplativa e completezza.

Oltre ai canoni, l’intera opera è un saggio di maestria contrappuntistica. Bach utilizza imitazioni, contrappunto invertibile, dialogo tra le voci in un tessuto polifonico sempre denso ma trasparente. L’arrangiamento per archi permette di assegnare singole linee melodiche a strumenti distinti, rendendo la tessitura ancora più chiara e godibile. Bach non si limita a decorare una melodia. Egli trasforma il materiale di base (il basso e le armonie implicite) attraverso:

  • Figurazione melodica: creazione di nuove linee melodiche sopra l’armonia;

  • Alterazione ritmica: modifica dei pattern ritmici;

  • Ricontestualizzazione armonica: sfumature armoniche, modulazioni a tonalità vicine;

  • Cambiamenti di tessitura: da poche voci a trame più dense;

  • Cambiamenti di carattere e tempo: da lento e meditativo a veloce e brillante.

Sebbene ancorato alla tonalità di sol maggiore, Bach esplora con audacia cromatismi e modulazioni, specialmente nelle variazioni in modo minore (15, 21, 25), che raggiungono una profonda intensità espressiva. Gli archi, con la loro capacità di intonazione precisa e di creare "colori" armonici attraverso il vibrato e la dinamica, sottolineano queste sottigliezze. Originariamente concepiti per i due manuali del clavicembalo (che permettevano incroci di mani senza che queste si scontrassero), questi passaggi richiedono grande agilità. Nella versione per archi, il virtuosismo si manifesta nella velocità dei passaggi, nella precisione dell’intonazione in posizioni elevate, negli staccati, nei balzi e nell’interazione sincronizzata dell’ensemble. La Var. 20, con i suoi rapidi arpeggi e scale, o la Var. 26 con i suoi ritmi sincopati e incroci, diventano sfide esaltanti per un ensemble d’archi.

Le Variazioni Goldberg sono un perfetto equilibrio tra rigore intellettuale e profonda espressività emotiva. La complessità strutturale e contrappuntistica non è mai fine a sé stessa, ma serve a creare un universo sonoro di straordinaria ricchezza e varietà. L’ascolto delle Goldberg è spesso descritto come un viaggio, un percorso che parte dalla serena contemplazione dell’Aria, attraversa un caleidoscopio di umori, tecniche e caratteri, per poi ritornare, arricchito, al punto di partenza. Nonostante la loro origine barocca, le Variazioni Goldberg parlano un linguaggio universale, capace di toccare ascoltatori di ogni epoca e cultura. La loro perfezione formale e la loro profondità emotiva le rendono un’esperienza trascendente.

Gli archi offrono un sustain naturale delle note che il clavicembalo (strumento a corde pizzicate) non possiede. Questo permette di esaltare le linee melodiche lunghe e cantabili, conferendo loro maggiore calore e fluidità. Un ensemble d’archi (trio, quartetto, piccola orchestra da camera) offre una tavolozza timbrica più variegata rispetto al clavicembalo. Il dialogo tra violini, viola e violoncello (e contrabbasso, se presente) crea un gioco di colori e registri affascinante. In più, gli archi hanno una gamma dinamica molto più ampia e flessibile del clavicembalo, consentendo interpretazioni con maggiori sfumature, crescendo e diminuendo che possono sottolineare la struttura formale e l’espressione emotiva. Paradossalmente, sebbene il clavicembalo a due manuali sia eccellente per la chiarezza contrappuntistica, l’assegnazione di singole voci a strumenti ad arco distinti rende la trama polifonica ancora più trasparente e analiticamente percepibile, potendo "vedere" e sentire il dialogo tra gli strumenti.

Dmitrij Sitkoveckij

Ravel 150 – V

Maurice Ravel (7 marzo 1875 - 1937): Alborada del gracioso, n. 4 dei Miroirs per pianoforte (1906). Svjatoslav Richter.

L’alborada (ne abbiamo già incontrata una nel Capriccio di Rimskij-Korsakov) è una serenata che si fa alla mattina; corrisponde all’aubade francese e alla mattinata italiana, e ha forse origini medievali (l’alba dei trovatori provenzali).
Il gracioso è un personaggio comico del teatro spagnolo del Siglo de oro.

«Con Alborada del gracioso Ravel abborda un genere pittoresco d’altra specie rispetto agli episodi precedenti di Miroirs. La discorsività musicale è guidata dalla nervosa cadenza di un ritmo spagnolo; lo sviluppo della composizione è definito da una forma ben precisa, con scene di danza che si alternano al canto, a somiglianza della maggior parte dei pezzi che formano l’Iberia di Albéniz. In questa pagina, però, la valenza timbrica raveliana non ha nulla del languore sensuale o dell’evocazione nostalgica, tipici del musicista catalano, privilegiando per contro una asciuttezza di tocco, tra lo staccato e il martellato, che restituisce a meraviglia l’effetto delle strappate alle corde metalliche della chitarra, il crepitio ostinato delle nacchere, il battito cadenzato dei piedi dei ballerini. E anche l’amarezza malinconica della sezione centrale […] appare marcatamente stilizzata, prosciugata e ridotta ai suoi tratti essenziali, come un disegno a punta secca» (Alfred Cortot).


Lo stesso brano nella versione sinfonica completata da Ravel nel 1918. London Symphony Orchestra, dir. Claudio Abbado.
Un altro saggio magistrale di orchestrazione, arte in cui Ravel è impareggiabile.

Alborada del gracioso

Danserye – III

Ancora un arrangiamento per complesso di strumenti moderni di alcune danze tratte dal Terzo libriccino di musica… (Het derde musyck boexken…) pubblicato da Tielman Susato nel 1551; questa volta si tratta di una gradevole trascrizione per banda, opera di Patrick Dunnigan. University Of Texas Wind Ensemble, dir. Jerry Junkin.

  • La Mourisque
  • Bergerette [2:09]
  • Les quatre branles [4:36]
  • Faggott [7:20]
  • Den Hoboecken dans [8:14]
  • Ronde & Salterelle [10:14]
  • Ronde & Aliud [11:53]
  • Basse danse Mon désir [13:43]
  • Pavane La Battaille [15:54]

Trascrizioni: Liszt & Liszt

Franz Liszt (1811-1886): Les Préludes, poema sinfonico n. 3 S 97 (1848-54), da Alphonse de Lamartine. Deutsches Symphonie-Orchester Berlin, dir. Ferenc Fricsay.

Il testo di Lamartine che ha ispirato Liszt:
http://www.poetes.com/lamartine/preludes.htm


Lo stesso brano nella trascrizione (di Liszt) per due pianoforti S 638. Tami Kanazawa & Yuval Admony.

S 97

La superstizione porta sfortuna

Il pianista, matematico, filosofo, scrittore e prestigiatore statunitense Raymond Smullyan (1919 - 6 febbraio 2017) esegue il Preludio e Fuga in la minore BWV 543 di Johann Sebastian Bach nella trascrizione per pianoforte di Franz Liszt.
Smullyan, che all’epoca di questa interpretazione aveva all’incirca 88 anni, è l’autore del pensiero che dà il titolo al presente articolo; la frase era piaciuta molto anche a Umberto Eco, il quale la menzionò nel Pendolo di Foucault.

Bach-Liszt BWV 543

An Elizabethan Suite

Compositori elisabettiani vari: An Elizabethan Suite, 5 brani per strumento a tastiera trascritti per orchestra da sir John Barbirolli (2 dicembre 1899 - 1970). The Hallé Orchestra, dir. John Barbirolli; registrata a Lugano nel 1961.

  1. William Byrd: The Earl of Salisbury’s Pavane
  2. Anonimo: The Irishe Ho-hoane [1:57]
  3. Giles Farnaby: A Toye [3:37]
  4. Giles Farnaby: Giles Farnaby’s Dreame [4:45]
  5. John Bull: The King’s Hunt [6:10]

Allegro spirituoso – II

Georges Onslow (1784 - 3 ottobre 1853): Sinfonia n. 1 in la maggiore op. 41 (c1830). Sinfonieorchester des Norddeutschen Rundfunks, dir. Johannes Goritzki.

  1. Introduzione: Largo – Allegro spirituoso
  2. Adagio espressivo [12:35]
  3. Minuetto: Vivace [20:44]
  4. Finale: Vivace [26:32]

Onslow

In stile antico – V

Edvard Grieg (1843 - 4 settembre 1907): Fra Holbergs tid (Dai tempi di Holberg), «suite in stile antico» per pianoforte op. 40 (1884); composta per celebrare il bicentenario della nascita dell’umanista danese Ludvig Holberg. Torhild Fimreite.

  1. Praeludium
  2. Sarabande [3:09]
  3. Gavotte [7:40]
  4. Air [11:13]
  5. Rigaudon [17:15]

Grieg: Fra Holbergs tid, trascrizione per orchestra d’archi (1884-85). Berliner Phil­har­mo­ni­ker, dir. Herbert von Karajan.

  1. Praeludium
  2. Sarabande [3:02]
  3. Gavotte [7:18]
  4. Air [11:07]
  5. Rigaudon [16:58]

Grieg, op40

Cogli la rosa – I

Georg Friedrich Händel (1685 - 1759): «Lascia la spina», dall’oratorio Il trionfo del Tempo e del Disinganno HWV 46a (1707) su testo di Benedetto Pamphili. Mary Bevan, soprano; Academy of Ancient Music, dir. Christopher Bucknall.

Lascia la spina,
cogli la rosa;
tu vai cercando
il tuo dolor.

Canuta brina
per mano ascosa
giungerà quando
nol crede il cuor.


Georg Friedrich Händel: «Lascia ch’io pianga», dal II atto dell’opera Rinaldo HWV 7 (1711) su libretto di Giacomo Rossi. Patricia Petibon, soprano; Venice Baroque Orchestra.

Lascia ch’io pianga
mia cruda sorte
e che sospiri
la libertà.

Il duolo infranga
queste ritorte
de’ miei martiri
sol per pietà.


William Babell (1689/90 - 1723): «Lascia ch’io pianga» di Händel, trascrizione per clavicembalo eseguita da Erin Helyard.

Lascia ch'io pianga Händel: «Lascia ch’io pianga», manoscritto autografo (1711)

BWV 582 e trascrizioni

Johann Sebastian Bach (1685 - 28 luglio 1750): Passacaglia e Fuga in do minore BWV 582. Karl Richter, organo.


Trascrizione per pianoforte di Igor Žukov eseguita dal trascrittore.


Trascrizione per pianoforte di Krystian Zimerman eseguita dal trascrittore.


Trascrizione per orchestra di Ottorino Respighi. Royal Philharmonic Orchestra, dir. Andrew Litton.


Trascrizione per orchestra di Leopold Stokowski. International Festival Youth Orchestra diretta dal trascrittore.

BWV 582

Scherzo in re minore – II

Édouard Lalo (1823 - 22 aprile 1892): Trio n. 3 in la minore per violino, violoncello e pianoforte op. 26 (1880). Trio Parnassus.

  1. Allegro appassionato
  2. Presto [9:48]
  3. Très lent [14:17]
  4. Allegro molto [25:10]

Édouard Lalo: Scherzo in re minore per orchestra (1884); trascrizione del II movimento dell’op. 26. Orchestre de la Suisse Romande, dir. Ernest Ansermet.

Su temi di Offenbach

Manuel Rosenthal (1904 - 2003) Gaîté parisienne, balletto su musiche di Jacques Offenbach. Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo diretto dall’autore.
Il balletto, sceneggiato da Étienne de Beaumont e coreografato da Léonide Massine, fu presentato dalla compagnia del Ballet Russe de Monte-Carlo al Théâtre de Monte-Carlo il 5 aprile 1938. Per l’orchestrazione (per me insoddisfacente), Rosenthal si avvalse della collaborazione di Jacques Brindejont-Offenbach (1883 - 1956), figlio di Pépita, la terzogenita di Jacques Offenbach, e Prosper Brindejont.

  1. Ouverture (da La vie parisienne)
  2. Allegro moderato (da Mesdames de la Halle)
  3. Polka (da Le voyage dans la lune)
  4. Ländler (da Lieschen et Fritzchen)
  5. Mazurka (da La vie parisienne)
  6. Valse (da La vie parisienne)
  7. Entrée du Brésilen (da La vie parisienne)
  8. Polka (da La belle Hélène)
  9. Valse (da Orphée aux enfers)
  10. Marche (da Tromb-al-Cazar)
  11. Valse (da La vie parisienne)
  12. Entrée du Brésilien (da La vie parisienne)
  13. Valse (da Les contes d’Hoffmann)
  14. Duel (brano di Rosenthal)
  15. Valse (da La Périchole)
  16. Prelude au Can-Can (brano di Rosenthal)
  17. Can-Can Scène 1 (da Orphée aux enfers e Robinson Crusoe)
  18. Can-Can Scène 2 – Polka (da Orphée aux enfers)
  19. Can-Can Scène 3 (da La vie parisienne)
  20. Can-Can Scène 4 (da Orphée aux enfers, La vie parisienne e Les contes d’Hoffmann)

Manuel Rosenthal

Variazioni di bravura

Niccolò Paganini (1782 - 1840): Variazioni di bravura per violino e chitarra sul Capriccio in la minore per violino solo op. 1 n. 24. Scott St. John, violino; Simon Wynberg, chitarra.


Witold Lutosławski (1913 - 7 febbraio 1994): Wariacje na temat Paganiniego (Variazioni sopra un tema di Paganini) per pianoforte e orchestra (1977-78). Bernd Glemser, pianoforte; Narodowa Orkiestra Symfoniczna Polskiego Radia w Katowicach, dir. Antoni Wit.


Bethlehem Down

Peter Warlock (pseudonimo di Philip Heseltine; 1894 – 17 dicembre 1930): Bethlehem Down, carol per coro a 4 voci (1927) su testo Bruce Blunt (1899 – 1957). Coro del King’s College di Cambridge.

«When He is King we will give Him a King’s gifts,
Myrrh for its sweetness, and gold for a crown,
Beautiful robes», said the young girl to Joseph,
Fair with her first-born on Bethlehem Down.

Bethlehem Down is full of the starlight,
Winds for the spices, and stars for the gold,
Mary for sleep, and for lullaby music,
Songs of a shepherd by Bethlehem fold.

When He is King they will clothe Him in grave-sheets,
Myrrh for embalming, and wood for a crown,
He that lies now in the white arms of Mary,
Sleeping so lightly on Bethlehem Down.

Here He has peace and a short while for dreaming,
Close-huddled oxen to keep him from cold,
Mary for love, and for lullaby music,
Songs of a shepherd by Bethlehem Down.


Lo stesso brano nella trascrizione per orchestra d’archi realizzata nel 2002 da Philip Lane (1950-). Royal Ballet Sinfonia, dir. Gavin Sutherland.


Nella notte oscura

Alma Maria Schindler, nota anche come Alma Mahler Werfel (1879 - 11 dicembre 1964): Laue Sommernacht, Lied su testo di Otto Julius Bierbaum (talvolta erroneamente attribuito a Gustav Falke). Angelika Kirchschlager, mezzosoprano; Helmut Deutsch, pianoforte.

Laue Sommernacht: am Himmel
Steht kein Stern, im weiten Walde
Suchten wir uns tief im Dunkel,
Und wir fanden uns.

Fanden uns im weiten Walde
In der Nacht, der sternenlosen,
Hielten staunend uns im Arme
In der dunklen Nacht.

War nicht unser ganzes Leben
Nur ein Tappen, nur ein Suchen-
Da: In seine Finsternisse
Liebe, fiel Dein Licht.

(Mite notte d’estate: non c’è stella nel cielo, nell’ampia foresta ci siamo cercati e ci siamo trovati.
Ci siamo trovati nell’ampia foresta nella notte senza stelle, stupefatti ci siamo tenuti fra le braccia nella notte oscura.
Tutta la nostra vita non era che un cercare, un brancolare. Là, nella sua oscurità, amore, è caduta la tua luce.)


Lo stesso Lied nell’orchestrazione di Jorma Panula. Lucie Ceralová, mezzosoprano; Norddeutsche Philharmonie, dir. Manfred Herrman Lehner.

Dall’Aragona alla Boemia

Michail Ivanovič Glinka (1804 - 1857): Capriccio brillante sopra la «jota aragonesa», ouverture spagnola n. 1 (1845). Orchestra Sinfonica di Stato dell’URSS, dir. Evgenij Fëdorovič Svetlanov (registrazione del 1969).


Franz Liszt (1811 - 1886): Rhapsodie espagnole S.254 (1858). Stephen Hough, pianoforte.


Ferruccio Busoni (1866 - 1924): trascrizione per pianoforte e orchestra della Rhapsodie espagnole di Liszt (1893). Joshua Pierce, pianoforte; Orchestra Filarmonica di Stato di Mosca, dir. Paul Freeman.


Fate attenzione al tema che si presenta al minuto 2:52 nella composizione di Glinka, all’8:14 in quella di Liszt e all’8:40 della trascrizione di Busoni.

In un testo del 1910 [1], così Busoni descrive la composizione di Liszt:

Questa Rapsodia spagnola consta di due parti che portano un nome (Folie d’EspagneJota aragonesa), cui fanno seguito un terzo tempo senza titolo e un finale.
Prima di tutto troviamo una cadenza a mo’ di preludio e delle variazioni su un tema lento di danza, tema che, a quanto pare, è di Corelli (…). Questa prima parte è in do diesis minore. La seconda parte, in re maggiore, presenta pure delle variazioni, questa volta su una vivace danzetta di otto battute, in ritmo di 3/8. (Anche Glinka l’ha usata in un pezzo per orchestra.)
Una nuova cadenza, che anticipa il tema, porta al terzo tempo, che è costruito sul tema che segue:
jota-posthorn(Incontriamo questo tema nella Terza Sinfonia di Mahler – come vi è arrivato?)

Buona domanda: come vi è arrivato? La melodia dovette compiere un lungo viaggio, dalla valle dell’Ebro alle foreste di Boemia, forse a bordo di una diligenza, insieme con un postiglione che, giunto al termine del percorso, la suonò con la sua cornetta per far danzare gli animali del bosco. I quali poi raccontarono ogni cosa a Gustav Mahler…


[1] Inserito nel programma di sala di un concerto diretto da Arthur Nikisch; ora, con il titolo Valore della trascrizione, in F. Busoni, Scritti e pensieri sulla musica, a cura di Luigi Dallapiccola e Guido Maggiorino Gatti, Milano, Ricordi 1954, pp. 27-30.

Danze romene

Béla Bartók (1881 - 26 settembre 1945): Román népi táncok (Danze popolari romene), versione originale per pianoforte Sz. 56, BB 68 (1915) eseguita da Lily Kraus (registrazione del 1938).

  1. Joc cu bâtă (Danza con il bastone; da Voiniceni/Mezőszabad): Allegro moderato
  2. Brâul (Danza della cintura; da Egres/Agriş): Allegro [1:09]
  3. Pe loc (Danza sul posto; da Egres): Andante [1:41]
  4. Buciumeana (Danza con bucium, corno delle Alpi; dal comitato di Torda-Aranyos): Moderato [2:27]
  5. Poargă românească (Polka romena; da Belényes/Beiuș): Allegro [3:14]
  6. Mărunţel (Minuzia, danza veloce; da Belényes): Allegro [3:44]

La medesima suite trascritta per piccola orchestra da Bartók, con la suddivisione dell’ultimo brano in due, Sz. 68, BB 76 (1917). Budapesti Fesztiválzenekar, dir. Iván Fischer.

  1. Joc cu bâtă
  2. Brâul [1:12]
  3. Pe loc [1:50]
  4. Buciumeana [2:51]
  5. Poargă românească [4:34]
  6. Mărunţel [5:05]
  7. Mărunţel (dal comitato di Torda-Aranyos): Allegro vivace [5:20]

BB

À ma dame importune

Claudin de Sermisy (c1490 - 1562): Las! je m’y plains, chanson a 4 voci (pubblicata in Trente et sept chansons musicales a quatre parties, 1528, n. 36). Ensemble «Clément Janequin».

Las! Je m’y plains, mauldicte soit fortune,
quant pour aimer je n’ai que desplaisir.
Venez, regretz, venez mon coeur saisir,
et le monstrez a ma dame importune.


Francesco Canova, detto Francesco da Milano, Francesco del Liuto e il Divino (18 agosto 1497 - 1543): Las! je m’y plains di Sermisy intavolata per liuto (1536). Valéry Sauvage.


RV 522 & BWV 593

Antonio Vivaldi (1678 - 28 luglio 1741): Concerto in la minore per 2 violini, archi e continuo op. 3 (L’estro armonico, 1711) n. 8, RV 522. Ensemble Tafelmusik, dir. Jeanne Lamon.

  1. Allegro
  2. Larghetto e spiritoso [3:21]
  3. Allegro [6:15]

RV 522


Johann Sebastian Bach (1685 - 28 luglio 1750): Concerto in la minore per organo BWV 593, trascrizione del Concerto RV 522 di Vivaldi. Simon Preston.

  1. (Allegro)
  2. Adagio [4:28]
  3. Allegro [8:33]

BWV 593

Fryderyk & Pauline

Fryderyk Chopin (1810 - 1849): Mazurka in fa diesis minore op. 6 n. 1 (1830-31). Arthur Rubinstein, pianoforte.

Il tono popolareggiante è posto subito in evidenza, con la caratteristica terzina che inizia ciascuna semifrase del primo tema; questo consiste di due periodi, uguali nella prima metà e differenti nella seconda, ed è ripetuto cinque volte: la prima ripetizione è immediata, mentre alle succes­sive sono intercalati altri tre episodi, il secondo dei quali è una variante del primo. La struttura complessiva segue dunque lo schema AABAB’ACA. Nel tema A, all’inizio del secondo periodo è posta la didascalia «rubato»: questa indicazione ricorre in tutte le Mazurche delle prime raccolte, fino al secondo brano dell’op. 24.


Pauline Viardot-García (18 luglio 1821 - 1910): Plainte d’amour, sulla Mazurca op. 6 n. 1 di Chopin; testo di Louis Pomey. Marina Comparato, mezzosoprano; Elisa Triulzi, pianoforte.

Chère âme, sans toi j’expire,
Pourquoi taire ma douleur?
Mes lèvres veulent sourire
Mes yeux disent mon malheur.
Hélas! Loin de toi j’expire.

Que ma cruelle peine,
De ton âme hautaine
Désarme la rigueur.

Cette nuit dans un rêve,
Je croyais te voir;
Ah, soudain la nuit s’achève,
Et s’enfuit l’espoir.

Je veux sourire
Hélas! La mort est dans mon coeur.

Celebre mezzosoprano e compositrice, sorella della non meno famosa Maria Malibran, la Viardot fu allieva e amica di Chopin, che per lei nutrì sempre profonda stima e simpatia. Sembra che Fryderyk non disprezzasse affatto quel tipo di elaborazioni delle sue opere: alla Viardot espresse anzi il proprio gradimento. Pauline Viardot pubblicò due raccolte di Mazourkas de Chopin arrangées pour la voix, in tutto 12 brani, nel 1848.


NB: salvo diversa indicazione, i testi inseriti negli articoli dedicati a Chopin nel presente blog sono tratti dal volume Chopin: Signori il catalogo è questo di C. C. e Giorgio Dolza, Einaudi, Torino 2001.

Cambio della guardia in estate

Gustav Mahler (7 luglio 1860 - 1911): Ablösung im Sommer (Cambio della guardia in estate), Lied in la minore per voce e pianoforte (c1887-90); testo tratto dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn rielaborato da Mahler. Dietrich Fischer-Dieskau, baritono; Leonard Bern­stein, pianoforte (registrazione dell’8 novembre 1968).


Lo stesso Lied nella versione orchestrale di Harold Byrns. Bernd Weikl, baritono; Philharmonia Orchestra, dir. Giuseppe Sinopoli.

Kuckuck hat sich zu Tode gefallen
An einer grünen Weiden,
Kuckuck ist tot! Kuckuck ist tot!
Hat sich zu Tod’ gefallen!
Wer soll uns denn den Sommer lang
Die Zeit und Weil vertreiben?

Ei! Das soll tun Frau Nachtigall,
Die sitzt auf grünem Zweige;
Die kleine, feine Nachtigall,
Die liebe, süße Nachtigall!
Sie singt und springt, ist allzeit froh,
Wenn andre Vögel schweigen.

Wir warten auf Frau Nachtigall,
Die wohnt im grünen Hage,
Und wenn der Kukuk zu Ende ist,
Dann fängt sie an zu schlagen!

Il cucù è caduto, morto,
ai piedi di un verde salice,
Il cucù è morto! Il cucù è morto!
È caduto, morto!
Chi mai, per tutta la lunga estate,
ci aiuterà a far passare il tempo?

Ah! Ci penserà il signor usignolo
che sta sopra un verde ramo;
il piccolo, gentile usignolo,
il caro, dolce usignolo!
Canta e saltella, sempre allegro,
quando gli altri uccelli tacciono.

Aspettiamo il signor usignolo,
che abita in mezzo al verde,
e quando il cucù se ne sarà andato
comincerà a cantare!

Ablösung im Sommer

Shakespeariana – XXVII

Romeo and Juliet, a piano suite

Sergei Prokofiev (Sergej Sergeevič Prokof’ev; 1891 - 1953): 10 Pieces for piano from the ballet Romeo and Juliet / Десять пьес для фортепиано из балета Ромео и Джульетта op. 75 (1937). Igor Roma, piano.

  1. Folk Dance (Народный танец)
  2. Scene (Сцена) [3:53]
  3. Minuet (Менуэт) [5:20]
  4. Young Juliet (Джульетта-девочка) [8:33]
  5. Masks (Маски) [12:23]
  6. Montagues and Capulets (Монтекки и Капулетти) [14:37]
  7. Friar Laurence (Патер Лоренцо) [18:01]
  8. Mercutio (Меркуцио) [21:15]
  9. Dance of the Girls With Lilies (Танец антильских девушек) [23:15]
  10. Romeo and Juliet Before Parting (Ромео и Джульетта перел разлукой) [25:41]