Raffaele Gervasio (26 luglio 1910 - 1994): Triplo Concerto per flauto, viola, chitarra, archi e percussioni op. 131, Concerto degli oleandri (1993). Mario Carbotta, flauto; Teresa Laera, viola; Nando Di Modugno, chitarra; Orchestra sinfonica lucana, dir. Vito Clemente.
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Raffaele Gervasio, dal Carosello alle sale da concerto: ritratto di un maestro a due volti
Raffaele Gervasio è stato uno dei compositori italiani più versatili del Novecento, capace di muoversi con eguale maestria tra il mondo della “musica pura” (sinfonica e cameristica) e quello della “musica applicata” per radio, cinema e televisione, lasciando un’eredità che spazia dalle celebri sigle popolari a complesse opere orchestrali.
La formazione di un talento
Nato a Bari da Michele Gervasio – noto archeologo e direttore del museo cittadino – il giovane intraprese gli studi musicali nel 1923 presso il Liceo musicale «Niccolò Piccinni» del capoluogo pugliese, dove fu allievo di Cesare Franco (armonia), Italo Delle Cese (pianoforte) e della giovane e talentuosa Gioconda De Vito (violino).
Il suo talento fu presto notato da Amilcare Zanella che, nel 1927, lo volle con sé al Conservatorio «Rossini» di Pesaro, inserendolo nella propria classe di composizione e affidandolo al maestro Chiti per il perfezionamento del violino. Dopo il diploma in violino nel 1929, proseguì gli studi di composizione con Zanella fino al 1931, per poi trasferirsi a Firenze. Qui completò la formazione al Conservatorio «Cherubini» sotto la guida di Vito Frazzi, diplomandosi in composizione nel 1933. La sua sete di conoscenza lo portò a Roma, dove frequentò il corso di perfezionamento di Ottorino Respighi al Conservatorio di Santa Cecilia, ottenendo nel 1936 il premio come miglior allievo. Nello stesso prestigioso istituto, seguì anche il corso di Ernesto Cauda dedicato alla musica per la riproduzione meccanica (cinema, radio, discografia), un’esperienza che si rivelerà fondamentale per la sua futura carriera.
Il successo nella musica applicata: radio, cinema e televisione
Dopo gli studi, Gervasio si dedicò con grande successo alla musica applicata: dal 1940 al 1960 ricoprì il ruolo di direttore musicale della INCOM (Industrie Cortometraggi), per cui sonorizzò centinaia di documentari e cinegiornali con musiche originali e di repertorio. La sua firma divenne sinonimo di riconoscibilità e qualità, legandosi ad alcune delle sigle più iconiche della cultura di massa italiana: dal cinegiornale “Settimana Incom” alla sigla di Voci dal Mondo, che per decenni avrebbe introdotto il GR2, fino alla celeberrima e indimenticabile melodia di Carosello.
Compose musiche di scena per importanti spettacoli di prosa (Francesca da Rimini, Faust, Il mercante di Venezia) e collaborò intensamente con la radio, come nella Ballata italiana (1951) diretta da Franco Ferrara. Un capitolo di particolare rilievo fu il Carosello napoletano, grandioso spettacolo teatrale del 1950 diretto da Ettore Giannini, che gli valse il premio “Maschera d’argento” per la musica. Il successo fu tale che nel 1954 l’opera fu trasposta in un film prodotto dalla Lux Film, le cui musiche, in gran parte originali, furono dirette da Fernando Previtali.
Un altro progetto di grande impatto culturale fu l’album I Canti che hanno fatto l’Italia (1961), prodotto da RCA in occasione delle celebrazioni di Italia 61. L’opera – una raccolta di musiche originali, trascrizioni e rielaborazioni del patrimonio popolare – fu diretta da Franco Ferrara e interpretata da voci celebri. La sua importanza fu sancita dalla RAI, che la scelse per inaugurare le trasmissioni del secondo canale televisivo il 4 novembre 1961.
Il ritorno alla musica “pura”, l’insegnamento e i riconoscimenti
Nonostante i successi nella musica applicata, Gervasio non abbandonò mai la sua vocazione per la composizione pura: già nella seconda metà degli anni Cinquanta riprese a scrivere musica sinfonica e, nel 1961, lasciò definitivamente la INCOM per dedicarsi esclusivamente a questa passione. Gli anni Sessanta furono un periodo di intensa creatività, che vide la nascita di opere fondamentali come il Concerto spirituale (1961), il Preludio e Allegro concertante (1962), il Concerto per violino e orchestra (1966) e la Fantasia per pianoforte (1970), scritta su richiesta del pianista Rudolf Firkušný.
Nel 1967 – su invito dell’amico Nino Rota – accettò la cattedra di composizione al Conservatorio «Piccinni» di Bari. Due anni dopo, nel 1969, assunse la direzione del nuovo Conservatorio «Egidio Romualdo Duni» di Matera, trasformandolo in pochi anni in un’istituzione di riferimento a livello nazionale per le sue didattiche innovative. In questo periodo scrisse anche diversi lavori destinati ai suoi giovani allievi. Dopo essere tornato all’insegnamento a Bari nel 1977, si ritirò definitivamente nel 1980. Il suo prestigio fu coronato nel 1978 con l’elezione ad accademico di Santa Cecilia.
Gli ultimi anni: una prolifica stagione creativa
Libero dagli impegni didattici, Gervasio visse un’ultima, straordinaria stagione creativa, dedicandosi interamente alla composizione. In questo periodo produsse un vasto catalogo di opere cameristiche e orchestrali, tra cui spiccano: Movimenti perpetui per orchestra (1982), l’Ouverture inaugurale per organo e orchestra (1983), il Doppio Concerto per violino, chitarra e archi (1984), la Composizione orchestrale (1986) commissionata dall’Accademia di Santa Cecilia, e il Triplo Concerto degli oleandri (1993). La sua ultima opera furono le Variazioni sulla preghiera del Mosè di Rossini per tromba e organo (1994), sigillo di una vita spesa al servizio della musica in tutte le sue forme.
Il Concerto degli oleandri: analisi
Opera di rara bellezza, si distingue per la peculiare scelta strumentale e per il carattere evocativo e solare. Lontano dalle asprezze e dalle complessità intellettualistiche di molta musica contemporanea del suo tempo, Gervasio crea un affresco sonoro che profuma di Mediterraneo, fondendo la struttura classica del concerto con una sensibilità melodica quasi cinematografica. L’opera, in un unico movimento, si articola in una serie di episodi contrastanti che esplorano le molteplici possibilità timbriche e dialogiche del trio solista.
Il Concerto si apre in un’atmosfera intima e pastorale: la chitarra solista introduce il discorso musicale con una serie di arpeggi delicati e sognanti che stabiliscono immediatamente un clima di serena attesa. Questo preludio chitarristico funge da sipario, aprendo la scena all’ingresso dell’intero ensemble. Gli archi poi entrano con un tappeto sonoro morbido e avvolgente, su cui si innesta il tema principale, una melodia gioiosa, spensierata e dal carattere nettamente danzante, quasi popolaresco. Il tema viene esposto dai tre solisti che agiscono come un’unica entità: il flauto e la viola, spesso procedendo in parallelo, si scambiano e intrecciano le frasi melodiche, mentre la chitarra fornisce un indispensabile sostegno ritmico e armonico con arpeggi brillanti e accordi precisi. La scrittura è trasparente e luminosa, con le leggere percussioni che aggiungono tocchi di luce. In questa sezione, Gervasio presenta i protagonisti non come avversari dell’orchestra, ma come un “concertino” affiatato che dialoga amabilmente su un fondale orchestrale lussureggiante.
Abbandonata la solarità del tema iniziale, il Concerto si inoltra in una sezione di sviluppo più complessa e ricca di contrasti. L’atmosfera si fa più lirica e introspettiva e gli archi introducono una nuova idea tematica, più cantabile e malinconica, mentre i solisti si ritagliano spazi individuali: ascoltiamo un breve ma intenso assolo della viola, seguito da un passaggio più etereo del flauto.
Questo momento di quiete è interrotto da un episodio di grande energia e tensione drammatica: il ritmo si fa più serrato e incalzante, sostenuto dal pizzicato degli archi e da un uso più marcato delle percussioni. I tre solisti si lanciano in passaggi virtuosistici, con scale rapide e figurazioni complesse, a volte all’unisono, a volte in un rapido inseguimento. Questa sezione dimostra la maestria di Gervasio nel creare un forte contrasto dinamico e agogico, mostrando il lato più brillante e tecnicamente impegnativo del trio.
L’orchestra si ritira quasi completamente, lasciando il campo a quella che può essere definita una cadenza collettiva per i tre solisti: è un lungo momento di dialogo intimo, in cui flauto, viola e chitarra esplorano le loro potenzialità timbriche in piena libertà.
La viola emerge con un canto caldo e appassionato, seguita dal flauto con frasi più aeree e sognanti. La chitarra si lancia in un assolo di notevole bellezza, ricco di arpeggi e armonie che evocano sonorità spagnoleggianti, confermando l’ispirazione mediterranea dell’opera. Il dialogo tra gli strumenti è fitto e profondo, un vero e proprio scambio di confidenze musicali prima della conclusione.
Come in una classica forma-sonata, riappare il tema principale danzante dell’esposizione, questa volta presentato con un vigore e una pienezza orchestrale ancora maggiori. Il ritorno di questa melodia solare e riconoscibile infonde un senso di gioia e circolarità, chiudendo il cerchio narrativo del brano.
Dalle fondamenta di questa ripresa si sviluppa la coda finale: la musica acquista progressivamente velocità e intensità, in un crescendo che coinvolge l’intera orchestra. I solisti si esibiscono in un ultimo slancio virtuosistico, spingendo il discorso musicale verso una conclusione brillante, affermativa e piena di energia che si chiude con accordi decisi e perentori.
La vera originalità dell’opera risiede nella geniale fusione timbrica del trio solista; Gervasio riesce a far convivere tre strumenti dalla natura profondamente diversa: il suono aereo e cristallino del flauto, quello caldo, scuro e umano della viola e quello percussivo e armonico della chitarra. Piuttosto che metterli in competizione, li tratta come le tre facce di un unico strumento, un “super-solista” capace di passare da momenti di intimità cameristica a esplosioni di virtuosismo orchestrale. Il concerto è un magnifico esempio della maturità stilistica di Gervasio, un pezzo che, pur radicato nella tradizione formale, parla un linguaggio immediato, melodico e profondamente comunicativo, capace di dipingere con i suoni i colori, la luce e il calore di un paesaggio mediterraneo baciato dal sole.

Carlo Prosperi (1921 - 15 giugno 1990): In nocte secunda per chitarra, clavicembalo e 6 violni (1968). Andrea Botto, chitarra; Margherita Gallini, clavicembalo; Paola Besutti, Leandro Puliti, Chiara Foletto, Marcello D’Angelo, Francesco Di Cuonzo e Massimo Nesi, violini; dir. Mario Ruffini. 
























Ella Adaïewsky (ovvero Ėlla Georgievna Adaevskaja, pseudonimo di Sophia Christine Gertrud Elisabeth von Schultz; 22 febbraio 1846 - 1926): Berceuse estonienne, versione per flauto, chitarra e violino. Camerata Tallinn. 
