Battaglia in re maggiore

Clamor Heinrich Abel (1634 - 25 luglio 1696): Battaille in re maggiore per 2 violini e basso continuo. Musica Antiqua Köln, dir. Reinhard Goebel.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Clamor Heinrich Abel: ritratto di un musicista barocco

Una vita tra musica e nobiltà
Clamor Heinrich Abel è un importante musicista tedesco del periodo barocco. Nacque nel 1634 a Burg Hünnefeld, presso Bad Essen in Vestfalia, figlio di Ernst Abel, un musicista attivo presso la cappella di corte di Hannover; l’insolito nome Clamor gli fu dato in onore di Clamor Eberhard von dem Bussche, signore del castello di Hünnefeld, presso il quale era stato attivo il nonno paterno di Abel. La famiglia Abel fu una vera e propria dinastia di musicisti, influente nel Nord e Centro della Germania tra il XVII e il XVIII secolo. Intorno al 1685 Abel sposò Magdalene Herbof; fu padre del gambista e violinista Christian Ferdinand Abel e nonno del celebre virtuoso di viola da gamba e compositore Carl Friedrich Abel.

Una carriera itinerante
La carriera di Abel si svolse in diverse corti e città tedesche: attivo dapprima a Celle (1662–64) quale musicista di corte e organista, fu poi a Hannover (1665-85), dove ricoprì il ruolo di musicista da camera ducale in un periodo significativo della sua carriera; dopo il 1685 si presume che sia tornato a lavorare a Celle per un certo periodo; concluse la propria carriera come Obermusicus (primo musicista) a Brema, dove fu attivo dal 1694 circa fino alla morte.

Le opere musicali
Abel fu un compositore particolarmente prolifico (conosciamo però solo una parte della sua produzione); fra le sue opere principali si ricorda la raccolta Erstlinge musikalischer Blumen, comprendente 59 brani strumentali, pubblicata in tre parti tra il 1674 e il 1677: le composizioni delle prime due parti (1674, 1676) sono scritte per quattro strumenti e basso continuo, mentre la terza (1677) contiene allemande, correnti, sarabande e gighe per violino o viola da gamba e basso. Tra i lavori di Abel più noti si annoverano la Battaille in re maggiore per due violini e basso continuo, la Sonata sopra Cuccu per violino e viola da gamba e una versione della celebre Folie d’Espagne (1685).

La Battaille in re maggiore
Si tratta di un superbo esempio di musica descrittiva del periodo barocco. Questo genere, popolare all’epoca, mirava a descrivere eventi o scene attraverso il linguaggio musicale. In questo caso, Abel dipinge un quadro sonoro vivace e drammatico di una battaglia, utilizzando i due violini e il basso continuo non solo come strumenti, ma come veri e propri protagonisti di un’azione teatrale.
Il brano si apre senza preamboli con una sezione solenne e marziale: la tonalità di re maggiore, spesso associata alla festa e al trionfo, stabilisce immediatamente un’atmosfera eroica. I due violini procedono in modo omoritmico, quasi all’unisono, con passaggi in terze e seste parallele che evocano il suono squillante di una fanfara di trombe. Il basso continuo fornisce una base armonica robusta e un andamento ritmico puntato che ricorda una marcia cerimoniale: questa introduzione funge da “chiamata alle armi”, preparando il campo per lo scontro imminente.
Con un improvviso cambio di carattere, la battaglia ha inizio: il tempo si anima e la scrittura diventa un fitto dialogo tra i due violini. Abel abbandona la compattezza iniziale per lanciare i due solisti in un vero e proprio duello. Assistiamo a un brillante gioco di imitazione: un violino propone una rapida figurazione di semicrome e l’altro risponde immediatamente, come in un incrociarsi di lame. Questo dialogo si intensifica in passaggi di scale e arpeggi vertiginosi che mettono in luce l’abilità tecnica richiesta agli esecutori.
Segue un’inaspettata oasi di lirismo: la musica rallenta, trasformandosi in un breve interludio cantabile e malinconico, quasi un momento di riflessione nel cuore della battaglia o il lamento per i caduti. Questa tregua drammatica serve ad aumentare la tensione, rendendo ancora più efficace il ritorno all’azione: la seconda parte dello scontro è ancora più furente, con i violini che si scambiano figure virtuosistiche sempre più complesse e veloci, culminando in una cadenza decisa che chiude la fase più accesa del combattimento.
Abel ora arricchisce la sua tavolozza sonora con effetti prettamente descrittivi e sentiamo i violini imitare segnali militari: uno tiene una nota lunga e vibrante (un pedale, quasi un bordone), mentre l’altro esegue brevi e ritmiche chiamate che ricordano i segnali di una tromba da campo. Questa sezione, basata più sul ritmo e sull’effetto timbrico che sulla melodia, è un chiaro elemento programmatico che ci trasporta direttamente sul campo di battaglia.
La coda finale è una travolgente dichiarazione di vittoria: Abel scatena tutta la potenza virtuosistica degli strumenti, con cascate di note velocissime, passaggi accordali e un’energia ritmica inarrestabile. I due violini, non più in duello ma uniti in un impeto trionfale, corrono verso la conclusione. L’intera composizione si chiude con una serie di accordi forti e assertivi nella tonica, sigillando la narrazione con un senso di inequivocabile trionfo.
Nel complesso, la Battaille di Abel è molto più di un semplice pezzo per violini: è un piccolo dramma strumentale che dimostra la straordinaria capacità del compositore di fondere rigore formale, invenzione melodica e un potente senso narrativo.

La Gualterina – II


Girolamo Frescobaldi (1583 - 1643): Canzona nona detta la Gualterina a due canti (dal Primo libro delle canzoni, 1628). Musica Fiata e Novus Brass Quartet.
Ancora due interpretazioni di questa bella canzone strumentale che avevamo già ascoltato in altra occasione.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Girolamo Frescobaldi: vita, opere e eredità di un gigante del Barocco musicale

Giovinezza ferrarese e formazione sotto Luzzaschi
Frescobaldi nacque a Ferrara ai primi di settembre 1583 (battezzato il 13) nella famiglia di Filippo Frescobaldi e di una certa Lucrezia. La famiglia era di buona condizione, come testimonia l’acquisto di una casa nel 1584, ancora esistente. La sua formazione musicale avvenne sotto la guida di Luzzasco Luzzaschi, figura di spicco dell’ambiente musicale della corte estense di Alfonso II. La morte del duca nel 1597, senza eredi diretti, segnò la devoluzione di Ferrara alla Chiesa, un evento cruciale che cambiò le prospettive per gli artisti locali. È plausibile che il giovane Frescobaldi abbia assistito agli eventi musicali del novembre 1598 per le nozze tra Margherita d’Austria e Filippo III di Spagna, officiate a Ferrara dal papa Clemente VIII, che videro la presenza dei cantori pontifici (guidati da Ruggero Giovannelli) e della cappella ducale di Mantova (guidata da Claudio Monteverdi).

L’approdo a Roma e l’interludio fiammingo: prime pubblicazioni
La fine della corte estense spinse Frescobaldi, come altri artisti (incluso il suo maestro Luzzaschi, che pubblicò a Roma dedicando opere al cardinale Pietro Aldobrandini), a cercare nuovi mecenati. Si pose sotto la protezione dei Bentivoglio e probabilmente si recò a Roma con Guido Bentivoglio, nominato cameriere segreto del papa, forse già nel 1601. Sebbene fonti tardive lo indichino come organista (1603) e cantore (1604) della Congregazione dei musici di Roma, è certo il suo servizio come organista a S. Maria in Trastevere dal 1° gennaio al 31 maggio 1607. Nello stesso anno, Guido Bentivoglio fu designato nunzio apostolico in Fiandra e Frescobaldi lo seguì, viaggiando da giugno ad agosto fino a Bruxelles. Durante il suo soggiorno fiammingo (circa un anno), pur non essendo documentati contatti con musicisti locali come Pieter Cornet o Peter Philips, Frescobaldi preparò le sue prime pubblicazioni, tutte edite nel 1608: tre canzoni strumentali in un’antologia di Alessandro Raveri (Venezia), il Primo libro di madrigali a 5 voci (dedicato a Bentivoglio, Anversa) e il Primo libro delle fantasie a 4 voci (dedicato a Francesco Borghese, Milano). Sostò a Milano (giugno-luglio 1608) durante il viaggio di ritorno, riscontrando apprezzamento.

Organista a San Pietro: affermazione e dinamiche di mecenatismo
Grazie all’interessamento dei Bentivoglio e forse di Francesco Borghese, il 21 luglio 1608 Frescobaldi fu eletto quasi all’unanimità organista della Basilica di S. Pietro in Vaticano, succedendo a Ercole Pasquini, con uno stipendio di 6 scudi mensili. Prese servizio alla vigilia d’Ognissanti. Nel dicembre dello stesso anno, Enzo Bentivoglio (fratello di Guido) giunse a Roma come ambasciatore di Ferrara. Tuttavia, i rapporti con i Bentivoglio si interruppero bruscamente nel settembre 1609 a causa di un tentativo, da parte della famiglia, di far sposare Frescobaldi con una loro cantante, Angela, sua allieva, probabilmente per rimediare a una prepotenza subita dalla donna da parte del marchese Gaspare Martinengo. Nonostante la perdita di questa fonte di reddito, Frescobaldi trovò occasioni di guadagno esibendosi nei palazzi nobiliari romani, apprezzato come clavicembalista. Passò sotto la protezione degli Aldobrandini, in particolare del cardinale Pietro, cui dedicò nel 1615 il Primo libro dei ricercari e canzoni. Nel frattempo, il 18 febbraio 1613 sposò Orsola del Pino, da cui aveva già avuto un figlio, Francesco (1612), e da cui ebbe poi Maddalena (1613), Domenico (1614), Stefano e Caterina (1619).

Il Primo libro di toccate e la breve parentesi mantovana
La fama di Frescobaldi crebbe, attirando l’attenzione del cardinale Ferdinando Gonzaga, cui Frescobaldi dedicò il Primo libro di toccate e partite d’intavolatura di cembalo (dedica del 22 dicembre 1614). Quest’opera capitale ebbe una lunga gestazione compositiva e tipografica, con cinque edizioni fino alla versione finale del 1637; l’incisione delle lastre fu affidata all’allievo Niccolò Borboni già nel gennaio 1614. Parallelamente, si svolsero trattative per portare Frescobaldi al servizio dei Gonzaga a Mantova. Frescobaldi chiese un anticipo di 300 ducati (metà dello stipendio annuo) per coprire le spese di stampa delle Toccate, oltre a una casa e vitto. Giunse a Mantova il 28 febbraio 1615, ma il soggiorno fu breve: deluso dalla scarsa considerazione ricevuta dal duca (forse preoccupato per la guerra del Monferrato), tornò a Roma dopo soli due mesi, scrivendo al duca il 16 maggio per spiegare le proprie ragioni.

Un decennio di intensa attività editoriale e creativa a roma (1616-28 circa)
Negli anni successivi, Frescobaldi curò ristampe (Toccate, Ricercari e canzoni nel 1618) e pubblicò composizioni vocali in antologie. Nel 1622 un suo ingaggio come organista a Bologna non ebbe seguito. Il 1624 vide la luce un’altra opera centrale, il Primo libro di capricci, dedicato ad Alfonso, principe ereditario di Modena (Este), frutto di un lavoro meticoloso di correzione. Dal 1626, con l’editore veneziano Alessandro Vincenti, si aprirono orizzonti più ampi, con la ristampa cumulativa dei Capricci e dei Ricercari e canzoni. Il 1627 fu particolarmente fecondo, con il Secondo libro di toccate (dedicato a Luigi Gallo) e il Liber secundus diversarum modulationum (dedicato al cardinale Scipione Borghese). Nel 1628 pubblicò le Canzoni da sonare a più strumenti in duplice veste: in partitura (a cura dell’allievo Bartolomeo Grassi, dedicata a Girolamo Bonvisi) e in parti staccate (dedicate a Ferdinando II, granduca di Toscana).

L’esperienza fiorentina e il ritorno a Roma
La dedica a Ferdinando II de’ Medici preluse a un impiego come organista alla corte granducale di Firenze, dal dicembre 1628 all’aprile 1634. Durante questo periodo pubblicò i due libri di Arie musicali (1630), dedicati rispettivamente al granduca e a Roberto Obizzi. Partecipò a eventi musicali, come le celebrazioni per la canonizzazione di Andrea Corsini (1629, possibile esecuzione della sua Messa sopra l’aria di Fiorenza) e l’inaugurazione della Cattedrale di Colle di Val d’Elsa (1630). Fu anche organista del battistero fiorentino. Tra i suoi allievi fiorentini figurano Valerio Spada e Francesco Nigetti. Rientrato a Roma il 1° maggio 1634, riprese servizio a San Pietro con un aumento di stipendio e un beneficio per il figlio Domenico. A fine anno uscì un’edizione rielaborata delle Canzoni da sonare (dedicata al cardinal Desiderio Scaglia, 1635).

L’apice creativo: dai Fiori musicali alla versione definitiva delle Toccate
Nel 1635, presso Vincenti, pubblicò i Fiori musicali di diverse compositioni, opera XII, dedicata al cardinale Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII. Questa è considerata una delle sue opere capitali. Nel 1637 seguì la ristampa definitiva dei due libri di Toccate, con un’importante Aggiunta al primo libro, testimonianza della sua maturazione stilistica. Il frontespizio del primo libro reca lo stemma del cardinale Francesco Barberini. Con queste opere, Frescobaldi raggiunse l’apice della sua parabola creativa.

Gli ultimi anni, la morte e l’eredità familiare
Successivamente apparvero a stampa solo una Couranta (1640, in una raccolta tedesca), la ristampa dei Capricci (1642) e, postumo, l’ultimo libro di Canzoni da sonare (1645, curato da Vincenti). Frescobaldi morì a Roma il 1° marzo 1643, dopo dieci giorni di “febbre maligna”, nella sua abitazione alla salita di Magnanapoli. Ricevette solenni onoranze funebri. La famiglia si trasferì in Borgo Vecchio. Il figlio Domenico continuò il servizio in Vaticano, compose poesie latine e lasciò una discreta libreria e quadreria.

Frescobaldi nel contesto del barocco romano e la sua “doppia anima” stilistica
Frescobaldi è annoverato tra i maggiori compositori barocchi, accanto a Giovanni Gabrieli e Monteverdi, come creatore del nuovo linguaggio musicale. Operò in una Roma artisticamente fiorente sotto Urbano VIII, epicentro del Barocco con Bernini, Borromini e Pietro da Cortona. Sebbene forse non attentissimo alle trasformazioni artistiche coeve, la sua musica presenta la stessa antitesi tra tradizione e innovazione: da un lato, opere nel severo stile contrappuntistico rinascimentale (fantasie, ricercari, capricci); dall’altro, lo stile fantasioso e imprevedibile (“stile concertato”) di toccate, partite e danze, tipico del Barocco. Questa duplicità (“prima pratica” e “seconda pratica”) è caratteristica dell’epoca. Peculiarità di Frescobaldi fu animare il contrappunto con linfa personale e non concedersi ai generi più popolari come l’opera e la cantata. Le sue toccate derivano dalla poetica degli “affetti” del madrigale estense (influenza di Luzzaschi). Capricci e Fiori musicali denotano una destinazione a un uditorio colto, sorprendendo la sua protezione da mecenati che favorivano generi da lui trascurati.

Desiderio di corte e impatto dell’opera: influenze e diffusione
I tentativi falliti di passare al servizio delle corti di Mantova e Firenze rivelano il suo desiderio di un ambiente più congeniale, forse nostalgico della corte estense. Nonostante le sue preferenze compositive, non fu un isolato; la sua fama di esecutore e improvvisatore fu precoce. Il suo magistero compositivo destò presto interesse. Michelangelo Rossi sviluppò in modo impressionante la concezione strutturale frescobaldiana. Johann Jacob Froberger, suo allievo documentato (1637-41), fu cruciale per la diffusione del suo linguaggio Oltralpe, coadiuvata dalla circolazione di stampe e manoscritti (come l’Intavolatura di Torino). La sua ricezione è testimoniata da opere come il compendio di Spiridion a monte Carmelo, copie manoscritte tedesco-austriache, la copia dei Fiori musicali di J.S. Bach (1714), e riferimenti in trattati (Wegweiser, Muffat, Fuhrmann). La lezione frescobaldiana persistette sia nell’aspetto toccatistico sia in quello contrappuntistico, anche in Italia.

Influenze subite, originalità formale e sviluppi innovativi
Possibili influenze su Frescobaldi potrebbero venire dalla scuola napoletana (Maione, Trabaci), sebbene contestate. Affinità più strette si riscontrano con E. Pasquini e, per la scrittura toccatistica liutistica, con Kapsberger, Melli e Piccinini. L’originalità di Frescobaldi emerge nelle toccate (libere da schemi) e nelle forme severe: fantasie, per la scrittura imitativa tematica; capricci come genere a sé, unendo variazione, imitazione e “obblighi”. Le canzoni sono multisezionali con fioriture toccatistiche. Nelle opere mature, si notano sviluppi innovativi: l’abbinamento toccata-ricercare (Fiori musicali) o toccata-canzone, fino alla compenetrazione dei generi. Questa contaminazione influenzerà Rossi, Froberger e la toccata nordeuropea fino a Bach. La forma della variazione si evolve verso un’unità continua (Cento partite sopra passacagli, prototipo per ciaccone e passacaglie successive). Frescobaldi eccelleva sia nella composizione libera (“stylus phantasticus“) sia nell’elaborazione di arie tradizionali (Monica, Fiorenza, Bergamasca, Follia, ecc.), formule convenzionali (esacordi) o onomatopeiche (Battaglia, Cucù), e melodie gregoriane (Fiori musicali).

Pratiche editoriali e la questione dei manoscritti
Per la stampa, Frescobaldi utilizzò incisione su rame e caratteri mobili, e diverse notazioni: intavolatura (per i due libri di Toccate), partitura (maggioranza delle opere contrappuntistiche come Fantasie, Ricercari, Capricci, Fiori musicali, Arie musicali), e parti separate (Madrigali, Liber secundus, Canzoni a più strumenti). Tuttavia, la sua attività creativa non si esaurì nelle stampe. Fonti antiche (Bartolomeo Grassi nel 1628, la Nota delli musei del 1664) attestano l’esistenza di numerose composizioni manoscritte, un campo di indagine ancora aperto per accertare autenticità e lezioni.

Canzona nona detta la Gualterina: analisi
Il brano è è tratto dal Primo libro delle canzoni a una, due, tre e quattro voci pubblicato da Frescobaldi nel 1628. Questo libro rappresenta un importante contributo al repertorio strumentale del primo Barocco italiano. La canzona, come forma, deriva dalla chanson polivocale franco-fiamminga e, nel XVII secolo, si era evoluta in una composizione strumentale multi-sezionale, caratterizzata da contrasti di tempo, metro, tessitura e carattere. La dicitura “a due canti” indica due linee melodiche superiori, sostenute dal basso continuo. La Gualterina è un esempio della maestria di Frescobaldi nel creare musica strumentale espressiva e virtuosistica. La canzona si articola in diverse sezioni chiaramente distinguibili, tipico dello stile frescobaldiano, che creano un mosaico sonoro ricco di varietà.
La prima sezione stabilisce subito un carattere energico, brillante e propulsivo, iniziando immediatamente con un vivace dialogo imitativo fra le due parti strumentali. La prima introduce un motivo ascendente con una figura ritmica puntata seguita da valori più brevi, a cui la seconda “voce” risponde quasi subito, creando un fitto intreccio contrappuntistico. Le linee melodiche sono agili, con passaggi scalari e intervalli non molto ampi. Prevalgono ritmi incalzanti, con un uso efficace di semicrome e crome che conferiscono slancio. Il basso continuo fornisce un solido supporto armonico e ritmico, sottolineando le cadenze e riempiendo l’armonia.
La seconda sezione contrasta di netto con la sezione precedente e ha carattere più lirico, cantabile, quasi malinconico o contemplativo. L’imitazione continua, ma con frasi più lunghe e un andamento più rilassato. due voci si intrecciano in modo più sinuoso. Si notano alcune dissonanze passeggere e risoluzioni che accrescono la tensione emotiva. I valori ritmici si allungano (semiminime, minime), contribuendo al carattere più pacato. Il continuo si fa più discreto, sostenendo le lunghe note delle due voci superiori e sottolineando le armonie cromatiche o più ricercate.
La terza sezione reintroduce un’atmosfera più vivace e ritmata, quasi di danza stilizzata. Le due voci superiori procedono spesso in modo più omoritmico o in imitazioni molto strette, creando una sensazione di compattezza. I motivi sono brevi, incisivi e ritmicamente ben definiti e le figure ritmiche sono ben scandite, con un andamento che potrebbe ricordare una vivace danza di corte. Il continuo fornisce un impulso ritmico marcato, quasi percussivo in alcuni momenti.
La quarta sezione è chiaramente danzante, leggero e aggraziato e ricorda una giga o una corrente veloce. Si stabilisce un dialogo serrato tra le voci superiori, con scambi di brevi frasi melodiche e ritmiche. Le melodie sono agili e presentano un profilo che segue l’andamento tipico delle danze in metro ternario: il ritmo dà un senso di fluidità e movimento circolare, mentre il continuo scandisce chiaramente il metro, supportando l’atmosfera di danza.
La quinta sezione è simile alla prima, ma forse con un accento ancora maggiore sul virtuosismo e sulla complessità contrappuntistica. Si può percepire qui un intenso lavoro imitativo, con passaggi veloci e brillanti che mettono in luce l’abilità tecnica degli interpreti. Si notano anche momenti di “stretto”, dove le entrate imitative si accavallano. Le linee melodiche sono molto elaborate, ricche di fioriture e passaggi di agilità e dominano figure ritmiche veloci e complesse. Il continuo è attivo e reattivo, seguendo e supportando i rapidi scambi delle voci superiori.
La sesta sezione porta di nuovo a un forte contrasto, simile alla seconda sezione ma forse con una maggiore intensità armonica ed espressiva. Le due voci superiori si muovono in modo più omogeneo o in lente imitazioni, creando armonie dense e ricche. Le frasi sono lunghe e sostenute, con un uso più audace della dissonanza e del cromatismo per fini espressivi, tipico dello “stile cromatico” frescobaldiano. Vi sono valori lunghi che permettono alle armonie di risuonare e all’espressione di approfondirsi. Il continuo gioca un ruolo cruciale nel realizzare le armonie ricercate di questa sezione.
La sezione seguente riprende un fitto dialogo imitativo, con una scrittura che spinge verso la conclusione. Vi sono motivi incisivi e brillanti, con passaggi che aumentano la tensione verso la cadenza finale, accanto a ritmi vivaci e propulsivi, con un progressivo stringendo implicito verso la fine. Il continuo è molto presente, fornendo una solida base armonica e un forte impulso ritmico per la conclusione. La canzona si conclude con una cadenza plagale o autentica ben affermata nella tonalità principale, conferendo un senso di chiusura definitiva.

La Gualterina è un eccellente esempio della forma canzona multi-sezionale, dove Frescobaldi dimostra la sua abilità nel giustapporre sezioni contrastanti per creare un’opera coesa ma varia. La logica formale risiede più nella successione di “affetti” e stili diversi che in uno sviluppo tematico rigoroso. Emerge chiaramente la “doppia anima” di Frescobaldi: da un lato il rigore contrappuntistico e la serietà espressiva, dall’altro la fantasia, il virtuosismo e l’attenzione al dettaglio ritmico e melodico. L’uso di sezioni Adagio ricche di dissonanze ed espressione (“durezze e ligature”) è un marchio di fabbrica. Nel complesso, il pezzo è una composizione affascinante che dimostra la genialità di Frescobaldi nel campo della musica strumentale. La sua struttura episodica, ricca di contrasti e di invenzioni melodiche e ritmiche, la rende un pezzo emblematico del primo Barocco.

Affinché i frutti maturino questa estate

Karel Goeyvaerts (8 giugno 1923 - 1993): Pourque les fruits mûrissent cet été per 7 esecutori e 14 strumenti rinascimentali (1975-76). Renaissance Ensemble.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Karel Goeyvaerts: pioniere dell’avanguardia alla ricerca dell’essenza sonora

Karel Goeyvaerts viene ricordato come un influente compositore belga, la cui opera è guidata dalla convinzione che «la musica ha per compito di presentare l’essenza nel tempo e nello spazio».

Formazione e primi passi
Goeyvaerts intraprese studi musicali approfonditi, dapprima al Conservatorio reale di Anversa (1943-47), dove studiò pianoforte, armonia, fuga, composizione e storia della musica, e poi al Conservatorio nazionale di Parigi (1947-50), dove studiò con Darius Milhaud (composizione), Olivier Messiaen (analisi musicale) e Maurice Martenot (onde Martenot). Durante questo periodo formativo, ottenne il Premio «Lily Boulanger» (1949) e il Premio «Fernand Halphen» (1950). Tornato ad Anversa, tra il 1950 e il 1957, realizzò le sue prime sette composizioni e insegnò storia della musica, lasciando appunti che rivelano il suo progetto estetico dell’epoca.

Carriera intermittente e ritorno alla musica
La sua carriera musicale subì un’interruzione dal 1957 al 1970, periodo in cui lavorò come funzionario per la Sabena (la compagnia aerea di bandiera belga). Riprese poi attivamente il suo percorso musicale, lavorando come produttore per la radio belga presso lo studio dell’Instituut voor Psychoacustica en Elektronische Muziek (IPEM, 1972-74) e per Radio Bruxelles (1975 88). Nel 1985 fu eletto presidente della tribuna internazionale dei compositori dell’UNESCO, mentre l’anno prima della sua morte (1992) fu nominato professore di nuova musica all’Università cattolica di Lovanio.

La Sonata per 2 pianoforti e l’emergenza del serialismo
Diceva Goeyvaerts: «La musica è l’oggettivazione di un dato spirituale in una struttura sonora». Inizialmente influenzato da Stravinskij, Bartók e Hindemith, nel 1950 rinnegò la sua produzione precedente per volgersi a Schoenberg, Messiaen e Webern, che lo segnarono profondamente. La Sonata per 2 pianoforti, composta tra l’inverno 1950 e il 1951, rappresenta una sintesi tra le idee di Messiaen (organizzazione pre-compositiva dei parametri musicali, con richiami all’isoritmia dell’Ars nova francese) e l’applicazione weberniana del dodecafonismo (la serie come definizione di qualità strutturali, non come tema; posizioni d’ottava fisse; tentativi di serializzare durate, dinamiche, timbri; ordine simmetrico). L’opera fu analizzata e presentata al seminario di Darmstadt nel 1951, eseguita da Goeyvaerts e Karlheinz Stockhausen. Theodor Adorno, che sostituiva Schoenberg, non accolse favorevolmente l’approccio speculativo. Il movimento centrale di questa Sonata è considerato il primo esempio di serialismo generalizzato e punto di partenza del serialismo "puntillista" di Darmstadt, estendendo l’applicazione seriale a tutti i parametri sonori. La Sonata ebbe un’influenza cruciale sulla giovane avanguardia, in particolare su Stockhausen, con cui Goeyvaerts ebbe un intenso scambio epistolare e un rapporto di mutua influenza. Tuttavia, la Sonata e il Concerto per violino e orchestra (1951) sono opere di transizione, ibride. Nel Concerto, la purezza strutturale entra in conflitto con le esigenze formali del genere, mentre nella Sonata solo i movimenti centrali mostrano una rigida organizzazione seriale, a differenza delle parti esterne che mantengono caratteristiche non seriali. Il serialismo generalizzato si manifesterà più chiaramente solo in seguito.

Il serialismo generalizzato compiuto
Con il Concerto per 13 strumenti (1951) Goeyvaerts realizza un’opera in cui ogni aspetto, dalla forma generale ai minimi dettagli, è governato da un unico principio seriale. Quest’opera è considerata l’esempio più preciso di serialismo generalizzato, accanto ai lavori coevi di Milton Babbitt e Pierre Boulez. Il concerto è basato su una serie di cifre applicata rigorosamente all’organizzazione dei sei parametri. Similmente, in met gestreken en geslagen tonen (1952), l’essenza è oggettivata in modo assoluto nella struttura sonora, con ogni suono isolato e seguito da una pausa. Dopo di questa, Goeyvaerts si orientò verso la musica elettroacustica per risolvere i problemi di interpretazione e organizzazione timbrica posti dalle opere seriali.

Pioniere della musica elettronica
Grazie all’amicizia con Stockhausen, Goeyvaerts fu invitato allo studio NordWest Deutscher (NWD) di Colonia, diventando uno dei primi compositori a utilizzare l’elettronica. Durante questi anni, scrisse:

  • Compositie Nr.4 met dode tonen (1952): la sua prima partitura elettronica, costituita da quattro strati sonori di uguale durata ripetuti invariabilmente, con pause variabili serialmente tra le ripetizioni (anticipando il phasing di teve Reich). I "suoni morti" (statici) dovevano essere complessi e armonicamente eterogenei. Fu eseguita solo negli anni ’70 all’IPEM di Gand;

  • Compositie Nr. 5 met zuivere tonen (1953): utilizza suoni sinusoidali ("puri", senza armonici), producibili solo elettronicamente;

  • Compositie Nr. 6 met 180 klankvoorwerpen (1954): cerca un compromesso tra suoni strumentali ed elettronici. Composta per orchestra, la sua complessità esecutiva spinse all’uso dell’elettronica;

  • Compositie Nr.7 met convergende en divergende niveaux (1955): sovrapposizione di glissandi su nastro magnetico. A causa della sua modestia e ingenuità, Goeyvaerts fu messo da parte e tornò in Belgio. Le sue composizioni seriali (Opus 2, Opus 3, Composizione N. 6 per ensemble; Composizioni N. 4, 5, 7 per nastro) raggiungono un livello di astrazione senza precedenti, distinguendosi per la ricerca dell’"oggettivazione di un dato spirituale in una struttura sonora" rispetto alle dimensioni drammatiche e poetiche di Stockhausen e Boulez. Dalla metà degli anni ’50, tuttavia, Goeyvaerts si rese conto che il serialismo generalizzato non produceva l’alta organizzazione attesa, specialmente per l’ascoltatore, e finì per abbandonare questa tecnica, a differenza di colleghi che integrarono gradi di indeterminatezza. Nel 1957 si ritirò temporaneamente, continuando a comporre e preparando una fase sperimentale più libera. Tra la fase elettronica e quella sperimentale compose opere di grande forma come Diaphonie (1957), Improperia (1958) e la Passione secondo San Giovanni (1959).

La fase sperimentale: alla ricerca di un linguaggio (1960-75)
Questo periodo è caratterizzato da una sistematica esplorazione di diverse possibilità: improvvisazioni da "serbatoi" di note (Zomerspelen, 1961); integrazione tra strumenti tradizionali e nastro magnetico (Stuk Voor Piano, 1964). Qui i suoni del pianoforte sono pre-registrati e manipolati, creando una dialettica tra determinismo del nastro e interpretazione parzialmente indeterminata. Ricorse anche a materiali fonetici (Goathemala, 1966), forze variabili (Parcours, 1967), partitura grafica (Actief-reactief, 1968), partitura verbale (Vanuit de kern, 1969), teatro strumentale (Catch à quatre, 1969) e coinvolgimento del pubblico (Al naar Gelang, 1971) o degli interpreti (Piano quartet met magnetofoon, 1972). In quest’ultima, i musicisti registrano bollettini d’informazione e commentano il nastro usando 7 foglietti (numero feticcio di Goeyvaerts) con indicazioni su esecuzione e materiali. Queste opere, pur riflettendo l’emancipazione musicale degli anni ’60-’70, manifestano i principi strutturali cari a Goeyvaerts sin dagli anni ’50: processi ciclici, inversioni simmetriche, alto grado di astrazione e pianificazione matematica sotto un’apparente vitalità aleatoria. Nel 1970 fu nominato produttore all’IPEM e poi primo produttore di musica contemporanea della BRT.

Il minimalismo goeyvaertiano (1975-82)
Dal 1975, Goeyvaerts perseguì il suo obiettivo estetico attraverso un’interpretazione personale del minimalismo: una tecnica di "ripetizione evolutiva". Una cellula ritmica di durata fissa viene ripetuta, aggiungendo un nuovo elemento a ogni ripetizione, creando "un discorso organizzato come un rituale". Una volta completa, la cellula si disintegra gradualmente. Questo principio è evidente nel ciclo delle cinque Litanies (1979-1982). Per esempio, Litanie I (1979) consta di sette sequenze diverse che si ripetono ciclicamente e ogni sequenza è una ripetizione di un modulo a tempo fisso, con elementi aggiunti e poi sottratti. Goeyvaerts sovrappone fino a quattro moduli. Aquarius-Tango (1984) e Pas à pas (1985) sono basate sullo stesso principio, ma più uniformi e con ripetizione ostinata. La prima è "elegante e generosa", la seconda più "diretta e aggressiva", entrambe derivate da elementi dell’opera Aquarius, mostrando i contrasti estetici del compositore.

La visione utopica: Aquarius e gli ultimi anni (1983-93)
L’opera Aquarius occupò gli ultimi dieci anni della sua vita. Non ricevendo commissioni, la divise in pezzi indipendenti (orchestrali, da camera, corali) come scene potenziali. Aquarius illustra un progetto utopico: l’emergere graduale di una società egualitaria in cui ognuno ha un posto secondo le proprie capacità. Il testo è principalmente fonetico. I cantanti (8 soprani, 8 baritoni) sono usati come gruppi. Il linguaggio compositivo è descritto come "nuova tonalità", ma persistono aspetti del serialismo come la coincidenza tra macro e microstruttura e l’intercambiabilità delle dimensioni orizzontali e verticali. Nel giugno 1985, fu eletto presidente della tribuna internazionale dei compositori dell’UNESCO e divenne membro dell’Accademia Reale del Belgio. Nel 1992, ottenne una cattedra di nuova musica alla KUL (Università Cattolica di Lovanio), incarico che prevedeva la composizione di Alba per Alban. Quest’opera rimase incompiuta a causa della sua morte, avvenuta nella sua città natale il 3 febbraio 1993.

Pourque les fruits mûrissent cet été: analisi
Il brano si colloca in una fase matura della produzione di Goeyvaerts, specificamente nel suo periodo "minimalista" (1975-82). Quest’opera è emblematica della sua personale interpretazione del minimalismo e non si limita a una semplice ripetizione statica, ma esplora processi evolutivi lenti e organici. La scelta di un ensemble di strumenti rinascimentali è particolarmente significativa, conferendo all’estetica minimalista una patina sonora arcaica e al contempo sorprendentemente moderna, creando un ponte tra epoche distanti. Fin dalle prime note, il brano instaura un’atmosfera profondamente meditativa, quasi ritualistica. Il titolo stesso suggerisce un processo naturale, lento e inesorabile, come la maturazione dei frutti sotto il sole estivo. La musica riflette questa idea attraverso la sua gradualità, la sua pazienza e la sua organica espansione e contrazione. C’è un senso di tempo sospeso, di contemplazione di un fenomeno naturale che si svela lentamente all’ascoltatore. Il video, con gli esecutori disposti in cerchio o semicerchio e la loro concentrazione serena, amplifica questa sensazione di rito collettivo. La scelta di 14 strumenti rinascimentali per 7 esecutori implica che alcuni musicisti suonino più di uno strumento, contribuendo a una tavolozza timbrica variata pur mantenendo una coerenza stilistica. Tra questi, si ricordano:

  • flauti dolci: forniscono le linee melodiche più eteree, note lunghe e tenute, e creano armonie diafane e trasparenti. Il loro suono puro e leggermente soffiato è centrale nell’opera;

  • cromorni: con il loro caratteristico timbro ronzante, nasale e leggermente aspro, i cromorni sono fondamentali per creare i bordoni e gli ostinati nelle tessiture più gravi, conferendo un forte sapore arcaico;

  • strumenti a pizzico (liuto, vihuela, cetra): si percepiscono strumenti a corde pizzicate che offrono arpeggi delicati, un leggero sostegno armonico e un colore timbrico contrastante rispetto ai fiati;

  • piccole percussioni: l’uso di percussioni (come campanelli, piccoli tamburi a cornice o cimbali a dita) è estremamente parco e coloristico, utilizzato per marcare sezioni o aggiungere un tocco rituale puntillistico;

La combinazione di questi timbri crea un paesaggio sonoro unico, che evoca una sorta di "sacralità arcaica modernizzata", perfettamente in linea con l’estetica processuale e contemplativa di Goeyvaerts.
Il brano s’inizia in modo estremamente rarefatto, spesso con una singola linea melodica o una nota tenuta da un flauto dolce acuto. Lentamente, altri strumenti entrano, aggiungendo strati sonori. Questa entrata non è casuale ma segue un processo pianificato: inizialmente, si aggiungono note tenute che formano bordoni o cluster armonici statici, mentre successivamente, piccole cellule melodico-ritmiche vengono introdotte e sovrapposte. Le cellule musicali, spesso brevi e semplici, vengono ripetute numerose volte. Tuttavia, questa ripetizione non è mai meccanica. Ad ogni iterazione, o dopo un certo numero di iterazioni, un nuovo elemento viene aggiunto (una nuova nota alla cellula, una nuova armonizzazione, l’entrata di un nuovo strumento con lo stesso materiale o materiale complementare) o un elemento esistente viene leggermente modificato (altezza, ritmo, timbro). La sovrapposizione di linee simili ma non perfettamente sincronizzate o con micro-variazioni ritmiche crea un effetto di "fasatura" (phasing), generando tessiture cangianti e scintillanti, particolarmente evidenti quando più flauti dolci interagiscono. Il processo di trasformazione è estremamente lento, inducendo un senso di tempo dilatato e favorendo un ascolto contemplativo e immersivo. L’ascoltatore è invitato a percepire le minime variazioni e l’evoluzione organica del materiale sonoro. Dopo aver raggiunto un culmine di densità testuale e complessità (sempre relativa e mai caotica), il brano spesso inizia un processo inverso di rarefazione, dove gli strumenti gradualmente escono o i motivi si semplificano, ritornando a una sonorità più spoglia, simile a quella iniziale, ma arricchita dall’esperienza del percorso sonoro compiuto.
L’armonia è prevalentemente consonante, spesso modale o pandiatonica, evitando le tensioni e risoluzioni tipiche della tonalità funzionale. I bordoni, forniti principalmente dai cromorni e dai flauti dolci bassi, costituiscono il fondamento armonico su cui si innestano le altre linee. Si creano cluster sonori statici o lentamente cangianti, con dissonanze che emergono naturalmente dalla sovrapposizione delle linee ma che non hanno una funzione tensiva tradizionale, risolvendosi dolcemente nel tessuto sonoro. Le linee melodiche, invece, sono costituite da brevi frammenti, spesso diatonici, caratterizzati da movimento congiunto o da note tenute. Non ci sono melodie ampie e sviluppate nel senso tradizionale; piuttosto, sono cellule motiviche che, attraverso la ripetizione e la variazione, contribuiscono alla costruzione del tessuto polifonico e all’atmosfera generale. La semplicità del materiale melodico è cruciale per la chiarezza del processo compositivo.
Il brano è caratterizzato da un tempo estremamente lento e da una pulsazione ritmica spesso impercettibile o molto fluida. L’assenza di un forte e regolare impulso metrico contribuisce al senso di tempo sospeso e all’atmosfera ritualistica. L’enfasi è sulla durata delle note e sulla lenta trasformazione dei pattern ritmici, piuttosto che su una scansione metrica definita. Questo approccio al ritmo è tipico di molta musica minimalista e contemplativa. La forma del pezzo non segue schemi tradizionali (come la forma-sonata o il rondò) ma è generata dal processo compositivo stesso. Si può parlare di una forma processuale o ciclica, caratterizzata da fasi di:

  1. esposizione rarefatta: inizio con pochi elementi;

  2. accumulazione: graduale aggiunta di strati strumentali e complessità motivica;

  3. culmine (relativo): momento di massima densità sonora e interazione tra le parti;

  4. rarefazione: graduale diradamento della texture, ritorno a elementi più semplici.

Questi cicli di accumulazione e rarefazione possono ripetersi più volte all’interno del brano, creando onde di intensità sonora. La struttura è organica, simile alla crescita e al decadimento osservabili in natura.
Le dinamiche sono generalmente contenute, variando dal pianissimo al mezzoforte, con crescendi e diminuendi molto graduali che seguono l’andamento della densità testuale. L’espressività non deriva da gesti drammatici o contrasti violenti, ma dalla sottile bellezza delle combinazioni timbriche, dalla purezza delle linee e dalla qualità ipnotica e meditativa del processo evolutivo.

Nel complesso, Pourque les fruits mûrissent cet été è un’opera affascinante che dimostra la maestria di Karel Goeyvaerts nel creare un universo sonoro unico e profondamente personale. Attraverso l’uso inedito di strumenti rinascimentali in un contesto minimalista, il compositore riesce a evocare un’atmosfera arcaica e rituale, pur utilizzando tecniche compositive rigorose e innovative. Il brano invita a un ascolto attento e contemplativo, permettendo all’ascoltatore di immergersi nel lento e organico processo di maturazione sonora, proprio come suggerito dal titolo. È un eccellente esempio di come il minimalismo possa andare oltre la semplice ripetizione, diventando un veicolo per esplorare la bellezza intrinseca del suono e del tempo.

Aria: Gracioso

Jacques Aubert le Vieux (1689 - 19 maggio 1753): Concerto à quatre violons in mi minore op. 17 n. 4 (1734). Ensemble Les Cyclopes.

  1. Allegro
  2. Aria: Gracioso [2:10]
  3. Allegro [5:41]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Jacques Aubert: l’arco virtuoso che unì Italia e Francia nel Barocco

Biografia e inizi di carriera: la formazione di un talento
Nato a Parigi, Jacques Aubert era probabilmente figlio di Jean Aubert, membro dei «Vingt-quatre Violons du Roy» fino alla sua morte nel 1710. Il giovane fu allievo del celebre Jean-Baptiste Senaillé e, già nel 1717, era attivo nei Théâtres de la Foire come violinista e maestro di ballo, avendo già composto almeno cinque balletti e commedie. Nel 1719, invece, pubblicò il suo primo libro di sonate per violino e iniziò a lavorare al servizio di Luigi Enrico, duca di Borbone e principe di Condé.

L’ascesa professionale: incarichi di prestigio
La carriera di Aubert decollò nel 1727, quando sostituì il rispettato violinista Noël Converset nei «Vingt-quatre Violons du Roy», rimanendovi fino al 1746. Solo un anno dopo, entrò a far parte dell’orchestra dell’Opéra di Parigi (all’epoca chiamata Académie Royale de Musique) come primo violino, incarico mantenuto fino al 1752. Il suo debutto al «Concert Spirituel» avvenne nel 1729, consolidando la sua fama di solista.

Stile musicale: fusione tra virtuosismo italiano ed eleganza francese
Aubert fu una figura chiave — insieme a Jean-Joseph Cassanéa de Mondonville e Jean-Marie Leclair — nell’introdurre il virtuosismo violinistico italiano nel panorama musicale francese dell’epoca. Nonostante questa influenza, la sua musica mantenne forti elementi francesi: utilizzò forme tipiche come la gavotta e il minuetto e, in modo distintivo, scrisse per intero i movimenti lenti centrali delle sue composizioni, pubblicandoli anche come pezzi solistici.

Analisi del Concerto op. 17 n. 4
Questo Concerto à quatre violons è un brillante esempio della fusione stilistica tipica del Barocco francese, la quale accoglieva con entusiasmo il virtuosismo italiano pur mantenendo una distintiva eleganza e chiarezza formale tipicamente francesi.
Il primo movimento si apre con un’energia vivace e decisa, tipica di un Allegro barocco. L’orchestra (tutti) introduce il tema principale in mi minore, caratterizzato da una ritmica marcata e una melodia incisiva. Questa sezione iniziale stabilisce immediatamente il tono vigoroso e la tonalità del movimento. I quattro violini solisti entrano progressivamente, spesso in imitazione o in dialogo serrato tra loro. Emerge chiaramente l’influenza italiana nel trattamento virtuosistico degli strumenti, con passaggi agili e brillanti. Aubert sfrutta abilmente le possibilità offerte dai quattro solisti, creando trame contrappuntistiche complesse ma sempre chiare. Si possono distinguere episodi in cui i violini si rispondono, si sovrappongono o procedono in parallelo, spesso a coppie.
Il movimento è in forma di rondeau: il tema principale orchestrale (refrain) ricompare a intervalli, alternandosi a episodi solistici (couplets) in cui i violini sviluppano il materiale tematico o introducono nuove idee melodiche e passaggi virtuosistici. Le modulazioni armoniche conducono a tonalità vicine prima di ritornare alla tonica.
La tessitura varia efficacemente tra le sezioni di “tutti” orchestrali, più dense e corpose, e quelle solistiche, più leggere e trasparenti, permettendo ai singoli violini di emergere. Le dinamiche, pur non esasperate, contribuiscono a delineare la struttura e l’espressività del brano, con naturali crescendi e diminuendi che sottolineano le frasi musicali. L’energia ritmica, la chiarezza melodica e l’eleganza generale richiamano lo stile francese, mentre i passaggi solistici più brillanti e le sequenze imitative mostrano una chiara assimilazione del virtuosismo violinistico italiano, come quello di Corelli o Vivaldi. La scrittura per i quattro violini è ingegnosa e dimostra la padronanza di Aubert nel gestire un ensemble solistico così nutrito. Il movimento si conclude con una ripresa energica del materiale tematico principale e una cadenza decisa in mi minore, riaffermando la tonalità d’impianto.
L’Aria introduce un netto contrasto con il movimento precedente. Il tempo è più lento e il carattere è “Gracioso”, come indicato, suggerendo grazia, eleganza e un andamento cantabile. La tonalità si sposta verso un ambito maggiore, conferendo al brano un’atmosfera più serena e lirica. I violini solisti assumono un ruolo prettamente melodico, con linee più lunghe, sostenute e ricche di cantabilità espressiva. Aubert qui sembra privilegiare l’eleganza melodica tipicamente francese. L’interazione tra i solisti è delicata, con passaggi in cui si intrecciano in armonie raffinate o si scambiano brevi frammenti melodici. L’orchestra fornisce un accompagnamento discreto e soffuso, principalmente con accordi sostenuti che creano un tappeto armonico su cui si dispiegano le melodie dei solisti.
Il movimento ha una natura più intima e riflessiva. La melodia principale, presentata all’inizio, viene variata e sviluppata con ornamentazioni delicate e un fraseggio espressivo. La struttura potrebbe essere assimilabile a una forma tripartita (ABA’), con sezioni che esplorano diverse sfumature emotive pur mantenendo un carattere unitario. La conclusione è dolce, con una cadenza sospesa o che prepara l’attacco del finale, lasciando un senso di quiete contemplativa.
Il finale riprende l’energia e la vivacità del primo movimento, ritornando alla tonalità principale e stabilendo un carattere brillante e propulsivo. Vengono introdotti nuovi temi, ritmicamente vivaci e spesso caratterizzati da passaggi scalari e arpeggiati che mettono in luce l’agilità dei solisti. Il virtuosismo è ancora più marcato rispetto al primo Allegro, con scambi rapidi tra i quattro violini, passaggi all’unisono o in ottava che creano un effetto di grande impatto sonoro.
Anche questo movimento è in forma di rondeau, con il tema principale orchestrale che si alterna a episodi solistici pieni di brio. C’è un forte senso di progressione e accumulo di tensione, con sezioni che presentano un dialogo fitto e tecnicamente impegnativo tra i solisti. L’interazione tra i quattro violini è il cuore del movimento: Aubert crea momenti di grande complessità contrappuntistica, dove le diverse voci si inseguono e si intrecciano, ma anche sezioni più omofoniche in cui i solisti procedono insieme, creando un suono potente e coeso. L’influenza italiana è palpabile nella scrittura brillante e tecnicamente esigente. Il concerto si conclude con una cadenza finale enfatica e affermativa in mi minore, sigillando l’opera con un’esplosione di energia e virtuosismo.
Con questo concerto Aubert dimostra una notevole abilità nel bilanciare le esigenze del virtuosismo solistico con la coerenza strutturale e l’eleganza melodica. L’uso di quattro violini solisti è gestito con maestria, evitando la confusione e creando piuttosto un dialogo ricco e variegato.

Del ciel regina

Marco da Gagliano (1º maggio 1582 - 1643): Vergine bella, canzone spirituale a 3 voci e basso continuo (pubblicata in Musiche a una dua e tre voci, 1615, n. 21) su testo di Francesco Petrarca (Canzoniere 366, 1ª strofe). Ensemble La Fenice, dir. Jean Tubéry.

Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so ’ncominciar senza tu’ aita,
et di Colui ch’amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamò con fede:
Vergine, s’a mercede
miseria extrema de l’humane cose
già mai ti volse, al mio prego t’inchina,
soccorri a la mia guerra,
bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina.

Dolore indicibile

Ludwig Senfl (1486 - 1543): Unsäglich Schmerz, Lied. Tore Tom Denys, tenore; Ensemble La Caccia, dir. Patrick Denecker.

Unsäglich Schmerz
empfind’t mein Herz
versehrt an allen Enden.
Ich fürcht’ es wöll’
mir Ungefäll
mein Freud’ auf Erden wenden.
Durch Scheidens Fall
Seufzen ohn’ Zahl
wird ich zu allen Stunden
bedenken das, wie es vor was:
tuet mein Gmüet verwunden, verwunden.

Rat zue Gelück
der Sorgen Strick
nimm weg und tue verhüeten
mit Freuden die
der ich mich nie
zue sehen an mocht nieten
daß ihrer Ehr’
durch Weges Fähr’
beschehe kein Verletzen.
Elend bleib ich
und mein als mich
auf Erd’ ihr’r mag ergetzen.

Stät Leid und Klag
wird mir kein Tag
mein Leben lang verlassen.
Oft wünschen mir,
daß ich von ihr
nie hätt’ erkennt dermaßen
schön Zucht und Bärd’
kein Sach auf Erd’
bringt mir solichen Schmerzen.
Treulich ohn’ List
bleibt sie und ist
der halb’ Teil meines Herzen.

Planctus David

Pietro Abelardo (1079 - 21 aprile 1142): Planctus David super Saul et Ionatha. Ensemble für frühe Musik Augsburg.

Dolorum solatium,
Laborum remedium,
Mihi mea cithara,
Nunc quo major dolor est,
Justiorque moeror est
Plus est necessaria.

Strages magna populi,
Regis mors et filii,
Hostium victoria,
Ducum desolatio,
Vulgi desperatio,
Luctu replent omnia.

Amalech invaluit
Israel dum corruit,
Infidelis jubilat
Philistaea
Dum lamentis macerat
Se Judaea.

Insultat fidelibus Infidelis populus;
In honorem maximum
Plebs adversa,
In derisum omnium
Fit divina.

Insultantes inquiunt:
“Ecce de quo garriunt,
Qualiter hos perdidit
Deus summus,
Dum a multis occidit
Dominus prostratus.”

Quem primum his praebuit,
Victus rex occubuit;
Talis est electio
Derisui,
Talis consecratio
Vatis magni.

Saul regum fortissime,
Virtus invicta Jonathae,
Qui vos nequit vincere,
Permissus est occidere.

Quasi non esset oleo
Consecratus dominico,
Scelestae manus gladio
Jugulatur in praelio.

Plus fratre mihi Jonatha,
In una mecum anima,
Quae peccata, quae scelera,
Nostra sciderunt viscera!

Expertes montes Gelboe,
Roris sitis et pluviae,
Nec agrorum primitiae
Vestrae succurrunt incolae.

Vae, vae tibi, madida
Tellus caede regia!
Quare te, mi Jonatha,
Manus stravit impia?

Ubi Christus Domini,
Israelque inclyti,
Morte miserabili
Sunt cum suis perditi?

Tu mihi nunc, Jonatha,
Flendus super omnia,
Inter cuncta gaudia
Perpes erit lacryma.

Planctus, Sion filiae,
Super Saul sumite,
Largo cujus munere
Vos ornabant purpurae.

Heu! cur consilio
Acquievi pessimo,
Ut tibi praesidio
Non essem in praelio?

Vel confossus pariter
Morirer feliciter,
Quum, quod amor faciat,
Majus hoc non habeat.

Et me post te vivere
Mori sit assidue,
Nec ad vitam anima
Satis est dimidia.

Vicem amicitiae
Vel unam me reddere,
Oportebat tempore
Summae tunc angustiae;

Triumphi participem
Vel ruinae comitem,
Ut te vel eriperem
Vel tecum occumberem,

Vitam pro te finiens,
Quam salvasti totiens,
Ut et mors nos jungeret
Magis quam disjungeret.

Infausta victoria
Potitus, interea,
Quam vana, quam brevia
Hic percepi gaudia!

Quam cito durissimus
Est secutus nuntius,
Quem in sua anima
Locuta est superbia!

Mortuos quos nuntiat
Illata mors aggregat,
Ut doloris nuntius
Doloris sit socius.

Do quietem fidibus:
Vellem ut et planctibus
Sic possem et fletibus!
Caesis pulsu manibus,
Raucis planctu vocibus
Deficit et spiritus.


Il planctus (compianto, lamentazione) è una forma poetico-musicale le cui origini risalgono all’e­poca carolingia. Dei temi trattati nei testi v’è una certa varietà: si va dal lamento funebre vero e proprio al lamento d’amore, alla rivisitazione di episodi biblici. Il più antico planctus conosciuto è A solis ortus usque ad occidua ovvero Planctus de obitu Karoli, scritto in morte di Carlo Magno († 814) da un monaco dell’Abbazia di San Colombano a Bobbio.
La maggior parte dei planctus pervenutici hanno testo in latino, ma nel corso del Medioevo si de­di­ca­rono al genere anche autori in lingua d’oc (planh), in lingua d’oïl (plainte o complainte) e in inglese (dirge). Il più famoso fra i trovatori italiani, Sordello da Goito (XIII secolo), compose in lingua d’oc Planher vuelh en Blacatz en aquest leugier so, compianto in morte di Blacas de Blacas, un feudatario provenzale che si era distinto per il suo mecenatismo.
Fra gli esempi in lingua inglese, uno dei più noti è costituito dal quattrocentesco Lyke-Wake Dirge, che fra l’altro è stato musicato da Benjamin Britten (fa parte della Serenade op. 31).

Oltre al Planctus David super Saul et Ionatha, Abelardo compose altri cinque planctus, tutti con testo latino e di argomento biblico.

Elogio della Follia – III

La folía. Atrium Musicae de Madrid, dir. Gregório Paniagua.

  1. Fons vitae
    Dementia praecox angelorum
    Supra solfamirevt

  2. Extravagans
    Laurea minima
    In vitro

  3. Oratio pro-folia
    Fama volat
    Citrus – Hesperides

  4. Principalis . Fermescens
    Indica exacta
    Adverso flumine

  5. Parsimonia aristocraciae

  6. Subtilis
    De profundis – Extra muros

  7. Vulgaris – Sine populi notione
    Vagula et blandula

  8. Nordica et desolata
    Aurea mediocritas

  9. Nobilissima
    Degradans et corruptae

  10. De pastoribus
    Mathematica dies irae
    Crepuscularis
    Sine nomine
    Tristis est anima mea
    Equites fortis armaturae
    Audaces fortuna juvat
    Sine praeputium
    Ecclesiastica

  11. Theatralis et hipocritae
    Ruralis
    Alter indica perfecta

  12. De tolerentia aetherea
    Fuga ficta et carrus triumphalis

« I compositori che nel corso dei secoli diedero una propria interpretazione del tema della Folía non sempre si resero conto di quello che stavano facendo. Maturano come l’albero che non conosce la fretta, assorbono tutta la linfa vitale e accolgono con gioia i primi ardori della primavera, senza farsi sfiorare dal pensiero che potrebbero anche non vedere quella dell’anno successivo. Con l’arrivo della primavera sopraggiunge un dolce languore, come se davanti a loro si estendesse tutta l’eternità. A quel punto possono amare la loro Folía e la loro solitudine, rivestendo queste sensazioni di musica di rara bellezza » (Gregório Paniagua).

Un pensiero affettuoso per Luisa Zambrotta, che mi ha suggerito l’idea di creare questa pagina pubblicando una propria poesia dedicata al Cane di Goya.

Danserye – III

Ancora un arrangiamento per complesso di strumenti moderni di alcune danze tratte dal Terzo libriccino di musica… (Het derde musyck boexken…) pubblicato da Tielman Susato nel 1551; questa volta si tratta di una gradevole trascrizione per banda, opera di Patrick Dunnigan. University Of Texas Wind Ensemble, dir. Jerry Junkin.

  • La Mourisque
  • Bergerette [2:09]
  • Les quatre branles [4:36]
  • Faggott [7:20]
  • Den Hoboecken dans [8:14]
  • Ronde & Salterelle [10:14]
  • Ronde & Aliud [11:53]
  • Basse danse Mon désir [13:43]
  • Pavane La Battaille [15:54]

Canarios: Praetorius & Zelenka

Michael Praetorius (1571 - 15 febbraio 1621): La Canarie (da Terpsichore, Musarum Aoniarum, 1612, n. 31). Capella de Ministrers, dir. Carles Magraner.
Tempo fa avevo proposto un’altra interpretazione di questo brano: potete ascoltare il simpatico Eduardo Antonello che ne esegue tutte le parti cliccando qui; nella medesima pagina troverete anche qualche notizia storica sul canario.


Jan Dismas Zelenka (1679 - 1745): dal Capriccio in la maggiore per orchestra ZWV 185 (1718): IV. In tempo di Canarie. The Bach Sinfonia, dir. Daniel E. Abraham.

Concerto da camera – II

Alban Berg (9 febbraio 1885 - 1935): Kammerkonzert per violino, pianoforte e 13 strumenti a fiato (1923-25). Christian Tetzlaff, violino; Mitsuko Uchida, pianoforte; Ensemble Intercontemporain, dir. Pierre Boulez.
 

  1. Thema scherzoso con variazioni
  2. Adagio
  3. Rondo ritmico con introduzione

Ho cercato, di notte

Johann Vierdanck (battezzato il 5 febbraio 1605 - 1646): Ich suchte des Nachts, mottetto a 5 voci, 2 violini e basso continuo (pubblicato in Geistlicher Concerten, ander Theil, 1643, n. 17). Europäisches Hanse-Ensemble, dir. Manfred Cordes.

Ich suchte des Nachts in meinem Bette, den meine Seele liebet.
Ich suchte, aber ich fand ihn nicht.
Ich will aufstehen und in der Stadt umgehen
auf den Gassen und Straßen und suchen, den meine Seele liebet.
Ich suchte, aber ich fand ihn nicht.
Es fanden mich die Wächter, die in der Stadt umgehen:
Habt ihr nicht gesehen, den meine Seele liebet?
Da ich ein wenig vor ihnen über kam, da fand ich, den meine Seele liebet.
Ich halte ihn und will ihn nicht lassen, bis ich ihn bringe in meiner Mutter Haus,
in meiner Mutter Kammer.
(Cantico dei cantici 3:1-4)

La Cantata del caffè

Oggi vi propongo un breve ma efficace video divulgativo, pubblicato da Francesco Di Fortunato nel suo canale di YouTube Musica antica (for dummies) e dedicato alla genesi della Cantata del caffè (Schweigt stille, plaudert nicht BWV 211) di Johann Sebastian Bach, composta nel 1734 circa su testo di Picander, al secolo Christian Friedrich Henrici.

  1. scoperta e diffusione del caffè
  2. Bach a Lipsia [1:44]
  3. la Cantata del caffè [2:51]
  4. analisi musicale [3:38]
  5. i pregiudizi sul caffè [6:23]
  6. conclusione [8:12]

Dopodiché, ecco la Cantata del caffè in una pregevole interpretazione: Lucie Chartin, soprano (Liesgen); Jan-Willem Schaafsma, tenore; Mattijs van de Woerd, basso (Schlen­drian); membri della Nederlandse Bachvereniging, dir. e violino I Shunske Sato.

Mentre gli altri preparano la scena, ricostruendo (più o meno) il Cafè Zimmermann di Lipsia ove la cantata fu eseguita per la prima volta, gli strumentisti eseguono un brano di Telemann – così, giusto per scaldare i motori…

– Georg Philipp Telemann (1681 - 1767): Distrait, V movimento del Quartetto in mi minore per flauto traverso, violino, violoncello e basso continuo TWV43:e4 (1738).

  1. Schweigt stille (recitativo) [1:44]
  2. Hat man nicht (aria) [2:26]
  3. Du böses Kind (recitativo) [5:09]
  4. Ei! wie schmeckt (aria) [5:53]
  5. Wenn du mir nicht (recitativo) [10:33]
  6. Mädchen, die von harten (aria) [11:51]
  7. Nun folge (recitativo) [14:33]
  8. Heute noch (aria) [15:31]
  9. Nun geht (recitativo) [22:18]
  10. Die Katze läβt (terzetto) [23:09]

Testo

1. Rezitativ (Tenor)

Schweigt stille, plaudert nicht
Und höret, was itzund geschicht:
Da kömmt Herr Schlendrian
Mit seiner Tochter Liesgen her;
Er brummt ja, wie ein Zeidelbär;
Hört selber, was sie ihm getan!

1. Recitativo (Tenore)

Fate silenzio, non parlate,
e ascoltate che cosa succede:
ecco il signor Schlendrian
con sua figlia Liesgen;
brontola come un vecchio orso,
sentite da voi che cosa gli ha fatto!

2. Arie (Schlendrian)

Hat man nicht mit seinen Kindern
Hunderttausend Hudelei!
Was ich immer alle Tage
Meiner Tochter Liesgen sage,
Gehet ohen Frucht vorbei.

2. Aria (Schlendrian)

Non si hanno, con i figli,
che centomila grattacapi!
Ciò che sempre ogni giorno
ripeto a mia figlia Liesgen
se ne va via senza frutto.

3. Rezitativ (Schlendrian, Liesgen)

Du böses Kind, du loses Mädchen,
Ach! wenn erlang ich meinen Zweck:
Tu mir den Coffee weg!
Herr Vater, seid doch nicht so scharf!
Wenn ich des Tages nicht dreimal
Mein Schälchen Coffee trinken darf
So werd ich ja zu meiner Qual
Wie ein verdorrtes Ziegenbrätchen.

3. Recitativo (Schlendrian, Liesgen)

– Bambina cattiva, ragazzaccia,
ah!, quando vorrai obbedirmi,
fa’ sparire quel caffè!
– Signor padre, non siate così severo!
Se tre volte al giorno
non bevo la mia tazzina di caffè,
per mia disgrazia mi trasformo
in un arrosto di capra rinsecchito.

4. Arie (Liesgen)

Ei! wie schmeckt der Coffee süße,
Lieblicher als tausend Küsse,
Milder als Muskatenwein.
Coffee, Coffee muss ich haben,
Und wenn jemand mich will laben,
Ach, so schenkt mir Coffee ein!

4. Aria (Liesgen)

Oh, com’è dolce il caffè,
più soave di mille baci,
più amabile del moscato!
Caffè, caffè io devo avere;
e se qualcuno mi vuole compiacere,
ah!, mi versi del caffè!

5. Rezitativ (Schlendrian, Liesgen)

– Wenn du mir nicht den Coffee lässt,
So sollst du auf kein Hochzeitfest,
Auch nicht spazierengehn.
– Ach ja!
Nur lasset mir den Coffee da!
– Da hab ich nun den kleinen Affen!
Ich will dir keinen Fischbeinrock nach itzger Weite schaffen.
– Ich kann mich leicht darzu verstehn.
– Du sollst nicht an das Fenster treten
Und keinen sehn vorübergehn!
– Auch dieses; doch seid nur gebeten
Und lasset mir den Coffee stehn!
– Du sollst auch nicht von meiner Hand
Ein silbern oder goldnes Band
Auf deine Haube kriegen!
– Ja, ja! nur lasst mir mein Vergnügen!
– Du loses Liesgen du,
So gibst du mir denn alles zu?

5. Recitativo (Schlendrian, Liesgen)

– Se non smetti di bere il caffè
non andrai più a una festa di nozze
e nemmeno a passeggiare.
– Ah va bene!
Purché mi lasciate il caffè!
– Ora ti tengo, scimmietta!
Non avrai più nemmeno una crinolina,
fatta come moda comanda.
– Posso anche farne a meno.
– Non potrai più stare alla finestra
a guardare la gente che passa!
– Va bene anche questo. solo vi prego
di non toglierrmi il caffè!
– E da me non avrai più
nastri d’argento né d’oro
per il tuo cappello!
– Sì, sì! Ma lasciatemi il mio piacere!
– Discola d’una Liesgen,
accetterai dunque qualsiasi punizione?

6. Arie (Schlendrian)

Mädchen, die von harten Sinnen,
Sind nicht leichte zu gewinnen.
Doch trifft man den rechten Ort,
O! so kömmt man glücklich fort.

6. Aria (Schlendrian)

Le ragazze dalla testa dura
non son facili da domare.
Ma se si tocca il tasto giusto
Oh!, allora se ne viene a capo!

7. Rezitativ (Schlendrian, Liesgen)

– Nun folge, was dein Vater spricht!
– In allem, nur den Coffee nicht.
– Wohlan! so musst du dich bequemen,
Auch niemals einen Mann zu nehmen.
– Ach ja! Herr Vater, einen Mann!
– Ich schwöre, dass es nicht geschicht.
– Bis ich den Coffee lassen kann?
Nun! Coffee, bleib nur immer liegen!
Herr Vater, hört, ich trinke keinen nicht.
– So sollst du endlich einen kriegen!

5. Recitativo (Schlendrian, Liesgen)

– Obbedisci al volere di tuo padre!
– Farò ogni cosa, salvo che per il caffè.
– Molto bene! Allora ti dovrai rassegnare
a non prendere mai marito!
– Oh, sì! Signor padre, un marito!
– Ti giuro che non l’avrai.
– Se non smetto di bere caffè?
Allora, caffè, rimani dove sei!
Padre, ascoltate, non ne berrò più.
– E così alla fine potrai avere un marito!

8. Arie (Liesgen)

Heute noch,
Lieber Vater, tut es doch!
Ach, ein Mann!
Wahrlich, dieser steht mir an!
Wenn es sich doch balde fügte,
Dass ich endlich vor Coffee,
Eh ich noch zu Bette geh,
Einen wackern Liebsten kriegte!

8. Aria (Liesgen)

Oggi stesso,
caro padre, fatelo!
Ah, un marito!
Davvero fa per me!
Oh, accadesse presto
che finalmente, invece del caffè,
prima di andare a letto
trovassi un fiero amore!

9. Rezitativ (Tenor)

Nun geht und sucht der alte Schlendrian,
Wie er vor seine Tochter Liesgen
Bald einen Mann verschaffen kann;
Doch, Liesgen streuet heimlich aus:
Kein Freier komm mir in das Haus,
Er hab es mir denn selbst versprochen
Und rück es auch der Ehestiftung ein,
Dass mir erlaubet möge sein,
Den Coffee, wenn ich will, zu kochen.

9. Recitativo (Tenore)

Ora il vecchio Schlendrian va e cerca,
come ha promesso a sua figlia Liesgen,
un uomo che possa farle da marito;
ma Liesgen di nascosto fa saper questo:
che nessuno spasimante venga da me
se prima non mi prometterà,
scrivendolo nel contratto di nozze,
che mi sarà concesso di farmi un caffè
ogni volta che ne avrò voglia.

10. Chor (Terzett)

Die Katze lässt das Mausen nicht,
Die Jungfern bleiben Coffeeschwestern.
Die Mutter liebt den Coffeebrauch,
Die Großmama trank solchen auch,
Wer will nun auf die Töchter lästern?

10. Terzetto

Come il gatto non lascia il topo,
così le ragazze non rinunciano al caffè.
Le loro madri amano farne uso,
e anche le nonne lo bevevano:
Chi dunque vorrà imprecare contro le figlie?

Du vin clairet – I

Anonimo (sec. XVI): Quand je bois du vin clairet, antico tourdion interpretato dall’en­semble tedesco Short Tailed Snails.

Il tourdion o tordion è una danza di coppia, rapida, moderatamente saltata, e costituisce uno degli elementi della bassadanza; affine sotto il profilo musicale alla gagliarda, fu in voga in Francia nel secolo XVI. Una descrizione del modo di danzare il tourdion si trova nel trattato Orchésographie (1589) di Thoinot Arbeau (pseudonimo di Jehan Tabourot):

« L’air du tourdion et l’air d’une gaillarde sont de mesmes, et n’y a différence sinon que le tourdion se danse bas et par terre d’une mesure légère et concise, et la gaillarde se danse haut d’une mesure plus lente et pesante. Tandis que vous faites bien de demander l’air d’un tourdion, car quand les airs sont connus par le danseur, et qu’il les chante en son cœur avec le joueur d’instrument, il ne peut faillir à les bien danser. »


Lo stesso brano interpretato dalla Capella Reial de Catalunya e Hespèrion XXI diretti da Jordi Savall.

Cantus :

Quand je bois du vin clairet,
Amis, tout tourne,
Aussi désormais je bois
Anjou ou Arbois.
   Chantons et buvons,
   à ce flacon faisons la guerre,
   chantons et buvons,
   mes amis, buvons donc.

Altus :

Le bon vin nous a rendus gais, chantons,
oublions nos peines, chantons.
   En mangeant d’un gras jambon,
   à ce flacon faisons la guerre.

Tenor :

Buvons bien, là buvons donc
à ce flacon faisons la guerre.
   En mangeant d’un gras jambon
   à ce flacon faisons la guerre.

Bassus :

Buvons bien, mes amis, trinquons,
buvons, vidons nos verres.
   En mangeant d’un gras jambon
   à ce flacon faisons la guerre.

Malata d’amore

Antoine Busnois (c1430 - 6 novembre 1492): Anima mea liquefacta est, mottetto a 3 voci su testo tratto dal Cantico dei cantici (V:6-8). Capella Sancti Michaelis.

Anima mea liquefacta est, ut dilectus locutus est.
Quaesivi et non inveni illum; vocavi et non respondit mihi.
Invenerunt me custodes civitatis, percusserunt me et vulneraverunt me.
Tulerunt pallium meum custodes murorum.
Filiae Hierusalem, nuntiate dilecto quia amore langueo.

Musique fait deul

Johannes Ockeghem (fra il 1410 e il 1430 - 1497): Mort tu as navré / Miserere, motet-chanson a 4 voci, composto in morte di Gilles Binchois (1460). Ensemble Graindelavoix, dir. Björn Schmelzer.

Cantus :

Mort, tu as navré de ton dart
le père de joieuseté
en desployant ton estendart
sur Binchois, patron de bonté.
Rétoricque, se Dieu me gard,
son serviteur a regretté.
Musique par piteux regard
fait deul et noir a porté.
En sa jeunesse fut soudart
de honorable mondanité.
Puis a esleu la meilleure part,
servant Dieu en humilité.

Son corps est plaint et lamenté
Qui gist sous lame.
Hélas plaise vous en pitié
Prier pour l’âme!
Pleurez, hommes de feaulté,
Faites reclame,
Vueillez vostre université
Prier pour l’âme!
Tant lui soit en crestienté
Son nom est fame
Qui détient grant voulanté.
Prier pour l’âme!

Tenor, Bassus I e II :

Miserere pie Jhesu Domine, dona ei requiem.
Quem in cruce redemisti precioso sanguine,
pie Jhesu Domine, dona ei requiem.


Lo stesso brano arrangiato per quintetto di strumenti ad ancia da Raaf Hekkema. Calefax Reed Quintet.

Ockeghem, Mort tu as navré / Miserere

Quatrième Suitte

Jacques-Martin Hotteterre detto le Romain (29 settembre 1674 - 1763): Suite in mi minore, n. 4 del Premier Livre de pièces pour la flûte traversière et autres instruments avec la basse op. 2 (1715). Eduard Belmar, flauto; Lucine Musaelian, viola da gamba; Ha-na Lee, clavicembalo.

  1. Prélude
  2. Allemande la Fontainebleau [2:24]
  3. Sarabande le Départ [4:08]
  4. Air le Fleuri [6:30]
  5. Gavotte la Mitilde [7:58]
  6. Branle de village l’Auteuil [9:28]
  7. Menuet le Beaulieu [10:08]

Ebbro di Luna

Arnold Schoenberg (13 settembre 1874 - 1951): Pierrot lunaire, ciclo di 21 Lieder per voce femminile cantante-recitante (Sprechgesang) e ensemble da camera op. 21 (1912) su liriche di Albert Giraud (1860 - 1929) tradotte in tedesco da Otto Erich Hartleben (1864 - 1905). Christine Schäfer, voce; Ensemble Intercontemporain, dir. Pierre Boulez.

PARTE

1. Mondestrunken

Den Wein, den man mit Augen trinkt,
Giesst Nachts der Mond in Wogen nieder,
Und eine Springflut überschwemmt
Den stillen Horizont.

Gelüste, schauerlich und süss,
Durchschwimmen ohne Zahl die Fluten!
Den Wein, den man mit Augen trinkt,
Giesst Nachts der Mond in Wogen nieder.

Der Dichter, den die Andacht treibt,
Berauscht sich an dem heiigen Tranke,
Gen Himmel wendet er verzückt
Das Haupt und taumelnd saugt und schlürft er
Den Wein den man mit Augen trinkt.

2. Colombine

Des Mondlichts bleiche Blüten,
Die weißen Wunderrosen,
Blühn in den Julinachten —
O brach ich eine nur!

Mein banges Leid zu lindern,
Such ich am dunklen Strome
Des Mondlichts bleiche Blüten,
Die weißen Wunderrosen.

Gestillt wär all mein Sehnen,
Dürft ich so märchenheimlich,
So selig leis — entblättern
Auf deine brauenen Haare
Des Mondlichts bleiche Blüten!

3. Der Dandy

Mit einem phantastischen Lichtstrahl
Erleuchtet der Mond die krystallnen Flacons
Auf dem schwarzen, hochheiligen Waschtisch
Des schweigenden Dandys von Bergamo.

In tönender, bronzener Schale
Lacht hell die Fontaine, metallischen Klangs.
Mit einem phantastischen Lichtstrahl
Erleuchtet der Mond die krystallnen Flacons.

Pierrot mit dem wächsernen Antlitz
Steht sinnend und denkt: wie er heute sich schminkt?
Fort schiebt er das Rot und das Orients Grün
Und bemalt sein Gesicht in erhabenem Stil
Mit einem phantastischen Mondstrahl.

4. Eine blasse Wäscherin

Eine blasse Wäscherin
Wäscht zur Nachtzeit bleiche Tücher;
Nackte, silberweiße Arme
Streckt sie nieder in die Flut.

Durch die Lichtung schleichen Winde,
Leis bewegen sie den Strom.
Eine blasse Wäscherin
Wäscht zur Nachtzeit bleiche Tücher.

Und die sanfte Magd des Himmels,
Von den Zweigen zart umschmeichelt,
Breitet auf die dunklen Wiesen
ihre lichtgewobnen Linnen —
Eine blasse Wäscherin.

5. Valse de Chopin

Wie ein blasser Tropfen Bluts
Färbt die Lippen einer Kranken,
Also ruht auf diesen Tönen
Ein vernichtungssüchtger Reiz.

Wilder Lust Accorde stören
Der Verzweiflung eisgen Traum —
Wie ein blasser Tropfen Bluts
Färbt die Lippen einer Kranken.

Heiß und jauchzend, süß und schmachtend,
Melancholisch düstrer Walzer,
Kommst mir nimmer aus den Sinnen!
Haftest mir an den Gedanken,
Wie ein blasser Tropfen Bluts!

6. Madonna

Steig, o Mutter aller Schmerzen,
Auf den Altar meiner Verse!
Blut aus deinen magren Brusten
Hat des Schwertes Wut vergossen.

Deine ewig frischen Wunden
Gleichen Augen, rot und offen.
Steig, o Mutter aller Schmerzen,
Auf den Altar meiner Verse!

In den abgezehrten Händen
Hältst du deines Sohnes Leiche.
Ihn zu zeigen aller Menschheit —
Doch der Blick der Menschen meidet
Dich, o Mutter aller Schmerzen!

7. Der kranke Mond

Du nächtig todeskranker Mond
Dort auf des Himmels schwarzem Pfühl,
Dein Blick, so fiebernd übergroß,
Bannt mich wie fremde Melodie.

An unstillbarem Liebesleid
Stirbst du, an Sehnsucht, tief erstickt,
Du nächtig todeskranker Mond
Dort auf des Himmels schwarzem Pfühl.

Den Liebsten, der im Sinnenrausch
Gedankenlos zur Liebsten schleicht,
Belustigt deiner Strahlen Spiel —
Dein bleiches, qualgebornes Blut,
Du nächtig todeskranker Mond.

PARTE

8. Nacht (Passacaglia)

Finstre, schwarze Riesenfalter
Töteten der Sonne Glanz.
Ein geschlossnes Zauberbuch,
Ruht der Horizont — verschwiegen.

Aus dem Qualm verlorner Tiefen
Steigt ein Duft, Erinnrung mordend!
Finstre, schwarze Riesenfalter
Töteten der Sonne Glanz.

Und vom Himmel erdenwärts
Senken sich mit schweren Schwingen
Unsichtbar die Ungetume
Auf die Menschenherzen nieder…
Finstre, schwarze Riesenfalter.

9. Gebet an Pierrot

Pierrot! Mein Lachen
Hab ich verlernt!
Das Bild des Glanzes
Zerfloß – Zerfloß!

Schwarz weht die Flagge
Mir nun vom Mast.
Pierrot! Mein Lachen
Hab ich verlernt!

O gieb mir wieder,
Roßarzt der Seele,
Schneemann der Lyrik,
Durchlaucht vom Monde,
Pierrot – mein Lachen!

10. Raub

Rote, fürstliche Rubine,
Blutge Tropfen alten Ruhmes,
Schlummern in den Totenschreinen,
Drunten in den Grabgewolben.

Nachts, mit seinen Zechkumpanen,
Steigt Pierrot hinab — zu rauben
Rote, fürstliche Rubine,
Blutge Tropfen alten Ruhmes.

Doch da – strauben sich die Haare,
Bleiche Furcht bannt sie am Platze:
Durch die Finsternis — wie Augen! —
Stieren aus den Totenschreinen
Rote, fürstliche Rubine.

11. Rote Messe

Zu grausem Abendmahle
Beim Blendeglanz des Goldes,
Beim Flackerschein der Kerzen,
Naht dem Altar — Pierrot!

Die Hand, die gottgeweihte,
Zerreißt die Priesterkleider —
Zu grausem Abendmahle
Beim Blendeglanz des Goldes.

Mit segnender Geberde
Zeigt er den bangen Seelen
Die triefend rothe Hostie —
Sein Herz in blut’gen Fingern,
Zu grausem Abendmahle.

12. Galgenlied

Die dürre Dirne
Mit langem Halse
Wird seine letzte
Geliebte sein.

In seinem Hirne
Steckt wie ein Nagel
Die dürre Dirne
Mit langem Halse.

Schlank wie die Pinie,
Am Hals ein Zöpfchen —
Wollüstig wird sie
Den Schelm umhalsen,
Die dürre Dirne!

13. Enthauptung

Der Mond, ein blankes Türkenschwert
Auf einem schwarzen Seidenkissen,
Gespenstisch groß — dräut er hinab
Durch schmerzendunkle Nacht.

Pierrot irrt ohne Rast umher
Und starrt empor in Todesängsten
Zum Mond, dem blanken Türkenschwert
Auf einem schwarzen Seidenkissen.

Es schlottern unter ihm die Knie,
Ohnmächtig bricht er jäh zusammen.
Er wähnt: es sause strafend schon
Auf seinen Sünderhals hernieder
Der Mond, das blanke Türkenschwert.

14. Die Kreuze

Heilge Kreuze sind die Verse,
Dran die Dichter stumm verbluten,
Blindgeschlagen von der Geier
Flatterndem Gespensterschwarme!

In den Leibern schwelgten Schwerter,
Prunkend in des Blutes Scharlach!
Heilge Kreuze sind die Verse,
Dran die Dichter stumm verbluten.

Tot das Haupt — erstarrt die Locken —
Fern, verweht der Lärm des Pöbels.
Langsam sinkt die Sonne nieder,
Eine rote Königskrone. —
Heilge Kreuze sind die Verse!

PARTE

15. Heimweh

Lieblich klagend — ein krystallnes Seufzen
Aus Italiens alter Pantomime,
Klingts herüber: wie Pierrot so holzern,
So modern sentimental geworden.

Und es tönt durch seines Herzens Wüste,
Tönt gedämpft durch alle Sinne wieder,
Lieblich klagend — ein krystallnes Seufzen
Aus Italiens alter Pantomime.

Da vergißt Pierrot die Trauermienen!
Durch den bleichen Feuerschein des Mondes,
Durch des Lichtmeers Fluten – schweift die Sehnsucht
Kühn hinauf, empor zum Heimathimmel
Lieblich klagend — ein krystallnes Seufzen!

16. Gemeinheit

In den blanken Kopf Cassanders,
Dessen Schrein die Luft durchzetert,
Bohrt Pierrot mit Heuchlermienen,
Zärtlich — einen Schädelbohrer!

Darauf stopft er mit dem Daumen
Seinen echten türkischen Taback
In den blanken Kopf Cassanders,
Dessen Schrein die Luft durchzetert!

Dann dreht er ein Rohr von Weichsel
Hinten in die glatte Glatze
Und behäbig schmaucht und pafft er
Seinen echten türkischen Taback
Aus dem blanken Kopf Cassanders!

17. Parodie

Stricknadeln, blank und blinkend,
In ihrem grauen Haar,
Sitzt die Duenna murmelnd,
Im roten Röckchen da.

Sie wartet in der Laube,
Sie liebt Pierrot mit Schmerzen,
Stricknadeln, blank und blinkend,
In ihrem grauen Haar.

Da plötzlich — horch! — ein Wispern!
Ein Windhauch kichert leise:
Der Mond, der böse Spötter,
Äfft nach mit seinen Strahlen —
Stricknadeln, blink und blank.

18. Der Mondfleck

Einen weißen Fleck des hellen Mondes
Auf dem Rücken seines schwarzen Rockes,
So spaziert Pierrot im lauen Abend,
Aufzusuchen Glück und Abenteuer.

Plötzlich — stört ihn was an seinem Anzug,
Er beschaut sich rings und findet richtig —
Einen weißen Fleck des hellen Mondes
Auf dem Rücken seines schwarzen Rockes.

Warte! denkt er: das ist so ein Gipsfleck!
Wischt und wischt, doch — bringt ihn nicht herunter!
Und so geht er, giftgeschwollen, weiter,
Reibt und reibt bis an den frühen Morgen —
Einen weißen Fleck des hellen Mondes.

19. Serenade

Mit groteskem Riesenbogen
Kratzt Pierrot auf seiner Bratsche,
Wie der Storch auf einem Beine,
Knipst er trüb ein Pizzicato.

Plötzlich naht Cassander — wütend
Ob des nächtgen Virtuosen —
Mit groteskem Riesenbogen
Kratzt Pierrot auf seiner Bratsche.

Von sich wirft er jetzt die Bratsche:
Mit der delikaten Linken
Faßt den Kahlkopf er am Kragen —
Träumend [spielt]1 er auf der Glatze
Mit groteskem Riesenbogen.

20. Heimfahrt (Barcarole)

Der Mondstrahl ist das Ruder,
Seerose dient als Boot;
Drauf fährt Pierrot gen Süden
Mit gutem Reisewind.

Der Strom summt tiefe Skalen
Und wiegt den leichten Kahn.
Der Mondstrahl ist das Ruder,
Seerose dient als Boot.

Nach Bergamo, zur Heimat,
Kehrt nun Pierrot zurück;
Schwach dämmert schon im Osten
Der grüne Horizont.
— Der Mondstrahl ist das Ruder.

21. O alter Duft

O alter Duft aus Märchenzeit,
Berauschest wieder meine Sinne;
Ein närrisch Heer von Schelmerein
Durchschwirrt die leichte Luft.

Ein glückhaft Wünschen macht mich froh
Nach Freuden, die ich lang verachtet:
O alter Duft aus Märchenzeit,
Berauschest wieder mich!

All meinen Unmut gab ich preis;
Aus meinem sonnumrahmten Fenster
Beschau ich frei die liebe Welt
Und träum hinaus in selge Weiten…
O alter Duft — aus Märchenzeit!


Per una libera traduzione italiana dei testi, curata da Raissa Olkienizkaia Naldi, cliccare qui.

Pierrot lunaire

Only peace, only rest

Henry Purcell (10 settembre 1659 - 1695): Close thine eyes and sleep secure, devotional song per soprano, basso e continuo Z 184 (pubblicato in Harmonia Sacra, 1688) su testo di Francis Quarles. Hana Blažíková, soprano; Peter Kooij, basso; L’Armonia Sonora, dir. e viola da gamba Mieneke van der Velden.

Close thine eyes and sleep secure;
Thy soul is safe, thy body sure;
He that guards thee, He thee keeps,
Who never slumbers, never sleeps.
A quiet conscience in a quiet breast
Has only peace, has only rest:
The music and the mirth of kings
Are out of tune unless she sings;
Then close thine eyes in peace and rest secure,
No sleep so sweet as thine, no rest so sure.