La Galante

Johann Nepomuk Hummel (1778 - 17 ottobre 1837): La Galante, rondò brillante in mi bemolle maggiore per pianoforte op. 120 (1831). Martin Galling.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Johann Nepomuk Hummel: il ponte musicale dimenticato tra Classicismo e Romanticismo

Johann Nepomuk Hummel fu un eminente compositore, direttore d’orchestra e pianista austriaco, figura di spicco nel panorama musicale tra l’epoca classica e l’emergente romanticismo. La sua vita, ricca di incontri illustri e innovazioni, lo ha reso un ponte cruciale tra le due epoche. La sua musica giacque nell’oblio per gran parte del XX secolo, per poi essere riscoperta solo di recente.

Infanzia e formazione da Wunderkind
Nato a Bratislava (allora Presburgo, nell’impero asburgico), era figlio di Josef Hummel, direttore della Scuola imperiale di musica militare a Vienna e dell’orchestra del Teatro Schikaneder. Il suo talento precoce fu evidente: a soli 8 anni, impressionò Wolfgang Amadeus Mozart, il quale decise di curare personalmente la sua istruzione musicale. All’età di 9 anni Hummel debuttò in pubblico interpretando uno dei concerti di Mozart; più tardi intraprese una tournée europea con il padre, soggiornando per quattro anni a Londra, dove studiò con Muzio Clementi. In questo periodo, nel 1791, Joseph Haydn compose una Sonata appositamente per lui, che l’eseguì alla presenza del maestro, ricevendo una ghinea come ringraziamento.

Il ritorno a Vienna e le grandi amicizie
Mentre Hummel era ancora in tournée, lo scoppio della Rivoluzione francese lo costrinse a rientrare a Vienna, dove riprese gli studi con Johann Georg Albrechtsberger, Joseph Haydn e Antonio Salieri. Nella capitale asburgica conobbe Beethoven, suo compagno di studi sotto Haydn e Albrechtsberger: la loro fu un’amicizia fondata sul rispetto reciproco, seppur con alti e bassi. Hummel visitò Beethoven sul letto di morte e, dopo la sua scomparsa, partecipò al concerto commemorativo improvvisando al pianoforte, come richiesto dal genio di Bonn. Fu in quest’occasione che strinse amicizia con Franz Schubert, che gli dedicò le sue ultime tre sonate per pianoforte; tuttavia, l’editore, dopo la morte di entrambi, modificò la dedica in favore di Robert Schumann.

Carriera professionale e l’età d’oro di Weimar
La carriera professionale di Hummel fu ricca di prestigiose nomine. Nel 1804 divenne Konzertmeister, poi nel 1809 succedette a Haydn come Kapellmeister presso il principe Nicola II Esterházy a Eisenstadt. Dopo sette anni fu licenziato per negligenza; intraprese allora una tournée in Russia e in Europa, e nel 1813 sposò la cantante d’opera Elisabeth Röckel, dalla quale ebbe due figli. Hummel fu poi Kapellmeister a Stoccarda dal 1816 al 1818 e, dal 1819 fino alla morte, a Weimar. Quest’ultimo incarico fu il più significativo: Hummel trasformò la città in una delle capitali musicali d’Europa, invitando i migliori musicisti dell’epoca; divenne inoltre amico di Goethe e Schiller. Fu un precursore nell’istituzione di programmi pensionistici per musicisti (organizzando concerti di beneficenza) e un convinto sostenitore dei diritti d’autore, battendosi contro la pirateria intellettuale.

Il didatta e l’influenza stilistica
L’influenza di Hummel si estese ben oltre le sue composizioni. Il suo trattato in tre volumi Ausführliche theoretisch-practische Anweisung zum Piano-Forte-Spiel (Istruzioni dettagliate teoriche e pratiche per suonare il pianoforte, 1828) vendette migliaia di copie e introdusse innovazioni nelle diteggiature e nell’esecuzione degli abbellimenti, influenzando profondamente la tecnica pianistica tardo ottocentesca. Ebbe allievi illustri come Carl Czerny, Friedrich Silcher, Ferdinand Hiller, Sigismond Thalberg, Felix Mendelssohn e Adolf von Henselt. Anche Franz Liszt avrebbe voluto studiare con lui, ma a causa di problemi finanziari si rivolse invece a Czerny. L’impronta di Hummel è altresì evidente nelle prime opere di Fryderyk Chopin e Robert Schumann. In particolare, le somiglianze tra i concerti per pianoforte di Hummel (il terzo in si minore e il secondo in la minore) e quelli di Chopin sono tali da far escludere la mera coincidenza, suggerendo che Chopin, avendolo ascoltato in tournée e avendone tenuto i concerti nel proprio repertorio, ne sia stato fortemente influenzato. Analogamente, si ipotizza un’influenza dei Preludi op. 67 di Hummel sui 24 Preludi op. 28 di Chopin. Anche Schumann studiò le opere di Hummel, in particolare la Sonata op. 81.

Lo stile musicale e la produzione artistica
La musica di Hummel, pur mantenendo un legame con il Classicismo, si apre alla modernità. Opere come la Sonata in fa diesis minore op. 81 e la Fantasia op. 18 mostrano una chiara rottura con le strutture armoniche classiche e un’espansione della forma-sonata, evidenziando un approccio innovativo e audace. La filosofia musicale di Hummel è riassunta nel motto «godere del mondo dando gioia al mondo», riflettendo un’estetica non iconoclasta.
Hummel fu uno dei più grandi virtuosi del suo tempo al pianoforte, strumento per il quale compose la maggior parte delle proprie opere: otto concerti, dieci sonate, otto trii, un quartetto, due quintetti e due settimini. La sua produzione include anche un ottetto per fiati, sonate per violoncello e viola, un concerto e una sonata per mandolino, e il celebre Concerto per tromba in mi bemolle maggiore, oltre a musica per pianoforte a quattro mani, 22 opere, Singspiele, messe e altro. È degna di nota l’assenza di sinfonie nel suo catalogo, forse a causa della sua predilezione per il pianoforte o dell’incapacità di seguire le innovazioni beethoveniane in quel genere. Le sue interessanti trascrizioni per pianoforte e orchestra di concerti e sinfonie di Mozart, come il Concerto n. 20 e la Sinfonia n. 40, hanno riscosso un recente successo, grazie a moderne incisioni discografiche.

Gli ultimi anni, l’oblio e la riscoperta
Negli ultimi anni della sua vita, Hummel assistette all’ascesa di una nuova scuola di compositori e virtuosi romantici. La sua musica, caratterizzata da una tecnica impeccabile e un equilibrato classicismo, cominciò a passare di moda, messa in ombra da figure come Liszt e Meyerbeer. Pur avendo ridotto la proria attività compositiva, rimase molto rispettato fino alla sua morte, avvenuta a Weimar nel 1837. Massone come Mozart, lasciò parte del suo famoso giardino alla sua loggia.
Nonostante fosse una celebrità al momento della morte e la sua fama postuma sembrasse garantita, la musica di Hummel fu rapidamente dimenticata, in quanto ritenuta ormai superata. Anche durante la riscoperta del Classicismo all’inizio del XX secolo, Hummel fu ignorato, oscurato da Mozart (a differenza di Haydn, rivalutato più tardi). Tuttavia, grazie alle registrazioni disponibili e ai numerosi concerti dal vivo che oggi si tengono in tutto il mondo, si assiste a una crescente riscoperta e rivalutazione della sua musica, che sta infine ottenendo il riconoscimento che merita come figura-chiave nella storia della musica europea.

Il Rondò brillante in mi bemolle maggiore La Galante
Esempio paradigmatico dello stile maturo di Hummel, questo brano fonde l’eleganza formale del Classicismo con l’emergente predilezione romantica per il virtuosismo e l’espressività pianistica.

Si apre con un’introduzione pacata ma evocativa, caratterizzata da accordi arpeggiati che creano un’atmosfera sospesa, quasi un preludio alla vivacità che seguirà. È un momento di transizione che prepara l’ascoltatore all’entrata del tema.
Il tema principale, in mi bemolle maggiore, si caratterizza per la sua melodia aggraziata e la sua tessitura brillante. La mano destra è protagonista con fioriture e rapide scale ascendenti e discendenti, mentre la mano sinistra fornisce un accompagnamento ritmico e armonico costante, spesso arpeggiato, che sostiene la leggerezza del brano. Il carattere è allegro e “galante”, fedele al titolo, con un senso di eleganza salottiera tipica dell’epoca. Le dinamiche sono inizialmente moderate, suggerendo una conversazione musicale raffinata. Questa prima enunciazione è seguita da una ripetizione con lievi variazioni ornamentali, che ne rafforzano la memorabilità e il fascino, mantenendo la stessa vivacità e grazia.
Successivamente, il tema subisce una leggera elaborazione, con l’introduzione di figurazioni più complesse nella mano destra e un’armonia più ricca, sebbene ancora saldamente ancorata alla tonalità d’impianto. Questo sviluppo porta a una breve fase di transizione, che tocca fugacemente tonalità minori, aggiungendo un accenno di colore malinconico prima di preparare il terreno per l’episodio successivo.
Il primo episodio offre un contrasto melodico e tematico rispetto alla brillantezza del tema principale, con la melodia che diventa più cantabile e lirica, con frasi più distese e meno virtuosistiche, pur mantenendo un’eleganza intrinseca. La tonalità si sposta probabilmente verso la dominante (Si bemolle maggiore), creando un senso di apertura e serenità. La tessitura è leggermente più piena, con la mano sinistra che assume un ruolo più attivo, a volte presentando un contrappunto discreto o un accompagnamento più elaborato che dialoga con la mano destra. Questo episodio, sebbene meno “brillante” in termini di velocità, mostra la capacità di Hummel di creare momenti di squisita bellezza melodica. La ripetizione e lo sviluppo di questa sezione consolidano il suo carattere affabile e cantabile.
La musica quindi si anima nuovamente in una transizione energica, con passaggi scalari e arpeggi rapidi che ristabiliscono la tensione e l’anticipazione, culminando in un ritorno trionfale del tema principale. Questo è un momento chiave, in cui la melodia originale riappare con una vitalità rinnovata e un’ornamentazione ancora più ricca, quasi a riaffermare la sua centralità con maggiore enfasi.
Segue poi il secondo episodio, che rappresenta l’apice del “brillante” nel rondò. Questa sezione è spesso caratterizzata da un maggiore dinamismo, un’esplorazione armonica più audace e modulazioni che possono toccare tonalità più lontane, come la relativa minore (Do minore) o altre aree, per creare una maggiore tensione drammatica e un senso di avventura musicale. La tessitura si fa notevolmente più complessa: il pianista è chiamato a eseguire rapide successioni di scale, arpeggi estesi che coprono l’intera tastiera e passaggi a volte quasi improvvisati, che richiedono un’abilità tecnica eccezionale. È qui che il rondo dispiega appieno il suo carattere virtuosistico, con momenti di grande impatto sonoro e brillantezza esecutiva.
Dopo l’intenso sviluppo di quest’episodio, una transizione estesa e ben costruita prepara l’ascoltatore per l’ennesimo ritorno del tema principale, questa volta presentato con un’ulteriore amplificazione del virtuosismo, rendendolo ancora più sfarzoso e festoso.
A questo punto, Hummel introduce un’ulteriore sezione che funge da terzo episodio o sviluppo esteso. Questa sezione ha un carattere più esplorativo e quasi improvvisatorio, con intricate figurazioni che si snodano sulla tastiera, dimostrando la flessibilità della forma rondò nelle mani di Hummel. Il gioco dinamico e ritmico è sapientemente gestito per mantenere la narrazione musicale fluida e coinvolgente, con un crescendo di complessità tecnica e armonica.
Il culmine di questa fase culmina in una ripresa finale del tema principale, eseguita con la massima brillantezza e intensità, quasi a voler celebrare la melodia principale in tutta la sua gloria. Seguono poi passaggi di transizione che preparano per la coda finale del brano. Questa sezione conclusiva è caratterizzata da figurazioni virtuosistiche che consolidano la tonalità di impianto e da una serie di accordi finali che chiudono la composizione con un gesto energico e risoluto, lasciando un’impressione duratura di eleganza e bravura.

Nel complesso, il pezzo incarna pienamente la maestria del compositore nel genere, combinando melodie accattivanti, architettura formale chiara e un virtuosismo pianistico sfavillante. È un brano che, attraverso le sue sezioni contrastanti e la progressione della brillantezza, offre un viaggio musicale affascinante e una testimonianza del suo ruolo fondamentale nel passaggio tra il Classicismo e il primo Romanticismo.

vabenecosì
Carl Spitzweg (1808 - 1885):
Der Gutsherr (Der Hagestolz), c1847/49

Capriccioso

Camille Saint-Saëns (9 ottobre 1835 - 1921): Introduction et Rondo capriccioso in la minore per violino e orchestra op. 28 (1863). Itzhak Perlman, violino; New York Philharmonic orchestra, dir. Zubin Mehta.


Lo stesso brano nella trascrizione per due pianoforti di Claude Debussy. Jean-François Heisser e Georges Pludermacher.

Saint-SaënsCamille Saint-Saëns

DebussyClaude Debussy



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’Introduction et Rondo capriccioso in la minore per violino e orchestra è un’opera virtuosistica e profondamente espressiva che mette in risalto sia la bellezza melodica che la brillantezza tecnica del violino solista.
Originariamente, fu concepita come movimento finale di un’opera più ampia, ma poi divenne un pezzo autonomo, eseguito in “prima” assoluta a Parigi al Théâtre des Champs-Élysées il 4 aprile 1867. Primo esecutore e dedicatario del brano fu il violinista spagnolo Pablo de Sarasate, a quel tempo ancora agli inizi della sua carriera. Fu proprio a lui che il compositore si ispirò nella composizione del pezzo, inserendo al suo interno delle evidenti allusioni stilistiche spagnoleggianti.
Saint-Saëns aveva conosciuto il famoso compositore spagnolo già nel 1859, rimanendo subito stregato dal suo talento. In quell’anno, Sarasate gli aveva commissionato un concerto per violino, presentandolo al pubblico durante la prima dell’Introduction. Successivamente, il compositore francese dedicò al suo amico anche il Concerto n. 3 per violino e orchestra, il quale divenne uno dei più celebri pezzi del repertorio violinistico.

Il pezzo si articola in due sezioni principali: un’introduzione lenta e malinconica, seguita da un rondò vivace e capriccioso.
L’introduzione si apre con l’indicazione di tempo Andante malinconico e, fin dalle prime note, si percepisce un’atmosfera di profonda introspezione e tristezza.
Il violino solista entra quasi subito dopo il breve accordo d’orchestra, stabilendo la tonalità di impianto. La melodia è frammentata, con note lunghe e sospese, seguite da brevi, struggenti frasi discendenti. L’accompagnamento orchestrale, appena percettibile, è fornito dagli archi con accordi tenuti, creando un sottofondo etereo che non compete mai con la voce del solista.
La melodia si sviluppa con maggiore fluidità, introducendo passaggi con doppie corde che aggiungono densità e risonanza al suono del violino. L’orchestra rimane un tappeto sonoro, tessendo armonie che sostengono la linea melodica principale. Pur mantenendo il carattere malinconico e il tempo lento, iniziano ad apparire figure più complesse e arpeggiate: questi non sono ancora sfoggi di virtuosismo, ma piuttosto ornamentazioni espressive che arricchiscono il discorso musicale.
La musica raggiunge un punto culminante emotivo e la melodia si innalza a registri più acuti, con un aumento dinamico che passa dal piano al mezzoforte e oltre. I passaggi si fanno più densi e appassionati, caratterizzandosi per la presenza di rapide scale e arpeggi ascendenti e discendenti. L’orchestra risponde con maggiore partecipazione, fornendo un supporto armonico più robusto.
Dopo il climax, la musica si placa gradualmente. Il violino rallenta, scendendo a figure più sommesse e frammentate. Questo segmento funge da transizione, preparando l’ascoltatore per il contrasto netto che seguirà. La melodia si dissolve quasi in un sospiro, creando un’aspettativa risolutiva per l’ingresso del Rondò.
Quest’ultimo è caratterizzato dall’indicazione Allegro ma non troppo e segna un cambiamento radicale di atmosfera, con un’esplosione di energia e vivacità, spesso associata a ritmi spagnoleggianti.
Con un’entrata improvvisa e brillante, il violino attacca il tema principale, un motivo ritmico, incisivo e altamente virtuosistico in la minore. Il carattere “capriccioso” del titolo è immediatamente evidente e l’orchestra fornisce un accompagnamento staccato e ritmicamente propulsivo, supportando il violino senza mai offuscarlo. La dinamica è vivace, quasi ininterrottamente forte.
Segue un momento di leggero contrasto, sebbene l’energia generale rimanga alta. La melodia si fa più cantabile e si alternano scale rapide e frasi più ampie ed espressive, spesso con doppie corde e arpeggi veloci. La tonalità tende a spostarsi verso il maggiore, donando un carattere più brillante rispetto al tema principale.
Questo riappare, ancora più brillante e virtuosistico, seguito da un secondo episodio di marcato contrasto. Il tempo rallenta e la tonalità si sposta definitivamente verso il maggiore. La melodia è lirica e sentimentalmente romantica, quasi una serenata spagnola. L’orchestra crea un sottofondo caldo e armonioso.
Un breve passaggio ripristina l’energia e la tensione, con figure ascendenti e discendenti che conducono al ritorno del tema principale, il quale si ripresenta con rinnovato vigore, ulteriormente elaborato e più complesso. Segue il terzo episodio, una sezione di estremo virtuosismo che porta il solista al limite delle sue capacità. Si assiste a un moto perpetuo di scale rapidissime, arpeggi spezzati, salti di corda e picchettati volanti. Questa sezione è un vero tour de force per il violinista e l’orchestra accompagna con brevi e potenti staccati che sottolineano il ritmo frenetico.
Il tema principale del Rondò fa la sua ultima apparizione, più esaltante e trionfale che mai. Il ritmo accelera ulteriormente e la dinamica aumenta, portando la musica a una conclusione grandiosa. Seguono brevi e intense sezioni virtuosistiche, concludendo con una coda che rappresenta la celebrazione finale del virtuosismo e dell’energia. Il violino solista e l’orchestra si uniscono in una serie di passaggi brillanti, scale ascendenti e accordi potenti. Perlman conclude con una serie di note acute e fortissimo, terminando il pezzo con una sferzante e definitiva cadenza finale.

Nel complesso, la composizione non è solo un brano virtuosistico, ma anche un’opera di grande profondità emotiva e ricchezza melodica. La sua struttura contrastante, con un’apertura quasi meditativa che lascia il posto a una danza spagnola travolgente, lo rende un pezzo affascinante e un pilastro del repertorio violinistico.

Rondò preceduto da un’introduzione

Camille Pleyel (1788 - 4 maggio 1855): Rondeau précédé d’une Introduction in do minore-maggiore op. 2 (1817). Masha Dimitrieva, fortepiano.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Camille Pleyel: imprenditore, musicista, figura-chiave nella Parigi del XIX secolo

Camille Pleyel ha un ruolo di primaria importanza tanto nella storia della celebre manifattura di pianoforti che porta il suo cognome quanto nella brillante vita musicale parigina del XIX secolo. Il suo contributo si estese dalla guida imprenditoriale all’attività compositiva ed esecutiva, lasciando un’impronta duratura.
Nato a Strasburgo nel 1788, Camille crebbe in un ambiente fortemente musicale. Era figlio del celebre compositore, editore e costruttore di pianoforti austriaco Ignace Pleyel. Ricevette una solida formazione musicale fin da giovane, studiando pianoforte dapprima sotto la guida del padre, e successivamente perfezionandosi con maestri rinomati come Dussek, Steibelt e Desormy.
Iniziò la carriera come pianista concertista, ma il suo percorso lo portò progressivamente ad affiancare e poi a dirigere l’azienda di famiglia. L’impresa paterna, attiva nella produzione di pianoforti, operava dal 1815 sotto la denominazione «Ignace Pleyel et Fils aîné». A partire dal 1824, Camille assunse un ruolo sempre più centrale nella gestione dell’attività.
Sotto la sua guida, l’azienda consolidò e ampliò ulteriormente il proprio prestigio. Già fornitori del duca d’Orléans, nel 1829 Ignace e Camille furono congiuntamente nominati facteurs de pianos du roi. Con l’avvento della monarchia di luglio nel 1831, non solo conservarono la mansione, ma Camille ottenne anche la nomina a facteur de harpes du roi. Dopo la morte del padre, avvenuta alla fine dello stesso anno, Camille gli subentrò nell’incarico.
Un passo strategico fondamentale per rafforzare la qualità e la fama della fabbrica era stata, nel 1824, l’associazione di Camille con il celebre pianista Friedrich Kalkbrenner. Questa partnership mirava specificamente ad attrarre l’élite dei virtuosi e compositori dell’epoca. L’obiettivo fu pienamente raggiunto, portando artisti del calibro di Franz Liszt e Fryderyk Chopin a scegliere e promuovere i pianoforti Pleyel.
Per sostenere la musica, i suoi interpreti e i propri strumenti, Camille Pleyel fu un pioniere nella creazione di spazi performativi dedicati. Nel 1830 aprì un salone da concerto da 150 posti e, in seguito, inaugurò nel dicembre 1839 la prima vera e propria Salle Pleyel, un complesso più grande capace di ospitare 550 spettatori. Queste sale sono considerate gli illustri antenati dell’attuale Salle Pleyel di Parigi.
Particolarmente significativo fu il legame di Camille con Chopin. Pleyel non solo accompagnò il compositore polacco in alcuni viaggi, ma gli fornì anche un pianoforte durante il suo soggiorno a Majorca. Dal canto suo, Chopin espresse la propria altissima considerazione per gli strumenti Pleyel, definendoli il non plus ultra dei pianoforti.
Camille Pleyel fu anche un apprezzato pianista e compositore. La sua produzione musicale include un quartetto, tre trii per pianoforte, violino e violoncello, e un considerevole numero di rondò e fantasie per pianoforte solo.

Analisi del brano
Il Rondeau précédé d’une Introduction offre un interessante esempio dello stile compositivo di Pleyel, collocandosi stilisticamente tra il Classicismo e il primo Romanticismo. Il brano si articola in due sezioni nettamente contrastanti: un’Introduzione e un Rondò.
L’Introduzione mostra chiare influenze pre-romantiche o addirittura riconducibili al movimento Sturm und Drang. È caratterizzata da una tonalità di modo minore (do), armonie tese e cromatico-modulative che creano tensione e un senso di ricerca, conferendole un carattere drammatico, teso e leggermente meditativo, quasi fosse una fantasia. La dinamica parte da un livello contenuto ma accresce gradualmente l’intensità, culminando in un fortissimo prima della transizione. Il tempo è lento o moderato, con una certa flessibilità ritmica. La melodia si sviluppa attraverso progressioni e figure ascendenti/discendenti, mentre la tessitura evolve da accordi pieni a passaggi arpeggiati. L’Introduzione si conclude su un accordo di settima di dominante (Sol maggiore), preparando l’ingresso della parte successiva.
Il Rondò, in netto contrasto, è più saldamente ancorato al Classicismo, pur con un virtuosismo che anticipa il Romanticismo. Si distingue per la sua vivacità, brillantezza ed energia. Presenta una struttura ciclica (ABACA con coda) e un tema principale orecchiabile, caratterizzato da note ripetute e un ritmo incalzante e allegro. Il tempo è veloce, guidato da un ritmo costante e propulsivo. Gli episodi secondari offrono varietà melodico-ritmica, spesso con una tessitura più leggera basata su scale e arpeggi che mettono in risalto la tecnica. La dinamica è molto varia, con momenti più delicati negli episodi contrastanti e maggiore enfasi sui ritorni del tema principale e nella coda. La tessitura complessiva è prevalentemente omoritmica o con melodia accompagnata.
Nel complesso, il pezzo è un ottimo esempio della transizione stilistica dell’epoca, giustapponendo la drammaticità pre-romantica dell’Introduzione alla chiarezza formale alla brillantezza virtuosistica del Rondò classico-romantico.

Suoni di vetro

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791): Adagio e Rondò per Glasharmonika, flauto, oboe, viola e violoncello K 617 (23 maggio 1791). Bruno Hoffmann (15 settembre 1913 - 1991), Glasharmonika; Karl Heinz Ulrich, flauto; Helmut Hucke, oboe; Ernst Nippes, viola; Hans Plumacher, violoncello.

Bruno Hoffmann

Non più mesta

Gioachino Rossini (1792 - 1868): «Non più mesta accanto al fuoco», rondò dal II atto del melodramma giocoso La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo (1817). Cecilia Bartoli, mezzosoprano; Orchestra La Scintilla, dir. Ada Pesch.

Non più mesta accanto al fuoco
Starò sola a gorgheggiar, no.
Ah fu un lampo, un sogno, un gioco
Il mio lungo palpitar.


Henri Herz (6 gennaio 1803 - 5 gennaio 1888): Variazioni su «Non più mesta». Earl Wild, pianoforte.

Herz, Non piu' mesta

Il core amante

Maria Rosa Coccia (4 gennaio 1759 - 1833): «Dille pur che il core amante», aria (rondeau d’Achille) dalla cantata Ifigenia (1779). Jone Martínez, soprano; Orquesta Barroca de la Universidad de Salamanca, dir. e oboe Alfredo Bernardini.

Invito al valzer

Carl Maria von Weber (18 novembre 1786 - 1826): Aufforderung zum Tanz, rondò brillante per pianoforte op. 65, J 260 (1819); versione da concerto di Franz Liszt (1811 - 1886). Alexander Paley.


Lo stesso brano nella celebre orchestrazione (1841) di Hector Berlioz (1803 - 1869). Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan.


Zitti zitti

Gioachino Rossini (1792 - 1868): «Zitti zitti, piano piano», terzetto dal II atto dell’opera Il barbiere di Siviglia, o sia L’inutil precauzione (1816). Joyce DiDonato (Rosina), William Browning (Figaro), Patrick Greene (Almaviva).


Nicolas Bochsa (9 agosto 1789 - 1856): Rondo sur le trio «Zitti, zitti» du Barbier de Seville. Joel von Lerber, arpa.