A Rainbow In Curved Air (Terry Riley 90)

Terry Riley (24 giugno 1935): A Rainbow In Curved Air (1969).



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Terry Riley: il pioniere del minimalismo e l’eco infinita della sua musica

Terrence “Terry” Mitchell Riley è un compositore e interprete americano, riconosciuto universalmente come una figura chiave e pionieristica della scuola minimalista. La sua opera, profondamente influenzata dal jazz e dalla musica classica indiana, si distingue per l’uso innovativo della ripetizione, delle tecniche di musica su nastro (tape music), dell’improvvisazione e dei sistemi di delay. Tra i suoi lavori più celebri e influenti spiccano la composizione In C (1964) e l’album A Rainbow in Curved Air (1969), entrambi considerati pietre miliari del minimalismo e fonti d’ispirazione per la musica sperimentale, il rock e la musica elettronica contemporanea. Successivamente, in opere come Shri Camel (1980) Riley ha sperimentato il cosiddetto «temperamento giusto».

Formazione e influenze giovanili
Cresciuto a Redding, California, Riley iniziò a studiare composizione e a esibirsi come pianista solista negli anni ’50. Frequentò la San Francisco State University, il San Francisco Conservatory e l’University of California a Berkeley, studiando fra gli altri con Seymour Shifrin e Robert Erickson. Un incontro fondamentale fu quello con il compositore La Monte Young, le cui prime composizioni minimaliste basate su toni sostenuti lo influenzarono profondamente; insieme, i due eseguirono Concert for Two Pianists and Tape Recorders di Riley nel 1959-60. Riley divenne poi parte attiva del San Francisco Tape Music Center, collaborando con Morton Subotnick, Steve Reich, Pauline Oliveros e Ramon Sender. Negli anni ’60 viaggiò spesso in Europa, assorbendo influenze musicali diverse. Per un breve periodo (1965-66) collaborò anche con il Theatre of Eternal Music di Young a New York.

L’impronta della musica indiana e lo sviluppo artistico
L’influenza più significativa sulla sua musica fu quella del maestro di canto classico indiano Pandit Pran Nath (1918-1996) che fu mentore anche per La Monte Young, Marian Zazeela e Michael Harrison. Riley compì numerosi viaggi in India per studiare con Pran Nath, accompagnandolo spesso in concerto suonando tabla, tambura e cantando. Nel 1971, iniziò a insegnare musica classica indiana al Mills College. Oltre alla musica indiana, Riley cita John Cage e le «grandi formazioni cameristiche» di jazzisti come John Coltrane, Miles Davis, Charles Mingus, Bill Evans e Gil Evans tra le sue fonti d’ispirazione. Nel 2007 ha ricevuto un dottorato onorario in musica dalla Chapman University.

Tecniche compositive e innovazioni caratteristiche
La musica di Riley si basa frequentemente sull’improvvisazione attraverso serie di figure modali di diversa lunghezza, come dimostrato in opere quali In C e i Keyboard Studies (1964-66). Per esempio, In C (1964) consiste in 53 moduli musicali separati, ciascuno di circa una battuta e contenente un pattern musicale differente, tutti nella tonalità di do maggiore. Un esecutore mantiene un impulso costante di do al pianoforte, mentre gli altri musicisti (in numero e strumentazione variabili) eseguono i moduli seguendo alcune linee guida flessibili, creando intrecci sonori che evolvono nel tempo. La prima esecuzione vide la partecipazione di Steve Reich, Jon Gibson, Pauline Oliveros e Morton Subotnick. Già negli anni ’50, Riley sperimentava con i tape loops (nastri magnetici in loop), una tecnologia allora agli inizi. Successivamente, con l’aiuto di un ingegnere del suono, creò il time-lag accumulator, un sistema di delay a nastro. Un esempio precoce di utilizzo di tape loop è Music for the Gift (1963), che includeva la tromba di Chet Baker.
La tecnica del time-lag accumulator fu concepita e creata da Riley durante un soggiorno a Parigi e presentata per la prima volta nel 1968.

Opere iconiche e impatto duraturo
A Rainbow in Curved Air (1969), realizzato con tecniche di sovraincisione elettronica, ha avuto un impatto profondo sulla musica elettronica successiva. Ha ispirato, ad esempio, le parti d’organo di Pete Townshend in Won’t Get Fooled Again e Baba O’Riley degli Who (quest’ultima intitolata in omaggio a Riley e Meher Baba). Si ritiene che anche Tubular Bells di Mike Oldfield sia stato influenzato dall’esempio di Riley. Il gruppo progressive rock inglese Curved Air, formatosi nel 1970, prese il nome proprio da quest’album. Riley è anche accreditato per aver ispirato la parte di tastiera di John Cale nella composizione All Tomorrow’s Parties di Lou Reed, inclusa nell’album The Velvet Underground & Nico.

Collaborazioni e attività recente
Intorno al 1980, Riley iniziò una duratura collaborazione con il Kronos Quartet, dopo averne incontrato il fondatore David Harrington al Mills College. Per loro ha composto 13 quartetti per archi e altre opere. Nel 1991 scrisse il suo primo pezzo orchestrale, Jade Palace, e da allora ha continuato a comporre per orchestra. Ha collaborato estensivamente con il figlio, il chitarrista Gyan Riley, e con altri ensemble come il Rova Saxophone Quartet, Pauline Oliveros e l’ARTE Quartett. La registrazione del Lisbon Concert (1995) lo presenta in una performance di piano solo, improvvisando su sue opere e citando Art Tatum, Bud Powell e Bill Evans come suoi “eroi” pianistici, sottolineando l’importanza del jazz nella sua concezione musicale. Riley continua a esibirsi dal vivo e a insegnare, sia come cantante di raga indiano sia come pianista solista, partecipando anche a festival come l’All Tomorrow’s Parties nel maggio 2011.

A Rainbow in Curved Air: analisi
A Rainbow in Curved Air rappresenta una delle pietre miliari della musica minimalista e un’opera di straordinaria influenza. Il brano si apre quasi timidamente, introducendo l’ascoltatore in un paesaggio sonoro etereo e sognante. Fin dalle prime note, si percepisce un’atmosfera psichedelica, quasi cosmica, che avvolge e trasporta. Non c’è una fanfara o un’introduzione drammatica; piuttosto, Riley ci invita gradualmente nel suo mondo sonoro, un mondo fatto di luce, colore e movimento ciclico.
La strumentazione è dominata da tastiere elettroniche, principalmente un organo (probabilmente un Lowrey, caro a Riley in quel periodo, o strumenti simili) e quello che suona come un clavicembalo o un clavinet, utilizzato per le sue qualità percussive e brillanti. A questi si aggiunge il dumbek (o un tamburo a mano simile) che fornisce una spina dorsale ritmica organica e terrena in contrasto con l’elettronica fluttuante. L’organo elettronico è il protagonista melodico e armonico. Il suo timbro è ricco, a tratti leggermente “buzzato” come tipico degli organi dell’epoca, capace sia di linee melodiche agili e guizzanti sia di accordi sostenuti che creano bordoni e tappeti armonici. Riley sfrutta diverse registrazioni e sonorità dell’organo, passando da suoni più dolci e flautati a timbri più incisivi e penetranti. Il clavicembalo elettrico (clavinet), invece, è utilizzato principalmente per pattern ritmico-melodici rapidi e ostinati. Il suo suono brillante e percussivo si sposa perfettamente con il dumbek, creando un intreccio ritmico vivace e ipnotico.
Il dumbek fornisce una pulsazione costante e terrosa, quasi tribale, che ancora il brano e ne definisce il groove fondamentale. La sua presenza è essenziale per contrastare la natura eterea delle tastiere e per infondere un senso di danza rituale.
Riley ha suonato tutte le parti, sovraincidendole in studio. Questa tecnica gli permette di creare una polifonia complessa e densa, dove diverse linee melodiche e ritmiche si intrecciano e dialogano. L’uso estensivo del delay a nastro è una firma stilistica del brano e di Riley. Le note e le frasi vengono ripetute e sovrapposte con ritardi variabili, creando cascate di suoni, eco multiple e un senso di spazio sonoro espanso e riverberante. Il delay non è un semplice effetto, ma un elemento compositivo fondamentale che genera nuove strutture e interazioni ritmico-armoniche.
A Rainbow in Curved Air non segue una forma musicale tradizionale, ma si tratta di una composizione evolutiva, un “processo” sonoro che si sviluppa organicamente. Si possono identificare diverse sezioni, ma queste tendono a fluire l’una nell’altra senza cesure nette.
– Introduzione: pattern ostinato e percussivo del clavicembalo elettronico, a cui si aggiunge gradualmente il dumbek;
– sviluppo stratificato: sopra questa base ritmica, Riley introduce progressivamente linee melodiche all’organo, inizialmente semplici e brevi, poi via via più elaborate e virtuosistiche. Ogni nuovo strato si aggiunge ai precedenti, aumentando la densità e la complessità della tessitura;
– variazioni e improvvisazione: pur basandosi su pattern ripetitivi, Riley introduce continue micro-variazioni e sezioni che suonano fortemente improvvisate, specialmente nelle parti solistiche dell’organo. Questo conferisce al brano una sensazione di freschezza e spontaneità, nonostante la sua natura ciclica;
– dinamiche e densità: Il brano alterna momenti di maggiore rarefazione, dove emergono singole linee o il ritmo del dumbek, a sezioni di grande densità sonora, con tutti gli strumenti e i loro eco sovrapposti.
Le linee melodiche sono spesso brevi, modali e ripetitive, simili a cellule o pattern che vengono variati e sviluppati. Non ci sono melodie lunghe e cantabili nel senso tradizionale; piuttosto, l’interesse melodico risiede nell’interazione tra i diversi frammenti e le loro eco. L’influenza della musica classica indiana (raga) è palpabile nella natura modale e nell’approccio ornamentale e improvvisativo. L’armonia è prevalentemente modale e statica, basata su pochi centri tonali che cambiano gradualmente. Non c’è la tensione e risoluzione tipica dell’armonia funzionale occidentale. Il risultato è un’armonia fluttuante, consonante, che crea un’atmosfera di sospensione e contemplazione. I bordoni e i pedali armonici sostenuti dall’organo contribuiscono a questa sensazione.
Il ritmo è uno degli elementi più caratteristici e coinvolgenti del brano: il dumbek stabilisce una pulsazione regolare e ipnotica, mentre le tastiere percussive creano ostinati ritmici che si incastrano con il dumbek, generando poliritmie complesse. La combinazione di ripetizione, pulsazione costante e poliritmie sottili induce un effetto quasi da trance, invitando all’ascolto meditativo e immersivo.
Dominano l’uso di materiale musicale limitato, ripetizione, processi graduali di trasformazione. Il brano si sviluppa attraverso processi di addizione, sottrazione e variazione di pattern, mentre le parti solistiche dell’organo sono chiaramente improvvisate all’interno di un quadro modale definito. Come già menzionato, il delay è usato come strumento compositivo per creare tessiture, poliritmie e un senso di spazio profondo.
Il brano, pur nella sua ciclicità, non è statico. C’è una continua evoluzione:
– crescendo di densità: s’inizia in modo relativamente semplice e si arricchisce progressivamente di strati sonori;
– variazioni timbriche: Riley esplora diverse sonorità delle tastiere;
– momenti solistici: l’organo emerge spesso con assoli improvvisati, pieni di agilità e fantasia;
– flusso continuo: nonostante le variazioni, il brano mantiene un flusso ininterrotto, come un fiume sonoro che scorre e si trasforma.
A Rainbow in Curved Air evoca una vasta gamma di sensazioni:
– gioia e luminosità: il brano ha un carattere prevalentemente positivo, solare e ottimista;
– meditazione e trance: la sua natura ripetitiva e ipnotica favorisce uno stato di ascolto contemplativo;
– psichedelia e viaggio interiore: è facile associarlo a esperienze psichedeliche o a viaggi mentali, grazie alle sue sonorità eteree e spaziali;
– senso di libertà e apertura: la musica sembra espandersi all’infinito, priva di confini rigidi.

Nel complesso, il pezzo è un capolavoro di inventiva e sensibilità. Riley, attraverso l’uso pionieristico delle tastiere elettroniche, della sovraincisione e del delay a nastro, crea un’opera che trascende i generi, fondendo elementi di minimalismo, musica psichedelica, influenze indiane e un approccio improvvisativo. Il risultato è un’esperienza d’ascolto profondamente immersiva e affascinante, una musica che continua a risuonare e a ispirare a decenni dalla sua creazione, confermando il suo status di classico della musica del XX secolo.

Affinché i frutti maturino questa estate

Karel Goeyvaerts (8 giugno 1923 - 1993): Pourque les fruits mûrissent cet été per 7 esecutori e 14 strumenti rinascimentali (1975-76). Renaissance Ensemble.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Karel Goeyvaerts: pioniere dell’avanguardia alla ricerca dell’essenza sonora

Karel Goeyvaerts viene ricordato come un influente compositore belga, la cui opera è guidata dalla convinzione che «la musica ha per compito di presentare l’essenza nel tempo e nello spazio».

Formazione e primi passi
Goeyvaerts intraprese studi musicali approfonditi, dapprima al Conservatorio reale di Anversa (1943-47), dove studiò pianoforte, armonia, fuga, composizione e storia della musica, e poi al Conservatorio nazionale di Parigi (1947-50), dove studiò con Darius Milhaud (composizione), Olivier Messiaen (analisi musicale) e Maurice Martenot (onde Martenot). Durante questo periodo formativo, ottenne il Premio «Lily Boulanger» (1949) e il Premio «Fernand Halphen» (1950). Tornato ad Anversa, tra il 1950 e il 1957, realizzò le sue prime sette composizioni e insegnò storia della musica, lasciando appunti che rivelano il suo progetto estetico dell’epoca.

Carriera intermittente e ritorno alla musica
La sua carriera musicale subì un’interruzione dal 1957 al 1970, periodo in cui lavorò come funzionario per la Sabena (la compagnia aerea di bandiera belga). Riprese poi attivamente il suo percorso musicale, lavorando come produttore per la radio belga presso lo studio dell’Instituut voor Psychoacustica en Elektronische Muziek (IPEM, 1972-74) e per Radio Bruxelles (1975 88). Nel 1985 fu eletto presidente della tribuna internazionale dei compositori dell’UNESCO, mentre l’anno prima della sua morte (1992) fu nominato professore di nuova musica all’Università cattolica di Lovanio.

La Sonata per 2 pianoforti e l’emergenza del serialismo
Diceva Goeyvaerts: «La musica è l’oggettivazione di un dato spirituale in una struttura sonora». Inizialmente influenzato da Stravinskij, Bartók e Hindemith, nel 1950 rinnegò la sua produzione precedente per volgersi a Schoenberg, Messiaen e Webern, che lo segnarono profondamente. La Sonata per 2 pianoforti, composta tra l’inverno 1950 e il 1951, rappresenta una sintesi tra le idee di Messiaen (organizzazione pre-compositiva dei parametri musicali, con richiami all’isoritmia dell’Ars nova francese) e l’applicazione weberniana del dodecafonismo (la serie come definizione di qualità strutturali, non come tema; posizioni d’ottava fisse; tentativi di serializzare durate, dinamiche, timbri; ordine simmetrico). L’opera fu analizzata e presentata al seminario di Darmstadt nel 1951, eseguita da Goeyvaerts e Karlheinz Stockhausen. Theodor Adorno, che sostituiva Schoenberg, non accolse favorevolmente l’approccio speculativo. Il movimento centrale di questa Sonata è considerato il primo esempio di serialismo generalizzato e punto di partenza del serialismo "puntillista" di Darmstadt, estendendo l’applicazione seriale a tutti i parametri sonori. La Sonata ebbe un’influenza cruciale sulla giovane avanguardia, in particolare su Stockhausen, con cui Goeyvaerts ebbe un intenso scambio epistolare e un rapporto di mutua influenza. Tuttavia, la Sonata e il Concerto per violino e orchestra (1951) sono opere di transizione, ibride. Nel Concerto, la purezza strutturale entra in conflitto con le esigenze formali del genere, mentre nella Sonata solo i movimenti centrali mostrano una rigida organizzazione seriale, a differenza delle parti esterne che mantengono caratteristiche non seriali. Il serialismo generalizzato si manifesterà più chiaramente solo in seguito.

Il serialismo generalizzato compiuto
Con il Concerto per 13 strumenti (1951) Goeyvaerts realizza un’opera in cui ogni aspetto, dalla forma generale ai minimi dettagli, è governato da un unico principio seriale. Quest’opera è considerata l’esempio più preciso di serialismo generalizzato, accanto ai lavori coevi di Milton Babbitt e Pierre Boulez. Il concerto è basato su una serie di cifre applicata rigorosamente all’organizzazione dei sei parametri. Similmente, in met gestreken en geslagen tonen (1952), l’essenza è oggettivata in modo assoluto nella struttura sonora, con ogni suono isolato e seguito da una pausa. Dopo di questa, Goeyvaerts si orientò verso la musica elettroacustica per risolvere i problemi di interpretazione e organizzazione timbrica posti dalle opere seriali.

Pioniere della musica elettronica
Grazie all’amicizia con Stockhausen, Goeyvaerts fu invitato allo studio NordWest Deutscher (NWD) di Colonia, diventando uno dei primi compositori a utilizzare l’elettronica. Durante questi anni, scrisse:

  • Compositie Nr.4 met dode tonen (1952): la sua prima partitura elettronica, costituita da quattro strati sonori di uguale durata ripetuti invariabilmente, con pause variabili serialmente tra le ripetizioni (anticipando il phasing di teve Reich). I "suoni morti" (statici) dovevano essere complessi e armonicamente eterogenei. Fu eseguita solo negli anni ’70 all’IPEM di Gand;

  • Compositie Nr. 5 met zuivere tonen (1953): utilizza suoni sinusoidali ("puri", senza armonici), producibili solo elettronicamente;

  • Compositie Nr. 6 met 180 klankvoorwerpen (1954): cerca un compromesso tra suoni strumentali ed elettronici. Composta per orchestra, la sua complessità esecutiva spinse all’uso dell’elettronica;

  • Compositie Nr.7 met convergende en divergende niveaux (1955): sovrapposizione di glissandi su nastro magnetico. A causa della sua modestia e ingenuità, Goeyvaerts fu messo da parte e tornò in Belgio. Le sue composizioni seriali (Opus 2, Opus 3, Composizione N. 6 per ensemble; Composizioni N. 4, 5, 7 per nastro) raggiungono un livello di astrazione senza precedenti, distinguendosi per la ricerca dell’"oggettivazione di un dato spirituale in una struttura sonora" rispetto alle dimensioni drammatiche e poetiche di Stockhausen e Boulez. Dalla metà degli anni ’50, tuttavia, Goeyvaerts si rese conto che il serialismo generalizzato non produceva l’alta organizzazione attesa, specialmente per l’ascoltatore, e finì per abbandonare questa tecnica, a differenza di colleghi che integrarono gradi di indeterminatezza. Nel 1957 si ritirò temporaneamente, continuando a comporre e preparando una fase sperimentale più libera. Tra la fase elettronica e quella sperimentale compose opere di grande forma come Diaphonie (1957), Improperia (1958) e la Passione secondo San Giovanni (1959).

La fase sperimentale: alla ricerca di un linguaggio (1960-75)
Questo periodo è caratterizzato da una sistematica esplorazione di diverse possibilità: improvvisazioni da "serbatoi" di note (Zomerspelen, 1961); integrazione tra strumenti tradizionali e nastro magnetico (Stuk Voor Piano, 1964). Qui i suoni del pianoforte sono pre-registrati e manipolati, creando una dialettica tra determinismo del nastro e interpretazione parzialmente indeterminata. Ricorse anche a materiali fonetici (Goathemala, 1966), forze variabili (Parcours, 1967), partitura grafica (Actief-reactief, 1968), partitura verbale (Vanuit de kern, 1969), teatro strumentale (Catch à quatre, 1969) e coinvolgimento del pubblico (Al naar Gelang, 1971) o degli interpreti (Piano quartet met magnetofoon, 1972). In quest’ultima, i musicisti registrano bollettini d’informazione e commentano il nastro usando 7 foglietti (numero feticcio di Goeyvaerts) con indicazioni su esecuzione e materiali. Queste opere, pur riflettendo l’emancipazione musicale degli anni ’60-’70, manifestano i principi strutturali cari a Goeyvaerts sin dagli anni ’50: processi ciclici, inversioni simmetriche, alto grado di astrazione e pianificazione matematica sotto un’apparente vitalità aleatoria. Nel 1970 fu nominato produttore all’IPEM e poi primo produttore di musica contemporanea della BRT.

Il minimalismo goeyvaertiano (1975-82)
Dal 1975, Goeyvaerts perseguì il suo obiettivo estetico attraverso un’interpretazione personale del minimalismo: una tecnica di "ripetizione evolutiva". Una cellula ritmica di durata fissa viene ripetuta, aggiungendo un nuovo elemento a ogni ripetizione, creando "un discorso organizzato come un rituale". Una volta completa, la cellula si disintegra gradualmente. Questo principio è evidente nel ciclo delle cinque Litanies (1979-1982). Per esempio, Litanie I (1979) consta di sette sequenze diverse che si ripetono ciclicamente e ogni sequenza è una ripetizione di un modulo a tempo fisso, con elementi aggiunti e poi sottratti. Goeyvaerts sovrappone fino a quattro moduli. Aquarius-Tango (1984) e Pas à pas (1985) sono basate sullo stesso principio, ma più uniformi e con ripetizione ostinata. La prima è "elegante e generosa", la seconda più "diretta e aggressiva", entrambe derivate da elementi dell’opera Aquarius, mostrando i contrasti estetici del compositore.

La visione utopica: Aquarius e gli ultimi anni (1983-93)
L’opera Aquarius occupò gli ultimi dieci anni della sua vita. Non ricevendo commissioni, la divise in pezzi indipendenti (orchestrali, da camera, corali) come scene potenziali. Aquarius illustra un progetto utopico: l’emergere graduale di una società egualitaria in cui ognuno ha un posto secondo le proprie capacità. Il testo è principalmente fonetico. I cantanti (8 soprani, 8 baritoni) sono usati come gruppi. Il linguaggio compositivo è descritto come "nuova tonalità", ma persistono aspetti del serialismo come la coincidenza tra macro e microstruttura e l’intercambiabilità delle dimensioni orizzontali e verticali. Nel giugno 1985, fu eletto presidente della tribuna internazionale dei compositori dell’UNESCO e divenne membro dell’Accademia Reale del Belgio. Nel 1992, ottenne una cattedra di nuova musica alla KUL (Università Cattolica di Lovanio), incarico che prevedeva la composizione di Alba per Alban. Quest’opera rimase incompiuta a causa della sua morte, avvenuta nella sua città natale il 3 febbraio 1993.

Pourque les fruits mûrissent cet été: analisi
Il brano si colloca in una fase matura della produzione di Goeyvaerts, specificamente nel suo periodo "minimalista" (1975-82). Quest’opera è emblematica della sua personale interpretazione del minimalismo e non si limita a una semplice ripetizione statica, ma esplora processi evolutivi lenti e organici. La scelta di un ensemble di strumenti rinascimentali è particolarmente significativa, conferendo all’estetica minimalista una patina sonora arcaica e al contempo sorprendentemente moderna, creando un ponte tra epoche distanti. Fin dalle prime note, il brano instaura un’atmosfera profondamente meditativa, quasi ritualistica. Il titolo stesso suggerisce un processo naturale, lento e inesorabile, come la maturazione dei frutti sotto il sole estivo. La musica riflette questa idea attraverso la sua gradualità, la sua pazienza e la sua organica espansione e contrazione. C’è un senso di tempo sospeso, di contemplazione di un fenomeno naturale che si svela lentamente all’ascoltatore. Il video, con gli esecutori disposti in cerchio o semicerchio e la loro concentrazione serena, amplifica questa sensazione di rito collettivo. La scelta di 14 strumenti rinascimentali per 7 esecutori implica che alcuni musicisti suonino più di uno strumento, contribuendo a una tavolozza timbrica variata pur mantenendo una coerenza stilistica. Tra questi, si ricordano:

  • flauti dolci: forniscono le linee melodiche più eteree, note lunghe e tenute, e creano armonie diafane e trasparenti. Il loro suono puro e leggermente soffiato è centrale nell’opera;

  • cromorni: con il loro caratteristico timbro ronzante, nasale e leggermente aspro, i cromorni sono fondamentali per creare i bordoni e gli ostinati nelle tessiture più gravi, conferendo un forte sapore arcaico;

  • strumenti a pizzico (liuto, vihuela, cetra): si percepiscono strumenti a corde pizzicate che offrono arpeggi delicati, un leggero sostegno armonico e un colore timbrico contrastante rispetto ai fiati;

  • piccole percussioni: l’uso di percussioni (come campanelli, piccoli tamburi a cornice o cimbali a dita) è estremamente parco e coloristico, utilizzato per marcare sezioni o aggiungere un tocco rituale puntillistico;

La combinazione di questi timbri crea un paesaggio sonoro unico, che evoca una sorta di "sacralità arcaica modernizzata", perfettamente in linea con l’estetica processuale e contemplativa di Goeyvaerts.
Il brano s’inizia in modo estremamente rarefatto, spesso con una singola linea melodica o una nota tenuta da un flauto dolce acuto. Lentamente, altri strumenti entrano, aggiungendo strati sonori. Questa entrata non è casuale ma segue un processo pianificato: inizialmente, si aggiungono note tenute che formano bordoni o cluster armonici statici, mentre successivamente, piccole cellule melodico-ritmiche vengono introdotte e sovrapposte. Le cellule musicali, spesso brevi e semplici, vengono ripetute numerose volte. Tuttavia, questa ripetizione non è mai meccanica. Ad ogni iterazione, o dopo un certo numero di iterazioni, un nuovo elemento viene aggiunto (una nuova nota alla cellula, una nuova armonizzazione, l’entrata di un nuovo strumento con lo stesso materiale o materiale complementare) o un elemento esistente viene leggermente modificato (altezza, ritmo, timbro). La sovrapposizione di linee simili ma non perfettamente sincronizzate o con micro-variazioni ritmiche crea un effetto di "fasatura" (phasing), generando tessiture cangianti e scintillanti, particolarmente evidenti quando più flauti dolci interagiscono. Il processo di trasformazione è estremamente lento, inducendo un senso di tempo dilatato e favorendo un ascolto contemplativo e immersivo. L’ascoltatore è invitato a percepire le minime variazioni e l’evoluzione organica del materiale sonoro. Dopo aver raggiunto un culmine di densità testuale e complessità (sempre relativa e mai caotica), il brano spesso inizia un processo inverso di rarefazione, dove gli strumenti gradualmente escono o i motivi si semplificano, ritornando a una sonorità più spoglia, simile a quella iniziale, ma arricchita dall’esperienza del percorso sonoro compiuto.
L’armonia è prevalentemente consonante, spesso modale o pandiatonica, evitando le tensioni e risoluzioni tipiche della tonalità funzionale. I bordoni, forniti principalmente dai cromorni e dai flauti dolci bassi, costituiscono il fondamento armonico su cui si innestano le altre linee. Si creano cluster sonori statici o lentamente cangianti, con dissonanze che emergono naturalmente dalla sovrapposizione delle linee ma che non hanno una funzione tensiva tradizionale, risolvendosi dolcemente nel tessuto sonoro. Le linee melodiche, invece, sono costituite da brevi frammenti, spesso diatonici, caratterizzati da movimento congiunto o da note tenute. Non ci sono melodie ampie e sviluppate nel senso tradizionale; piuttosto, sono cellule motiviche che, attraverso la ripetizione e la variazione, contribuiscono alla costruzione del tessuto polifonico e all’atmosfera generale. La semplicità del materiale melodico è cruciale per la chiarezza del processo compositivo.
Il brano è caratterizzato da un tempo estremamente lento e da una pulsazione ritmica spesso impercettibile o molto fluida. L’assenza di un forte e regolare impulso metrico contribuisce al senso di tempo sospeso e all’atmosfera ritualistica. L’enfasi è sulla durata delle note e sulla lenta trasformazione dei pattern ritmici, piuttosto che su una scansione metrica definita. Questo approccio al ritmo è tipico di molta musica minimalista e contemplativa. La forma del pezzo non segue schemi tradizionali (come la forma-sonata o il rondò) ma è generata dal processo compositivo stesso. Si può parlare di una forma processuale o ciclica, caratterizzata da fasi di:

  1. esposizione rarefatta: inizio con pochi elementi;

  2. accumulazione: graduale aggiunta di strati strumentali e complessità motivica;

  3. culmine (relativo): momento di massima densità sonora e interazione tra le parti;

  4. rarefazione: graduale diradamento della texture, ritorno a elementi più semplici.

Questi cicli di accumulazione e rarefazione possono ripetersi più volte all’interno del brano, creando onde di intensità sonora. La struttura è organica, simile alla crescita e al decadimento osservabili in natura.
Le dinamiche sono generalmente contenute, variando dal pianissimo al mezzoforte, con crescendi e diminuendi molto graduali che seguono l’andamento della densità testuale. L’espressività non deriva da gesti drammatici o contrasti violenti, ma dalla sottile bellezza delle combinazioni timbriche, dalla purezza delle linee e dalla qualità ipnotica e meditativa del processo evolutivo.

Nel complesso, Pourque les fruits mûrissent cet été è un’opera affascinante che dimostra la maestria di Karel Goeyvaerts nel creare un universo sonoro unico e profondamente personale. Attraverso l’uso inedito di strumenti rinascimentali in un contesto minimalista, il compositore riesce a evocare un’atmosfera arcaica e rituale, pur utilizzando tecniche compositive rigorose e innovative. Il brano invita a un ascolto attento e contemplativo, permettendo all’ascoltatore di immergersi nel lento e organico processo di maturazione sonora, proprio come suggerito dal titolo. È un eccellente esempio di come il minimalismo possa andare oltre la semplice ripetizione, diventando un veicolo per esplorare la bellezza intrinseca del suono e del tempo.

Elogio della Follia – III

La folía. Atrium Musicae de Madrid, dir. Gregório Paniagua.

  1. Fons vitae
    Dementia praecox angelorum
    Supra solfamirevt

  2. Extravagans
    Laurea minima
    In vitro

  3. Oratio pro-folia
    Fama volat
    Citrus – Hesperides

  4. Principalis . Fermescens
    Indica exacta
    Adverso flumine

  5. Parsimonia aristocraciae

  6. Subtilis
    De profundis – Extra muros

  7. Vulgaris – Sine populi notione
    Vagula et blandula

  8. Nordica et desolata
    Aurea mediocritas

  9. Nobilissima
    Degradans et corruptae

  10. De pastoribus
    Mathematica dies irae
    Crepuscularis
    Sine nomine
    Tristis est anima mea
    Equites fortis armaturae
    Audaces fortuna juvat
    Sine praeputium
    Ecclesiastica

  11. Theatralis et hipocritae
    Ruralis
    Alter indica perfecta

  12. De tolerentia aetherea
    Fuga ficta et carrus triumphalis

« I compositori che nel corso dei secoli diedero una propria interpretazione del tema della Folía non sempre si resero conto di quello che stavano facendo. Maturano come l’albero che non conosce la fretta, assorbono tutta la linfa vitale e accolgono con gioia i primi ardori della primavera, senza farsi sfiorare dal pensiero che potrebbero anche non vedere quella dell’anno successivo. Con l’arrivo della primavera sopraggiunge un dolce languore, come se davanti a loro si estendesse tutta l’eternità. A quel punto possono amare la loro Folía e la loro solitudine, rivestendo queste sensazioni di musica di rara bellezza » (Gregório Paniagua).

Un pensiero affettuoso per Luisa Zambrotta, che mi ha suggerito l’idea di creare questa pagina pubblicando una propria poesia dedicata al Cane di Goya.

Christopher Hogwood in memoriam

John Bull (c1562 - 1628): In nomine a 3, dal Fitzwilliam Virginal Book (n. XXXVII). Christopher Hogwood, organo.


Henry Purcell (1659 - 1695): Abdelazer or The Moor’s Revenge, musiche di scena composte nel 1695 per una rappresentazione del dramma omonimo (1676) di Aphra Behn. Joy Roberts, soprano; The Academy of Ancient Music, dir. Christopher Hogwood.

  1. Ouverture
  2. Suite:
    1. Rondeau [3:26]
    2. Air I [5:00]
    3. Air II [6:20]
    4. Minuet [7:46]
    5. Air III [8:41]
    6. Jig [9:54]
    7. Hornpipe [10:33]
    8. Air IV [11:19]
    9. Hornpipe [12:45]
  3. Song: Lucinda is bewitching fair [12:49]

Il tema del Rondeau è stato utilizzato da Benjamin Britten in The Young Person’s Guide to the Orchestra op. 34.


Christopher Hogwood
(1941 - 24 settembre 2014)

Natus ante saecula

La sequenza Natus ante saecula di Notker I di San Gallo, detto Balbulus (il Balbuziente; c840 - 912), eseguita dall’ensemble Sequentia.

Natus ante saecula
 Dei filius invisibilis
 Interminus
Per quem fit machina
 Caeli ac terrae maris
 Et in his degentium
Per quem dies et horae labant
 Et se iterum reciprocant
Quem angeli in arce poli
 Voce consona semper canunt,
Hic corpus assumpserat
 Fragile
Sine labe originalis criminis
 De carne Mariae virginis
 Quo primi parentis culpam
 Evaeque lasciviam tergeret.
Hoc praesens diecula loquitur,
Praelucida adaucta
 Longitudine quod sol verus
 Radio sui luminis vetustas
 Mundi depulerit
 Genitus tenebras.
Nec nox vacat novi
 Syderis luce quod magorum
 Oculos terruit scios,
Nec gregum magistris
 Defuit lumen quos praestrinxit
 Claritas militum Dei.
Gaude Dei genitrix
 Quam circumstant obstetricum vice concinentes
 Angeli gloriam Deo.
Christe patris unice
 Qui humanam nostri
 Causa formam assumpsisti
 Refove supplices tuos
Et quorum participem te fore
 Dignatus es Jesu
 Dignanter eorum
 Suscipe preces
Ut ipsos divinitatis tuae
 Participes Deus facere digneris unice Dei.

(Nato prima dei secoli, il figlio di Dio, invisibile e senza fine, per il cui tramite fu creato l’apparato del cielo, della terra, del mare e di tutti coloro che vi abitano; in grazia del quale trascorrono i giorni e le ore, e si alternano tra loro; Colui al quale gli angeli nella rocca celeste sempre inneggiano con armoniosa voce aveva preso un fragile corpo, senza la macchia del peccato originale, dalla carne di Maria vergine, per lavar via con esso la colpa del primo genitore e la lascivia di Eva. Questo ci dice la luminosa tregua attuale, accresciuta nella durata: che il vero sole, ora nato, con il suo raggio di luce ha scacciato le antiche tenebre dal mondo. La notte non è priva della luce della nuova stella che ha atterrito gli occhi saggi dei maghi, così come non manca la luce per coloro che conducono le greggi, i quali furono abbagliati dallo splendore dei soldati del Signore. Rallegrati, Madre di Dio: attorno a te non si adunano levatrici ma angeli che cantano la gloria di Dio. O Cristo, unigenito figlio di Dio, che per noi hai assunto forma umana, ristora i tuoi supplici e con benevolenza accogli le preghiere di coloro dei quali, o Gesù, ti sei degnato di essere partecipe, così che ti degnerai di rendere anch’essi partecipi della tua divinità, Dio unico figlio di Dio.)

Torniamo molto indietro nel tempo, valicando a ritroso il fatale anno 1000 per giun­gere nel pieno dell’età carolingia e ascoltare un capolavoro della musica di quel tempo.

Che cos’è una sequenza? La prima occorrenza del termine si trova nel Liber officialis di Amalario di Metz (c775 - 850); afferma l’insigne liturgista che il canto dell’alleluia tocca nel profondo l’animo del cantore, e « haec jubilatio, quam cantores sequentiam vocant », non necessita di testo (sant’Ago­stino aveva infatti asserito che « chi gioisce non può espri­mersi con parole »).
Dunque, la sequenza era originariamente un vocalizzo, un melisma (ossia un canto privo di testo) articolato sull’ultima vocale della parola alleluia. Ma a un certo punto della sua storia, per l’appunto nel corso del IX secolo, la sequenza comincia a essere dotata di testo. Sulle ragioni di questa novità aiuta a far luce proprio la testimonianza di Notker Balbulus. Questi compose una quarantina di testi di sequenze (da lui chiamati hymni), che poi inviò come omaggio al vescovo di Vercelli Liutvardo, cancelliere di Carlo il Grosso: nella lettera dedicatoria Notker racconta che, in gioventù, faceva molta fatica a ricordare le « longissimae melodiae » del canto liturgico e si chiedeva se ci fosse un metodo per aiutare la memoria. « In quel periodo giunse fra noi un monaco sacerdote dell’abbazia di Jumièges, devastata dai normanni. Portava con sé un libro di musica (antiphonarium) nel quale alcuni testi (aliqui versus) erano adattati alla musica dei melismi alleluiatici (ad sequentias) ». Forte di questo esempio e incoraggiato dai propri superiori, Notker si dedicò alla composizione di testi analoghi affinché fossero cantati sulle note delle sequenze.
L’aggiunta di testi ai vocalizzi dell’alleluia, insomma, è in origine un espediente mnemonico: a volte la storia dell’arte, non solo musicale, riserva gustose sorprese.

Sul vastissimo repertorio di sequenze composte nei secoli successivi, oltre cinquemila, calò poi la scure del Concilio di Trento, che autorizzò l’uso liturgico di soli quattro componimenti:
Victimae Paschali laudes, attribuita a Wipo di Soletta († dopo il 1046);
Veni Sancte Spiritus, attribuita a Stephen Langton, arcivescovo di Canterbury (c1150 - 1228);
Lauda Sion Salvatorem, composta da Tommaso d’Aquino (1225 - 1274) per la festività del Corpus Domini;
Dies irae, che secondo tradizione sarebbe stata composta da Tommaso da Celano (c1190 - c1260).
A queste fu aggiunta poi Stabat Mater dolorosa, scritta probabilmente da Jacopone da Todi (c1230/36 - 1306).

Natus ante saecula (incipit)

Dal Manoscritto 381 di San Gallo (Biblioteca del Monastero, Codex Sangallensis 381, p. 333), l’inizio della sequenza Natus ante saecula di Notker Balbulus.
Da notare il particolare tipo di impaginazione, caratteristico della tradizione sangallese: il testo e la notazione musicale (neumi in campo aperto) sono riportati su due colonne affiancate.

Leone Sinigaglia

Composizioni di Leone Sinigaglia (1868 - 16 maggio 1944), musicista e alpinista, vittima dell’Olocausto.


Regenlied per archi op. 35 n. 1 (1910). Orchestra Città di Ferrara, dir. Marco Zuccarini.


Due Pezzi per violoncello e orchestra op. 16 (1902). Fernando Caida Greco, violoncello; Orchestra Città di Ferrara, dir. Marco Zuccarini.

  1. Romanze
  2. Humoresque [4:50]

op. 16 n. 1

Hora mystica in la maggiore per quartetto d’archi (1894). Quartetto Tamborini: Bruno Raiteri e Antonio Sacco, violini; Fabrizio Montagner viola; Marco Pasquino violoncello.


La pastora e il lupo (da Diciotto vecchie canzoni popolari del Piemonte op. 40b). Coro da Camera di Torino, dir. Dario Tabbia.

La bërgera larga ij moton [bis]
al long de la riviera;
’l sol levà l’era tant caod,
la s’è seta a l’ombrëta.

J’è sortì ’l gran lüv dël bòsc
con la boca ambajeja,
l’ha pijà ’l pi bel barbin
ch’i era ’nt la tropeja.

La bërgera ’s bota a criar:
«Ahi mi, pòvra fijeta!
Se quaidon m’agioteis,
saria soa morosëta».

Da lì passa gentil galant,
con la soa bela speja
j’à dait tre colp al lüv,
barbin l’è saotà ’n tera.

«Mi v’ ringrassio, gentil galant,
mi v’ ringrassio ’d vòstra pena.
Quand ch’i tonda ’l me barbin
’v donerai la lena.»

«Mi son pa marcant de pann
e gnianca de la lena:
un basin dël vòst bochin
’m pagherà la pena.»

(La pastora fa pascolare le pecore lungo la riva; il sole alto è molto caldo, così si è seduta all’ombra.
Il gran lupo è uscito dal bosco con la bocca spalancata, ha preso il più bell’agnello del gregge.
La pastora si mette a gridare: «Ahimè, povera ragazza! Se qualcuno mi aiutasse sarei la sua amorosa.»
Da lì passa il gentil galante: con la sua bella spada dà tre colpi al lupo, l’agnello salta a terra.
«Vi ringrazio della vostra pena, gentil galante: quando toserò il mio agnello vi regalerò la lana.»
«Non sono mercante di stoffe e neppure di lana: un bacio della vostra bocca mi ripagherà della pena.»)


Sinigaglia amava molto la montagna. In gioventù si dedicò con passione all’alpinismo, segnalandosi in particolare per le sue arrampicate sulle Dolomiti: a lui si devono fra l’altro le prime ascensioni della Croda da Lago e del Monte Cristallo. Il 25 agosto 1990 era fortunosamente scampato alla morte sul Cervino in tempesta: fu tratto in salvo dalla sua guida, il leggendario Jean-Antoine Carrel di Valtournenche, che dopo aver portato Sinigaglia al sicuro morì di sfinimento; dell’impresa compiuta dal rude e coraggioso montanaro, e del suo sacrificio, il giovane musicista lasciò una toccante testimonianza.

Cervino, parete sud, visto da Cervinia

Suite española – I

È nota come Suite española una selezione di composizioni chitarristiche di Gaspar Sanz (alias Francisco Bartolomé Sanz Celma; 4 aprile 1640 - 1710) adattate per la chitarra moderna da Narciso Yepes, che qui la esegue.

  1. Españoletas
  2. Gallarda y Villano
  3. Danza de las Hachas
  4. Rujero y Paradetas
  5. Zarabanda al ayre español
  6. Passacalle de la Cavalleria de Napoles
  7. Folias
  8. La Miñona de Cataluña
  9. Canarios

Della natura della luce diurna

Max Richter (22 marzo 1966): On the Nature of Daylight (da The Blue Notebooks, 2004). Louisa Fuller e Natalia Bonner, violini; John Metcalfe, viola; Philip Sheppard e Chris Worsey, violoncelli.
Il brano è stato incluso nelle colonne sonore di vari programmi televisivi e film: fra questi ultimi, Shutter Island (2010) di Martin Scorsese e Arrival (2016) di Denis Villeneuve.

Sette giorni con il granduca – domenica

Girolamo Frescobaldi (1583 - 1643): Messa sopra l’Aria di Fiorenza a 8 voci. Daniele Boccaccio, organo; Ensemble San Felice, dir. Federico Bardazzi.

  1. Kyrie:
      Kyrie eleison
      Christe eleison
      Kyrie eleison
  2. Gloria
  3. Credo:
      Credo in unum Deum
      Crucifixus
      Et resurrexit
      Et in Spiritum Sanctum
      Et iterum venturus est
    Offertorio: Ricercar dopo il Credo
  4. Sanctus
  5. Agnus Dei

Girolamo Frescobaldi

Sette giorni con il granduca – giovedì

Giovanni Battista Buonamente (c1595 - 1642): Il ballo del granduca (dal Quarto Libro de varie sonate, sinfonie, gagliarde, corrente, e brandi per sonar con due violini & un basso di viola, 1626, n. 50). Ensemble Voices of Music (San Francisco, CA).

Buonamente, Ballo del granduca

Sette giorni con il granduca – mercoledì

Jan Pieterszoon Sweelinck (1562 - 1621): Ballo del granduca, variazioni SwWV 319 per strumento a tastiera, alcune delle quali sono forse di Samuel Scheidt (1587 - 1654), allievo di Sweelinck. Esegue Ton Koopman all’«organo Compenius» del Castello di Frederiks­borg.

Sette giorni con il granduca – lunedì

Emilio de’ Cavalieri (1550 - 11 marzo 1602): O che nuovo miracolo, madrigale a 5 voci. Ensemble Modo Antiquo, dir. Federico Maria Sardelli.

O che nuovo miracolo,
Ecco che in Terra scendono,
Celeste alto spettacolo,
Gli Dei che il Mondo accendono.
Ecco Himeneo e Venere
Col piè la Terra hor premere.

Del grande Heroe che con benigna legge
Hetruria affrena e regge
udito ha Giove in Cielo
Il purissimo zelo,
E dal suo seggio santo
Manda il ballo e il canto.

Che porti, O drappel nobile
Ch’orni la Terra immobile?

Portiamo il bello e il buon
Che in ciel si serra

Per far al Paradiso ugual la Terra.

Tornerà di auro secolo?

Tornerà il secol d’oro
E di real costume
Ogni più chiaro lume.

Quando verrà che fugghino
I mali e si distrugghino?

Di questo nuovo Sole
Nel subito apparire;
E i gigli e le viole
Si vedranno fiorire.

O felice stagion, beata Flora!

Arno, ben sarai tu beato a pieno
Per le nozze felici di Loreno.

O novello d’amor fiamma lucente!

Questa è la fiamma ardente
Che infiammerà di amore
Ancor l’anime spente.

Ecco ch’Amor e Flora
Il Ciel arde e innamora.

A la Sposa reale
corona trionfale
Tessin Ninfe e Pastori
Dei più leggiadri fiori.

Ferdinando hor va felice altero.

La Virgine gentil di santo foco
Arde e si accinge a l’amoroso gioco.

Voi Dei, scoprite a noi la regia prole.

Nasceran semidei
Che renderan felice
Del mond’ogni pendice.

Serbin le glorie
I cigni in queste rive
Di Medici e Loreno eterne e vive.

Le meraviglie nuove
Noi narremo a Giove.
Hor te, Coppia Reale,
Il Ciel rende immortale.

Le quercie hor mel distillino
E latte i fiumi corrino,
D’amor l’alme sfavillino
E gli empi vitii aborrino,
E Clio tessa l’histoire
Di così eterne glorie.
Giudin vezzosi balli
Fra queste amene valli,
Portin Ninfe e Pastori
Del Arno al ciel gli onori.
Giove benigno aspiri
Ai vostri alti disiri.
Cantiam lieti lodando
Cristina e Ferdinando.

Nel Seicento la melodia nota come Ballo del granduca o Aria di Fiorenza fu impiegata da numerosi autori come tema di variazioni strumentali e come base di composizioni di varia natura, sacre e profane. Ricorre per la prima volta nel ballo O che nuovo miracolo di Emilio de’ Cavalieri (testo di Laura Guidiccioni) che concludeva gli intermedi musicali creati da vari autori per una rappresentazione della commedia La Pellegrina di Girolamo Bargagli, rappresentazione cui nel 1589 sovrintese lo stesso Cavalieri.

Senza un attimo di tregua

Steve Reich (1936): Clapping Music (1972) eseguita dall’autore stesso in collaborazione con Wolfram Winkel.


Il brano del celebre compositore minimalista americano è presente su YouTube in numerose altre clip. Vi segnalo l’interessante animazione proposta da gerubach:

V’è poi, molto coinvolgente, questa… interpretazione di Angie Dickinson e Lee Marvin (dal film Point Blank, diretto nel 1967 da John Boorman e distribuito in Italia con il titolo Senza un attimo di tregua):


Clapping Music

Agghiaccianti simmetrie

John Adams (15 febbraio 1947): Fearful Symmetries per orchestra (1988). Orchestre phil­har­mo­ni­que de Montpellier Languedoc-Roussillon, dir. René Bosc.
Il titolo della composizione è ispirato da un celebre verso di William Blake (da The Tyger).

Elogio della Follia – II

Arcangelo Corelli (1653 - 1713): Sonata per violino e basso in re minore op. 5 n. 12, La Follia (1700). Fabio Paggioro, violino; Massimiliano Ferrati, pianoforte.


Marin Marais (1656 - 1728): Couplets de folies per viola da gamba e basso (1701). La Spagna: Alejandro Marías, viola da gamba solista; Pablo Garrido, viola da gamba per il basso continuo; Juan Carlos de Mulder, tiorba; Ramiro Morales, chitarra barocca; Jorge López-Escribano, clavicembalo.


Reinhard Keiser (9 gennaio 1674 - 1739): Ouverture per il Singspiel Der lächerliche Prinz Jodelet (1726). Das Lausitzer Barockensemble.


E ora, una lectio magistralis di Francesco Di Fortunato:


Terza piccarda

Dietrich Buxtehude (1637 - 1707): «Alleluia» dalla cantata Der Herr ist mit mir BuxWV 15. Ensemble Accentus, Insula Orchestra, dir. Laurence Equilbey.

Questa breve e deliziosa composizione su basso ostinato si evolve per intero nell’ambito tonale di do minore, salvo poi risolversi in un solare accordo di do maggiore, ossia con una formula cadenzale comunemente detta terza piccarda o di Piccardia. Secondo Jean-Jacques Rousseau (Dictionnaire de musique, 1767) il nome sarebbe dovuto al fatto che questo tipo di cadenza fu a lungo impiegato nella musica liturgica, e quindi in Piccardia, regione storica della Francia set­ten­trio­nale, ricca di chiese e cattedrali:

« Tierce picarde parce que cette façon de terminer a survécu le plus longtemps dans la musique re­li­gieuse et donc en Picardie, où il y a de la musique dans un grand nombre de cathédrales et d’églises » (Dictionnaire, p. 727).

Secondo altri studiosi, la denominazione deriverebbe invece dall’antico francese picart, vale a dire pungente, acuto, con riferimento al segno della grafia musicale (diesis o bequadro) che trasfor­ma appunto in maggiore un accordo minore. Ma nemmeno questa spiegazione pare del tutto soddisfacente.

*  *  *

Casals

Johann Sebastian Bach (1685-1750): Suite per violoncello n. 1 in sol maggiore BWV 1007. Pau Casals, violoncello.


Anonimo: El cant dels ocells; Pau Casals, violoncello; Mieczysław Horszowski, pianoforte.

El cant dels ocells, considerato dai catalani una sorta di inno nazionale, è diventato celebre in questo adattamento di Casals, che lo eseguiva abitualmente all’inizio dei suoi concerti come simbolo di pace e fratellanza universale; lo suonò fra l’altro alla Casa Bianca, il 13 novembre 1961, al cospetto del presidente Kennedy.

Pau Casals scomparve cinquant’anni fa, il 22 ottobre 1973.

Très rapide – Lent

Jean Barraqué (1928 - 17 agosto 1973): Sonata per pianoforte (1950-52). Roger Woodward (registrazione del 1972 realizzata in presenza dell’autore).
La Sonata di Barraqué, unanimemente considerata un capolavoro del serialismo, si evolve in un unico movimento, suddiviso in due sezioni: la seconda, Lent, ha inizio a 19:16.

Barraqué, Sonata

Greensleeves – XVI

Diego Ortiz (c1510 - c1570): Recercada quinta sobre el passamezzo antiguo: Zarabanda, dal Tratado de glosas (trattato sulle variazioni, 1553). Hespèrion XXI, dir. e viola da gamba Jordi Savall.


Diego Ortiz: Recercada VII sobre la romanesca. Stessi interpreti.

Forse, ascoltando queste recercadas vi sarà venuta in mente Greensleeves: una ragione c’è, ora vedremo di che si tratta.
Passamezzo e romanesca sono danze in voga nel Cinquecento e nei primi anni del secolo successivo. Il passamezzo, di origine italiana, ha andamento lievemente mosso e ritmo binario; sotto il profilo coreutico è molto affine alla pavana, tanto che non di rado, all’epoca, viene con questa identificato: nell’Orchésographie (1588), Thoinot Arbeau scrive che il passamezzo è «une pavane moins pesamment et d’une mesure plus légière». La musica del passamezzo si fonda sopra uno schema armonico caratteristico, non molto dissimile da quello della follia; i musicisti europei tardorinascimentali se ne innamorano e l’impiegano quale base di serie di variazioni e di composizioni vocali: fra gli esempi più celebri vi sono The Oak and the Ash e, appunto, Greensleeves.
Intorno alla metà del Cinquecento, lo schema armonico del passamezzo dà origine a una variante destinata a avere altrettanta fortuna: viene chiamata passamezzo moderno per distinguerla dall’altra, detta conseguentemente passamezzo antico. Nella seconda parte del secolo, a fianco di passamezzo antico e passamezzo moderno entrano nell’uso altre formule armoniche stilizzate, come per esempio quella detta romanesca, dal nome di una danza affine alla gagliarda, di origine forse italiana o forse spagnola. Lo schema della romanesca è quasi identico a quello del passamezzo antico, da cui differisce solo per l’accordo iniziale.
La più antica versione nota di Greensleeves, che risale agli anni ’80 del XVI secolo, si fonda sul passamezzo antico, ma nel volgere di breve tempo viene soppiantata da una variante che adotta il basso della romanesca. Quasi certamente è quest’ultima la ver­sione conosciuta da Shakespeare, il quale per due volte fa riferimento alla «melodia di Greensleeves» nella commedia Le allegre comari di Windsor (ce ne occuperemo presto). La versione originale, identificata nell’Ottocento dal musicografo inglese William Chappell (cui si deve la raccolta Popular Music of the Olden Time, 1855-59), è oggi la più nota e diffusa.

Listening to these recercadas, perhaps Greensleeves will have come to your mind: there’s a reason, now we’ll see what it’s about.
Passamezzo and romanesca were popular dances in the sixteenth and early seventeenth centuries. The passamezzo has Italian origins, slightly fast movement and binary rhythm; the dance is very similar to the pavana, so that in 16th century it was often identified with it: in his treatise Orchésographie (1588) Thoinot Arbeau asserts that the passamezzo is «une pavane moins pesamment et d’une mesure plus légière». The music of the passamezzo is based on a characteristic harmonic pattern, similar to that of the follia; late Renaissance European musicians fell in love with it and used it as a ground for sets of variations and for singing poetry: among the most famous examples are The Oak and the Ash and, precisely, Greensleeves.
Around the middle of the sixteenth century, the harmonic formula of the passamezzo gave rise to a variant that was equally successful: it was called passamezzo moderno to distinguish it from the other, consequently called passamezzo antico. During the second half of the century, alongside the passamezzo antico and moderno, other stylized harmonic formulas came into use, such as for example the romanesca, which took its name from a dance similar to the gagliarda, of Italian or perhaps Spanish origin. The pattern of the romanesca is almost identical to that of the passamezzo antico, from which it differs only in the first chord.
The earliest known version of Greensleeves, dating from about 1580, is based on the passamezzo antico ground, but was soon superseded by a variant adopting the harmonic formula of the romanesca. The latter is almost certainly the version known from Shakespeare, who refers twice to «the tune of Greensleeves» in the play The Merry Wives of Windsor (which we will deal with soon). The original version, identified in the 19th century by the English musicographer William Chappell (who published the collection Popular Music of the Olden Time, 1855-59), is today the best known and most widespread.

Elogio della Follia – I

Antonio Martín y Coll (? - c1734): Diferencias sobre las folias. Jordi Savall e Hespèrion XXI.


Giovanni Girolamo Kapsberger (c1580 - 1651): 19 Partite sopra la Folia. Sandro Volta, chitarrone.


Don Gregorio Paniagua Rodríguez: Fons vitae. Dementia praecox angelorum. Supra solfamireut (1982). Gregorio Paniagua e Atrium Musicae de Madrid.


Vangelis (Evangelos Odysseas Papathanassiou; 1943 - 2022): «Conquest of Paradise», dalla colonna sonora del film 1492 – La conquista del paradiso (1492: Conquest of Paradise) diretto nel 1992 da Ridley Scott.
Anche il brano da Vangelis, come le altre composizioni di cui propongo l’ascolto in questa pagina, si fonda sulla Follia, un antico tema musicale (si ritiene che abbia origini portoghesi risalenti al XVI secolo) che nel corso del periodo barocco fu rielaborato da numerosi compositori europei, da Frescobaldi a Corelli, da Lully a Marais, da Alessandro Scarlatti a Vivaldi, da Johann Sebastian Bach (nella Bauernkantate BWV 212) al figlio di questi Carl Philipp Emanuel.

Le Temps et l’écume

Gérard Grisey (17 giugno 1946 - 1998): Le Temps et l’écume per 4 percussionisti, 2 sintetizzatori e orchestra da camera (1989). Ensemble S; Paulo Alvares e Benjamin Kobler, sintetizzatori; WDR Sinfonieorchester Köln, dir. Emilio Pomarico.